Penale

Reddito di cittadinanza, rischio carcere anche per il falso parziale

Per la Corte di cassazione, sentenza n. 5440 depositata oggi, attestare una convivenza ormai cessata per aumentare Rdc rientra nelle medesima fattispecie penale

di Francesco Machina Grifeo

Linea dura della Cassazione sulle false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza. È punibile con la reclusione da sei mesi a due anni anche la dichiarazione di convivenza mendace finalizzata soltanto ad aver un rateo di importo più alto, da parte di un soggetto legalmente separato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 5440 depositata oggi e segnalata per il "Massimario", respingendo il ricorso dell'imputato che invece aveva sostenuto la tesi del "falso innocuo" avendo egli comunque i requisiti per accedere al reddito.

La Corte ricorda che, secondo quanto accertato nelle fasi di merito, l'indicazione della situazione di convivenza con la moglie era stata indicata sia nella Dichiarazione Sostitutiva Unica del luglio 2020 che nella domanda di accesso al reddito di cittadinanza presentata il 16 dello stesso mese. Mentre la convivenza doveva ritenersi cessata dal 13 maggio 2019. Né era stata dedotta una ripresa della vita in comune tra i due ex-coniugi. Inoltre i tentennamenti nella redazione della domanda – per avere l'imputato prima incluso, poi escluso, quindi definitivamente incluso la moglie nella dichiarazione relativa al nucleo familiare – lungi dall'essere una prova a discarico "è circostanza che può corroborare la conclusione di una apprezzabile ponderazione in ordine all'informazione da rendere", utile, come visto, per conseguire un importo maggiore del beneficio.

Ma cosa prevede esattamente la norma? Ebbene, l'art. 7, comma 1, Dl n. 4 del 2019 così recita: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».

"Questa disposizione – spiega la Cassazione - deve ritenersi riferita non solo ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza, quando questo non spetterebbe in alcuna misura, ma anche ai casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante, come nel caso in esame". Innanzitutto, infatti, prosegue la decisione, beneficio «indebitamente» ottenuto è anche quello di importo maggiore di quello legittimamente spettante. Inoltre, tale soluzione ermeneutica "è in linea anche con esigenze di coerenza normativa".

Infine, conclude la decisione, posto che il reato è configurabile anche nei casi di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o di omissione di informazioni dovute finalizzati a conseguire il beneficio economico del reddito di cittadinanza per un importo maggiore di quello altrimenti spettante, "una falsità relativa ai dati rilevanti ai fini della determinazione della rata da erogare, quale quella incidente sulla composizione del nucleo familiare, come accertato essere avvenuto nel caso di specie, non può certo qualificarsi innocua".

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