Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 10 e il 14 aprile 2023

di Giuseppe Cassano


Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si soffermano in tema di nesso eziologico nella responsabilità civile, corresponsabilità nei sinistri stradali, abuso del diritto, prescrizione presuntiva e, infine, effetti della cointestazione di un conto corrente.
Da parte loro i Tribunali sono chiamati a pronunciarsi sul riconoscimento di debito (e conseguente interruzione della prescrizione), sulla tutela del consumatore nelle vendite a catena, sul rapporto tra contratto preliminare e definitivo, sulla cancellazione della società dal registro delle imprese e, infine, sulla responsabilità medica.


RESPONSABILITÀ CIVILE
Nesso di causa – Tra condotta e danno - Chiamata in causa del terzo - Accertamento.
(Cc, articolo 2055; Cp, articolo 41)
Osserva in sentenza la Corte d'Appello di Firenze come, in tema di responsabilità civile, non si possa negare il nesso eziologico fra condotta e danno solo perché vi siano più cause possibili ed alternative dovendo il Giudice stabilire quale tra esse sia "più probabile che non" in concreto ed in relazione alle altre, e, quindi, idonea a determinare in via autonoma il danno evento.
Qualora tale accertamento non sia possibile, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell'art. 41 c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si verifichi l'esclusiva efficienza causale di una di esse.
Del resto, ai fini della responsabilità solidale di cui all'art. 2055, I, c.c., norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell'art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità - contrattuale ed extracontrattuale - in quanto la norma considera essenzialmente l'unicità del fatto dannoso, e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate.
La persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà può così pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe e l'eventuale diseguale efficienza causale può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna dell'obbligazione passiva di risarcimento tra i corresponsabili.
In tale prospettiva è a dirsi che, nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell'evento dannoso, la domanda risarcitoria deve intendersi estesa al terzo anche in mancanza di un'espressa dichiarazione in tal senso dell'attore, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell'evento dannoso non dà luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell'oggetto della domanda ma evidenzia, esclusivamente, una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio.
Corte appello Firenze, sezione II, 11 aprile 2023 n. 736

CIRCOLAZIONE STRADALE
Nuovo codice della strada - Danni – Velocità del veicolo - Conducente - Corresponsabilità.
(Dlgs 30 aprile 1992 n. 285, articolo 141)
Adita in materia di infortunistica stradale la Corte d'Appello di Messina sottolinea come, ai sensi dell'art. 141 Nuovo Codice della Strada (D.Lgs. n. 285/1992) vi sia l'obbligo in capo al conducente di regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato e al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione.
Ed allora, secondo la Corte, la condizione di scarsa illuminazione della strada, unitamente al fatto della collocazione di un "cassone" lungo un rettilineo, costituiscono elementi presuntivi da cui potere desumere una corresponsabilità del conducente nella causazione dell'evento (impatto veicolo-cassone), che avrebbe dovuto adeguare la sua condotta di guida alle condizioni della strada, procedendo a velocità moderata.
L'infrazione alla norma che regola la velocità dei veicoli di cui all'art. 141 cit. può essere accertata anche sulla base di un prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto e sugli effetti (dannosi) provocati dall'incidente, senza necessità di un preciso rilievo strumentale.
Non è invero seriamente contestabile che l'obbligo del conducente di un veicolo di moderare la velocità nei limiti di cui alla citata disposizione rappresenti una regola generale di comune prudenza e di ampia portata.
Laddove il Giudice di merito ritenga di affermare la responsabilità del conducente stradale che, pur rispettando i limiti di velocità imposti dalla legge, non abbia doverosamente moderato in modo ulteriore l'entità della propria velocità, lo stesso (Giudice) deve ritenersi vincolato, ai fini della congruità logica della motivazione, all'integrazione delle proprie argomentazioni attraverso la specifica indicazione delle ragioni di fatto che, in concreto, avrebbero giustificato l'assunzione di tale ulteriore esigenza prudenziale, non potendo limitarsi a un richiamo meramente astratto di quelle ragioni (un'intersezione, una curva, un generico difetto di visibilità) non (adeguatamente) riscontrate, sul piano del fatto (e, dunque in termini probatori, etc.), alla luce delle specifiche caratteristiche del luogo effettivamente preso in esame.
• Corte appello Messina, sezione II, 11 aprile 2023 n. 312

COMPORTAMENTO SECONDO CORRETTEZZA
Esercizio del diritto – Dovere di correttezza – Abuso del diritto - Circostanze.

(Costituzione, articolo 2; Cc, articoli 1175 e 1375)
Secondo la Corte d'Appello di Cagliari l'esercizio di ogni diritto deve informarsi al dovere di correttezza, che trova il proprio fondamento nell'art. 2 Cost. quale inderogabile dovere di solidarietà sociale e, in materia di obbligazioni e contratti, negli artt. 1175 e 1375 c.c..
L'abuso del diritto non presuppone una violazione in senso formale, ma si realizza quando nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo esercizio, ne risulti alterata la funzione obiettiva rispetto al potere che lo prevede, ovvero lo schema formale del diritto sia finalizzato ad obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore.
Ne sono elementi sintomatici: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico o extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrificio cui è soggetta la controparte.
Si ha così abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie e irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al Giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall'esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell'individuo o dell'imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l'atto di autonomia negoziale, ma l'abuso di esso.
Corte appello Cagliari, II sotto sezione civile, 12 aprile 2023 n. 140

OBBLIGAZIONE
Prescrizione presuntiva – Operatività - Presupposti.
(Cc, articolo 2959; Cpc, articolo 233)
Secondo la Corte d'Appello di Milano l'eccezione di prescrizione presuntiva comporta una presunzione di adempimento dell'obbligazione da parte del debitore.
La prescrizione presuntiva ai sensi dell'art. 2959 c.c. si fonda non sull'inerzia del creditore e sul decorso del tempo - come accade per la prescrizione ordinaria - ma sulla presunzione che, in considerazione della natura dell'obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto.
Conseguentemente, l'eccezione di prescrizione deve essere rigettata qualora il debitore ammette di non avere pagato, dovendo considerarsi sintomatica del mancato pagamento e, dunque, contrastante con i presupposti della relativa presunzione, la circostanza che l'obbligato abbia contestato di dovere pagare in tutto o in parte il debito o che soggetto obbligato sia un terzo, essendo tali circostanze incompatibili con la prescrizione presuntiva che presuppone l'avvenuto pagamento e il riconoscimento dell'obbligazione.
Al fine di superare la presunzione di adempimento gli unici mezzi idonei sono, quanto alla posizione del debitore opponente, l'ammissione di non avere estinto l'obbligazione e, quanto a quella del creditore, il deferimento al debitore del giuramento decisorio.
Quest'ultimo deve essere formulato in modo chiaro e specifico (art. 233, II, c.p.c.) e deve includere la tesi difensiva sostenuta dal debitore, in modo che, a seguito della prestazione del giuramento, il giudice possa limitarsi a verificare l'an iuratumsit, onde accogliere o respingere la domanda sul punto che ne ha formato oggetto.
La valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della formula adottata è rimessa all'apprezzamento del Giudice del merito ed è sindacabile solo in presenza di vizi logici o giuridici della motivazione.
Ne consegue che se il debitore si sia limitato ad eccepire in via generica l'estinzione, senza circostanziare le modalità del pagamento, la formula deve essere, a sua volta generica, mentre solo se sia stato precisamente indicato il modo in cui l'estinzione è avvenuta, detta formula deve aver riguardo alle circostanze del pagamento a pena di inammissibilità del giuramento.
• Corte appello Milano, sezione II, 12 aprile 2023 n. 1214

CONTO CORRENTE
Cointestazione - Tra coniugi - Espropriazione forzata presso terzi - Pignoramento presso la banca - Conseguenze.
(Cc, articolo 1854)
Rileva, in punto di diritto, la Corte d'Appello di Napoli che la cointestazione di un conto corrente, anche tra coniugi, fa presumere la qualità di creditori o debitori solidali del saldo del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni.
Ne consegue che il pignoramento presso la banca potrà riguardare la sola quota teorica spettante al cointestatario esecutato, e non la totalità del saldo.
Tale presunzione di parità di quote tra i cointestatari, prevista dall'art. 1854 c.c., può cedere di fronte all'allegazione da parte di uno tra i cointestatari di una situazione giuridica diversa, ad esempio sulla proprietà esclusiva delle somme giacenti in rapporto di conto corrente, purché le circostanze evidenziate assumano caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Trattasi di una presunzione legale juris tantum, poiché dà luogo soltanto all'inversione dell'onere probatorio, che può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, e che presuppone, perché possa ritenersi vinta, la dimostrazione non già che la materiale operazione di versamento sia stata effettuata solo da uno dei cointestatari, ma che la stessa abbia altresì avuto ad oggetto somme di pertinenza esclusiva di uno dei contitolari.
Inoltre, si rileva da parte dell'adita Corte che, nel caso in cui vengano depositate somme dopo la notifica del pignoramento, ma prima della dichiarazione del terzo, tali somme restano vincolate e soggette al pignoramento.
Infatti, nell'espropriazione forzata presso terzi, il credito assoggettato al pignoramento dev'essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all'accertamento del suo obbligo, al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l'esistenza, restando invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento e dovendosi escludere che l'inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo.
Corte appello Napoli, sezione I, 12 aprile 2023 n. 1658

PRESCRIZIONE
Riconoscimento di debito – Interruzione della prescrizione – Requisiti.

(Cc, articolo 2944; Dpr 26 ottobre 1972 n. 633, ex articolo 38-bis)
Per il Tribunale di Caltanissetta il riconoscimento di debito, quale atto interruttivo della prescrizione, pur non avendo natura negoziale, né carattere recettizio, e costituendo un atto giuridico in senso stretto, non solo deve provenire da un soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, ma richiede altresì in chi lo compie una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo a tal fine la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la dichiarazione possa avere finalità diverse o che lo stesso riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore.
Il riconoscimento del diritto può, quindi, anche essere tacito, concretandosi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore.
E così le trattative stragiudiziali che abbiano avuto ad oggetto esclusivamente la liquidazione del quantum e si siano svolte in circostanze e con modalità tali da implicare l'ammissione del diritto stesso sono idonee ad interrompere la prescrizione ex art. 2944 c.c..
La valutazione dell'idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione costituisce apprezzamento di fatto rimesso al Giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici ed errori giuridici.
Con specifico riferimento al debito tributario, da un lato, la domanda di rateizzazione proposta dal contribuente-debitore, anche se corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all'esito di accertamenti giudiziali in corso, unitamente ai pagamenti trimestrali, configura un riconoscimento di debito, con conseguente interruzione della prescrizione quinquennale, il cui nuovo termine decorrerà dalla scadenza delle singole rate; dall'altro lato, l'atto con cui la P.A. invita il contribuente, che abbia presentato istanza di rimborso (art. 38 bis, D.P.R. n. 633/1972), a produrre documentazione non costituisce riconoscimento del debito, ai sensi dell'art. 2944 c.c., e non interrompe, quindi, il decorso della prescrizione, per difetto del requisito dell'univocità.
Tribunale Caltanissetta, 11 aprile 2023 n. 239

VENDITA
Vendita a catena - Principio dell'autonomia – Responsabilità
. (Dlgs 6 settembre 2005 n. 206, articoli 104 e 131; Cc, articolo 1519-quinquies)
Soffermandosi sulla corretta esegesi dell'art. 131 D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), il Tribunale di Bergamo, sottolinea in sentenza come, nella vendita a catena, il principio dell'autonomia di ciascuna vendita non impedisca al rivenditore di proporre nei confronti del proprio venditore domanda di rivalsa di quanto versato a titolo di risarcimento del danno all'acquirente, quando l'inadempimento del rivenditore sia direttamente connesso e consequenziale alla violazione degli obblighi contrattuali verso di lui assunti dal primo venditore, con la sola esclusione del semplice mandatario.
E così, il rivenditore finale, quando deve rispondere nei confronti del consumatore per un vizio di conformità di un bene imputabile ad un'azione od omissione del produttore o di un precedente venditore della medesima catena distributiva o di un intermediario, può esercitare azione di rivalsa verso i responsabili.
La detta qualifica di intermediario - ai sensi dell'abrogato art. 1519 quinquies c.c., ora sostituito dall'art. 131 de quo - può essere attribuita solo ad un soggetto che sia coinvolto nella catena distributiva del detto bene e, in particolare, non può discendere dall'espletamento di un incarico conferito dal produttore ad un mandatario dopo l'evento che ne ha determinato la responsabilità.
Con la precisazione che nelle vendite "a catena" spettano all'acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l'autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori (restando salva l'azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio); quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell'altrui sfera giuridica.
Tribunale Bergamo, sezione IV, 12 aprile 2023 n. 766

CONTRATTO
Contratto preliminare - Contratto definitivo – Rapporti.

Secondo il Tribunale di Bologna quando alla stipula di un contratto preliminare segua, ad opera delle stesse parti, la conclusione del contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio, poiché il preliminare resta superato dal definitivo, la cui disciplina configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti, e si presume che sia l'unica regolamentazione del rapporto da esse voluta.
La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova (a carico dall'attore) - che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti, contemporaneamente, alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo.
In particolare, in tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, può adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprietà del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela.
Infine, il promissario acquirente non può essere considerato possessore neppure nell'ipotesi in cui ottenga dal promittente la disponibilità anticipata del bene che esercitata nel proprio interesse, ma nomine alieno, costituendo ciò una situazione di detenzione qualificata e non di possesso utile all'usucapione.
Il contratto preliminare ad effetti anticipati va ricostruito, invero, come ipotesi di collegamento negoziale: le parti stipulano dei contratti accessori al preliminare di vendita funzionalmente connessi, ma autonomi, rispetto ad esso, ciascuno disciplinato, pertanto, dalla pertinente normativa sostanziale. Essi sono qualificati come comodato, per quanto attiene alla concessione dell'utilizzazione del bene da parte del promittente venditore al promissario acquirente.
Tribunale Bologna, sezione II, 12 aprile 2023 n. 811

REGISTRO DELLE IMPRESE
Cancellazione della società dal registro delle imprese – Conseguenze - Responsabilità dei soci.
(Cpc, articolo 110; Cc, articolo 2495; Dpr 29 settembre 1973 n. 602, articolo 36)
Il Tribunale di Napoli Nord, in sentenza, richiama e fa proprio il principio di diritto per il quale alla cancellazione della società dal registro delle imprese consegue: a) la definitiva estinzione dell'ente; b) l'insorgenza di una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione qualora non sia stato ripartito l'intero attivo nella fase liquidatoria; c) la successione, in termini giuridici, per l'operare di un meccanismo di tipo "derivativo-successorio" ex art. 110 c.p.c., degli ex soci nei debiti della società, nei limiti ed alle condizioni previste dalla legge, ossia dall'art. 2495 c.c..
Con particolare riferimento, poi, al tema del contenzioso tributario, si precisa in sentenza che, a seguito di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, alla definitiva estinzione dell'ente consegue la successione degli ex soci nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, e ciò anche indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
Si è ritenuto, infatti, che la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, non consentano neppure di escludere l'interesse dell'Agenzia delle Entrate a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti.
In tema di legittimazione degli ex soci destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, la questione della limitazione della responsabilità dei soci alle sole somme riscosse in sede di liquidazione, non risulta dirimente nel caso in cui ben possono rilevare ricavi occultati e, dunque, non rilevabili documentalmente, ma che, in ragione della ristrettezza della base societaria, si presumono distribuiti a favore dei soci.
Tribunale Napoli Nord, sezione II, 12 aprile 2023 n. 1501

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO
Responsabilità medica – Risarcimento danni - Duplice ciclo causale.
(Cc, articoli 1176 e 1218)
Adito in materia di malpractice medica e risarcimento danni il Tribunale di Torino osserva in sentenza come, definitivamente superata la tradizionale dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato, in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 1218 e 1176 c.c., sia onere del paziente (asseritamente danneggiato) provare l'esistenza del contratto di spedalità e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria (e quindi il nesso causale con essa), restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile con l'uso dell'ordinaria diligenza da lui esigibile in base alle conoscenze tecnico – scientifiche del momento.
Il nesso causale tra la prestazione professionale eseguita e il danno lamentato, in quanto fatto costitutivo della domanda risarcitoria, deve essere provato dalla parte attrice.
Precisamente, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si delinea un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle.
Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante.
Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).
Se, al termine dell'istruttoria, restino incerti la causa del danno o quella dell'impossibilità di adempiere per causa non imputabile al debitore della prestazione, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano, rispettivamente, sull'attore o sul convenuto, e il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore.
Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge, per questi ultimi (ed eventualmente per la struttura sanitaria convenuta) l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile.
Tribunale Torino, sezione IV, 12 aprile 2023 n. 1587

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