Amministrativo

McDonald Caracalla, il vizio di procedimento e l'esercizio del potere di autotutela

Anche il "clamor fori mediatico" si inserisce nel novero delle ragioni che - unitamente al sotteso interesse principale, afferente alla tutela del bene paesaggistico - possono portare all'adozione del provvedimento di autotutela (Commento a Consiglio di Stato, sentenza n. 8641, 28.12.2021)

Terme di Caracalla, Roma

di Filippo Maria Salvo*

Con sentenza n. 8641 del 28 dicembre 2021 , la VI Sezione del Consiglio di Stato definisce la "vicenda Mc Donald's" che ha impegnato la cronaca romana per diverso tempo.

Oggetto del contendere era l'annullamento in autotutela del parere reso dalla Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, rilasciato alla I. S.r.l. (appellante) ed alla McDonald Development Italy LLC per il "restauro" e contestuale mutamento di destinazione d'uso di alcuni locali ricadenti nel centro storico di Roma.

Più nel dettaglio, la McDonald Development Italy LLC aveva preso in locazione dalla I. S.r.l. alcuni locali già adibiti a serra, siti in Roma, Via Baccelli 85, consistenti in una porzione di 453,00 mq, con destinazione d'uso commerciale, una porzione di 104,00 mq, con destinazione d'uso ufficio, una porzione di 165,00 mq, adibita a serra, al fine di "restaurare" detta unità immobiliare e, previo mutamento di destinazione d'uso, adibirla a fast food.

In particolare, l'intervento in parola consisteva in un "restauro conservativo, con cambio d'uso, da commerciale/servizi (uffici) a pubblico esercizio dell'edificio", finalizzato ad adeguare l'edificio all'attività di fast food, secondo un progetto di "riqualificazione e la riconfigurazione funzionale dell'immobile e generale risanamento ambientale dell'area di intervento limitrofa".

La società conduttrice e la proprietaria, invero, avevano ottenuto l'assentimento dell'intervento richiesto, da parte di diverse amministrazioni chiamate a pronunciarsi, sul punto.

In particolare, il progetto era stato assentito dalla Regione Lazio, che aveva rilevato come, siccome l'intervento rientrava in una zona vincolata ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. c), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (gli insediamenti urbani storici e territori contermini iscritti nella lista del patrimonio dell'UNESCO) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione per la tutela e valorizzazione previsto dalla "Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale", in mancanza di detto Piano la competenza ad esprimersi sarebbe spettata alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di competenza.

La Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l'Area archeologica di Roma del MIBAC si era espressa favorevolmente, così come anche la Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali, la quale aveva rilevato che, ricadendo l'area in "area UNESCO", per le opere con rilevanza esterna, era necessario acquisire il parere della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma.

Ancora, per quanto di sua competenza, il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica – Ufficio Autorizzazioni Paesaggistiche del Comune di Roma, in esercizio del potere di subdelega paesaggistica aveva, poi, precisato che "i lavori di cui trattasi, ai sensi dell'art. 43 co 15 delle norme del PTPR e dell'art. 134 del D.Lgs. 42/04, non necessitano della Autorizzazione Paesaggistica, di cui all'art. 146 del D.Lgs. 42/04, in quanto per i beni paesaggistici in questione si applicano le norme di tutela del "Piano generale di gestione degli insediamenti storici iscritti nella lista dell'Unesco".

Infine, la Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, relativamente al vincolo diffuso di cui all'art. 24 delle NTA del PRG di Roma, aveva reso parere favorevole.

Il vizio del procedimento.

Proprio quest'ultimo parere - e la contestuale proliferazione di proteste spontanee da parte di diversi cittadini ed associazione esponenziali - aveva determinato la Direzione Generale del Ministero ad esprimersi in via di autotutela.

Come sopra riferito, infatti, la Soprintendenza speciale non aveva emesso un provvedimento di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. 42/2004, come sarebbe stato doveroso (l'area in cui si trova l'immobile interessato è, infatti, tutelata dal PTP n. 15/12 "Valle della Caffarella, Appia antica ed Acquedotti e ricadente, in area attigua alle Terme di Caracalla, per la quale le relative NTA prevedono espressamente l'obbligatorietà del procedimento di autorizzazione paesaggistica).

Successivamente, quindi, in data 30 luglio 2019, la Direzione Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali aveva adottato il provvedimento di annullamento in autotutela contestato dinanzi al TAR Lazio e da tale Tribunale deciso con la sentenza fatta, poi, oggetto di gravame dinanzi al Consiglio di Stato.

Con tale provvedimento in autotutela, "nell'esercizio dei poteri straordinari di avocazione suddetti, e sulla scorta di ragioni di interesse pubblico", il Ministero, ai sensi del combinato disposto costituito dall'articolo 21-octies, comma 1, e 21-nonies, comma 1, della L. n. 241/1990:

a) aveva annullato il parere della Soprintendenza speciale Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma prot. n. 15395 del 24 luglio 2018 rilasciato alla società McDonald's Development Italy Llc conduttrice dell'immobile sito in Roma via Guido Baccelli n. 85, dove doveva sorgere uno dei ristoranti della nota catena di fast food;

b) e contestuale aveva avocato a sé il procedimento di valutazione dell'intervento di "riqualificazione e risanamento ambientale", ai sensi dell'art. 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e dell'art. 2, comma 1, II periodo, DM 44/2016, il quale disciplina l'esercizio dei "poteri di indirizzo, coordinamento, controllo e, solo in caso di necessita' ed urgenza, informato il Segretario generale, avocazione e sostituzione, anche su proposta del Segretario regionale" da parte della Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio del MIBACT.

L'esercizio del potere di autotutela.

Nella presente vicenda oggetto del contendere sono i presupposti e le modalità di esercizio del potere di autotutela da parte della Direzione Generale del MIBACT.

Come rilevato dal Consiglio di Stato, nella fattispecie, l'esercizio del potere di autotutela (avocazione e successivo annullamento) è consistito nell'adozione di un provvedimento "quasi-inibitorio", più che caducatorio. Il Ministero ha, infatti, diffidato la ditta costruttrice "...a presentare all'Ufficio autorizzazioni paesaggistiche del Comune di Roma e a questa Direzione generale, ai sensi dell'articolo 146, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004, il progetto degli interventi che intende intraprendere, corredato della prescritta documentazione, e ad astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non abbia ottenuto la prescritta autorizzazione".

Sul punto il Consiglio di Stato precisa anche che: "i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l'esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 18/06/2019, n. 4133).
Orbene, nel caso di specie, oltre al limitato periodo temporale trascorso fra il rilascio degli evocati assensi e l'intervento di rimozione, assumono preminente rilievo i plurimi elementi posti a base degli atti impugnati, pienamente coerenti ai principi predetti: la disciplina vigente ed il conseguente previo necessario rilascio dell'autorizzazione ex art. 146 cit., nei termini già sopra condivisi; la relativa erronea rappresentazione degli elementi di fatto e di diritto rilevanti nella fattispecie; la circostanza che i lavori di trasformazione erano appena stati avviati senza alcun consolidamento, con conseguente connessa valutazione della relativa situazione giuridica dei privati interessati. Emerge altresì dagli atti l'approfondimento motivazionale degli interessi pubblici connessi alla tutela dell'area e del contesto culturale coinvolto, nei termini correttamente indicati sia dalla sentenza impugnata che dalla difesa erariale, oltre che del tutto coerenti ai principi sopra richiamati in tema di autotutela
".

Cos'è l'autotutela?

L'autotutela (decisoria) rappresenta uno dei temi più dibattuti del diritto amministrativo.

Nella fase embrionale della ricostruzione del concetto di autotutela decisoria, questa venne ricondotta al costrutto che appariva meno distante, vale a dire a quello dell'autotutela propria del diritto civile [1] . La traslazione del concetto di autotutela nell'ambito del diritto pubblico fu operata per passaggi elaborativi lunghi e faticosi.

Già negli Anni ‘20-30 del secolo scorso la dottrina dell'epoca aveva argomentato la possibilità per la p.a. di "farsi giustizia da sé" dei propri provvedimenti, se del caso anche auto-annullandoli in presenza di elementi di contrasto con la Legge e con le altre fonti sovraordinate. La considerazione della possibilità per la p.a. di decidere dei propri provvedimenti prescindendo dal controllo giudiziale finì per far concludere nel senso che l'autotutela decisoria consisteva nell'esercizio di un potere "quasi giurisdizionale", proprio della p.a. e ad esso attribuito in via di privilegio [2].

In altri termini, la prima ricostruzione del potere di esprimersi in via di autotutela attribuì ad esso una sostanziale funzione giurisdizionale "autoimpugnatoria", finalizzata alla tutela dell'interesse pubblico e consistente in un potere-privilegio conferito alla p.a.. Questo ha condotto a configurare l'autotutela come riflesso di una discrezionalità assoluta della pubblica amministrazione, incoercibile, così come è incoercibile la scelta del privato di azionare giudizialmente un suo diritto. Ovviamente, a fronte di tale potere è stata anche riconosciuta la possibilità, per l'interessato, di sollecitare l'esercizio dell'autotutela, ma, a fronte di tale possibilità, la giurisprudenza più risalente codificò il principio per cui non sussiste alcun onere o obbligo in capo alla pubblica amministrazione di attivarsi nel senso richiesto.

In seguito all'entrata in vigore della Costituzione, la Giurisprudenza intese conservare le connotazioni fondamentali dell'istituto per come sino a quel momento inteso, anche se "...l'idea stessa di autotutela è mutata, non potendo più essere intesa quale privilegio dell'amministrazione ma come necessità del potere che deve soddisfare un interesse ormai diverso sia da quello dell'atto che ne è oggetto, sia da quello che attiene più genericamente all'amministrazione, assumendo così una causa propria" (TAR Campania, Salerno, I, 5 ottobre 2018, n. 1381).

Attualmente, la l. 7 agosto 1990, n. 241, nella versione rivisitata dal decreto "sblocca-Italia" del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con legge 11 novembre 2014, n. 164 (e poi anche dalla c.d. " Riforma Madia ", l. 7 agosto 2015, n. 124), codifichi alcuni istituti pertinenti all'autotutela decisoria, facendo leva su orientamenti sorti in ambito giurisprudenziale in epoca costituzionale.

In particolare, sono oggetto di disciplina l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio (art. 21 nonies, commi 1 e 3), di convalida (art. 21 nonies, c. 2), di revoca (art. 21 quinquies) e di riemissione dei provvedimenti annullati dal giudice per vizi inerenti atti endoprocedimentali (art. 21 decies). Secondo alcuni commentatori, anche la sospensione dell'efficacia e dell'esecutività del provvedimento amministrativo (art. 21 quater, c. 2) può rientrare nella funzione di autotutela decisoria.

Venendo alla questione oggetto della sentenza in nota, la fattispecie dell'annullamento in autotutela (o "autoannullamento") è disciplinata dall'art. 21 nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, per "ragioni di interesse pubblico", entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Dunque, anche in seguito delle modifiche che l'articolo in parola ha subito nel 2015, i presupposti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio con effetti ex tunc sono in primo luogo (ovviamente), l'illegittimità originaria del provvedimento, poi anche l'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (interesse che non coincide con il mero ripristino della legalità), la specifica considerazione di posizioni consolidate di legittimo affidamento in capo ai destinatari ed in capo ai controinteressati e comunque una puntuale motivazione che dia conto della effettiva e non solo lessicale valutazione comparativa degli interessi coinvolti nel procedimento di secondo grado.

Orbene, nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi propri del potere di autotutela, partendo dall'analisi della posizione della ditta destinataria di esso.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, dovrebbe ritenersi dimostrata l'illegittimità del provvedimento emesso dalla Soprintendenza. Dovrebbe anche ritenersi acclarato il fatto che il Ministero aveva la possibilità di esercitare il proprio potere di avocazione e contestualmente di annullare in autotutela il provvedimento in parola, siccome "è la stessa estensione del peculiare istituto della avocazione – in cui in linea generale un organo amministrativo esercita il potere di compiere un atto che rientrerebbe nella competenza di un altro organo, di regola, inferiore – a comprendere tutti gli ambiti della funzione acquisita, compreso il potere di autotutela".

Sussistevano, poi, nella fattispecie, anche gli altri elementi fondamentali dell'adozione di annullamento in autotutela.

In particolare, quanto alla considerazione del rilevante interesse pubblico, questo doveva desumersi dalla necessità ed urgenza di intervenire, a fronte della evocata eco mediatica e dell'inizio dei lavori. Inoltre, lo spazio temporale relativamente breve intercorrente tra il rilascio degli atti di assenso annullati in autotutela e l'avvio dei lavori di "restauro" era inidoneo a radicare un legittimo affidamento in capo alla Immobilflora, quanto al mantenimento degli assensi stessi.

Commento.

Al di là della precisa ricostruzione in fatto della vicenda, la sentenza del Consiglio di Stato, quanto ai presupposti di esercizio del potere di autotutela, ha in sé un che di innovativo, avendo posto a fondamento del presupposto di esercizio del potere di autotutela non solo il rilevante interesse alla tutela del patrimonio paesaggistico, ma anche "l'eco mediatica" sorta in relazione all'intervento di che trattasi.

L'esercizio del potere di autotutela presuppone, infatti, che questo approdi al soddisfacimento di un interesse pubblico concreto e rilevante (anche se dai tratti poco definiti a livello normativo), in linea di principio diverso da quello del generico ripristino della legalità.

Sussiste tale condizione nei casi - ad esempio - di sopravvenienza di situazioni di fatto incompatibili con pregresse decisioni assunte dalla p.a. (v. TAR Lazio, I, 15 febbraio 2021, n. 1814) o nel caso di dimostrata falsità di documenti posti alla base del primigenio provvedimento (v. TAR Puglia, Bari, II, 13 settembre 2021, n. 1359) o, al contrario, nel caso di mal ritenuta inesistenza o falsità di documenti o atti prodromici, che, invece, erano esistenti (v. Cons. Stato, VI, 9 gennaio 2020, n. 183) o in tante altre ipotesi in cui l'obbligo di provvedere in autotutela è stato ritenuto sussistente in relazione a fattispecie particolari nelle quali "ragioni di giustizia e di equità" richiedono l'adozione di un provvedimento espresso, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione.

Con la sentenza in esame, anche questa sorta di "clamor fori mediatico" si inserisce nel novero delle ragioni che - unitamente, ovvio, al sotteso interesse principale, afferente alla tutela del bene paesaggistico - possono portare all'adozione del provvedimento di autotutela

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*A cura dell'Avv. Filippo Maria Salvo, Partner 24 ORE Avvocati

[1] V. M.S. Giannini, Atto amministrativo, in Enc. dir., vol. III

[2] v. S. Romano, voce "Annullamento" in Nuovo Digesto Italiano (1937), pagg. 473 e segg.: "Di autotutela può parlarsi in quanto i privati, di regola, per fare annullare un atto, è necessario che si rivolgano all'autorità competente, mentre le pubbliche amministrazioni possono ciò fare direttamente, salvi i controlli cui vanno soggette siffatte loro pronunce".

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