Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 6 e il 10 giugno 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello intervengono in tema di: responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso al lavoratore; compravendita immobiliare (con riguardo alla necessità per il venditore di dotarsi del certificato di abitabilità); diritto al panorama; dimissioni dell'amministratore di condominio; forma dei contratti bancari.
Da parte loro i Tribunali sono chiamati a pronunciarsi sulla responsabilità da prodotto difettoso, sull'azione di riduzione, sulla figura del coobbligato nel contratto di finanziamento, sulla responsabilità del direttore dei lavori nell'appalto e, infine, sul riparto delle spese per le prestazioni sociosanitarie.


SICUREZZA LAVORO
Infortunio occorso al lavoratore - Responsabilità del datore di lavoro – Natura giuridica – Onere della prova
(Cc, articolo 2087)
La sezione lavoro della Corte d'Appello di Milano si sofferma, in sentenza, sulla corretta esegesi della norma di cui all'articolo 2087 c.c. osservando come la stessa imponga all'imprenditore, in ragione della sua posizione di garante dell'incolumità fisica del lavoratore, di adottare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze.
Tali misure devono essere distinte tra: 1) quelle tassativamente imposte dalla legge; 2) quelle generiche dettate dalla comune prudenza; 3) quelle ulteriori che in concreto si rendano necessarie.
E così, ai fini dell'accertamento della responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.
È evidente, quindi, che il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell'attività lavorativa non determini di per sé l'addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l'altro, della nocività dell'ambiente di lavoro.
Pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, la responsabilità dell'imprenditore ex articolo 2087 c.c. non è, tuttavia, circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica dei lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico.
In conclusione, si afferma da parte dell'adita Corte che il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia se ometta di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente.
Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, sentenza 7 giugno 2022 n. 555

COMPRAVENDITA IMMOBILIARE
Compravendita immobiliare - Certificato di abitabilità – Assenza – Conseguenze
(Cc, articolo 1477; Dpr 6 giugno 2001, n. 380; Dpr 22 aprile 1994, n. 425)
Secondo quanto affermato in sentenza dalla Corte d'Appello di Bari, adita in tema di compravendita immobiliare, il certificato di abitabilità integra un requisito giuridico essenziale ai fini non solo del legittimo godimento, ma anche della normale commerciabilità del bene. Si è dunque in presenza di un inadempimento idoneo alla risoluzione del contratto, siccome conseguente alla vendita di "aliud pro alio", quando detto certificato non venga formalmente rilasciato e l'immobile presenti insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche, non essendo il cespite oggettivamente in grado di soddisfare le esigenze concrete di sua utilizzazione, diretta o indiretta, ad opera dell'acquirente.
Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per l'ottenimento del certificato in ragione di insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle altre ipotesi l'omissione del venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica dell'importanza e gravità dell'inadempimento in relazione alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione dell'immobile.
Peraltro, già prima della entrata in vigore del Testo unico in materia edilizia (Dpr n. 380/2001) e del Dpr n. 425/1994 era profilo pacifico che, nella negoziazione di beni immobili con destinazione residenziale, fra i documenti relativi alla proprietà ed all'uso della cosa negoziata che il promittente o l'alienante deve mettere a disposizione del promissario o dell'acquirente, a norma dell'articolo 1477, III, c.c., è da intendersi compreso anche il certificato di abitabilità, in quanto, di massima, il possesso di tale documento è indispensabile ai fini della piena realizzazione della funzione socio-economica del contratto.
Corte di Appello di Bari, sezione II, sentenza 9 giugno 2022 n. 922

EDILIZIA
Diritto al panorama – Costituzione - Limiti

Osserva la Corte d'Appello di Catania come, in linea di principio, pur in assenza di una espressa previsione codicistica, si debba riconoscere l'esistenza di una servitù di panorama, che si configura come una servitù altius non tollendi, ove l'utilitas è rappresentata dalla particolare amenità di cui il fondo dominante gode per la veduta, che non può essere pregiudicata dall'innalzamento di costruzioni o alberature.
Una tale servitù è negativa perché conferisce al suo titolare non la facoltà di compiere attività, o di porre in essere interferenze sul fondo servente, ma di vietare al proprietario di quest'ultimo un particolare, e determinato, uso del fondo stesso.
E così, in presenza di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta, anche la servitù di panorama può essere acquisita, oltre che per titolo negoziale, per usucapione e destinazione del padre di famiglia.
Il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo, in ragione della preesistenza della visuale all'acquisto dell'immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi (ovvero una servitù negativa e non apparente) può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall'originario unico proprietario o dell'esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta.
Può allora ritenersi che sia possibile acquistare una servitù di panorama, consistente nella particolare amenità del fondo dominante per la visuale di cui gode, anche per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia), con la precisazione che la stessa necessita di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la servitù di veduta, altrimenti questa comporterebbe sempre quella, e specificamente destinate all'esercizio della servitù invocata.
Corte di Appello di Catania, sezione II, sentenza 10 giugno 2022, n. 1263

CONDOMINIO
Amministratore di condominio – Dimissioni – Revoca
(Cc, articoli 1129; 1727)
Sottolinea la Corte d'Appello di Lecce come in materia di amministratore di condominio dimissionario l'irrevocabilità delle dimissioni costituisce una formula di stile per comunicare la definitività della decisione senza produrre effetti preclusivi nel senso che, innanzi all'assemblea dei condomini, nulla può escludere il ripensamento.
In ambito condominiale, la nuova stesura dell'articolo 1129, VIII, Cc prevede l'importante novità di consentire anche all'amministratore dimissionario ("alla cessazione dell'incarico") di agire in prorogatio, e anche in caso di dimissioni, l'assemblea resta sovrana nella nomina dell'amministratore nel senso che se la assemblea decide sulla nomina e l'amministratore recede dalle dimissioni, il deliberato resta valido.
L'istituto della prorogatio imperii - che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell'interesse del condominio alla continuità dell'amministratore - è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell'opera dell'amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all'articolo 1129, II, c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o di annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che l'amministratore di condominio, o di altro tipo di comunione, la cui nomina sia stata dichiarata invalida continua ad esercitare legittimamente, fino all'avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza dei comproprietari.
Con la precisazione, peraltro, che la perpetuatio di poteri in capo all'amministratore uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all'articolo 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all'interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell'assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore, cessato dall'incarico.
Quando poi l'amministratore insista nelle sue dimissioni (e, quindi, sostanzialmente rinunci al mandato) innanzi all'assemblea, la stessa non può insistere nella nomina in applicazione delle regole del contratto di mandato (articolo1727 c.c.).
Corte di Appello di Lecce, sezione II, sentenza 10 giugno 2022 n. 668

BANCHE
Contratti bancari – Forma scritta – Ipotesi di attenuazione
(Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articolo 117; legge 17 febbraio 1992, n. 154, articolo 3; Delibera Cicr 4 marzo 2003)
La Corte d'Appello di Torino, intervenuta in materia di forma dei contratti bancari, sottolinea in sentenza come, l'articolo 3, III, legge n. 154/1992 e successivamente l'articolo 117, II, Dlgs n. 385/1993 (Tub), abilitino la Banca d'Italia, su conforme delibera del Cicr, a stabilire che "particolari contratti" possono essere stipulati in forma diversa da quella scritta.
Di conseguenza – sempre secondo la Corte - quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta, in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto, deve essere inteso nel senso che l'intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l'indicazione nel "contratto madre" delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il "contratto figlio".
Si giunge così a ritenere che l'apertura di credito deve essere stipulata per iscritto a pena di nullità a meno che non sia già prevista e disciplinata nel contratto di conto corrente, stipulato per iscritto, come stabilito dalla delibera Cicr 4 marzo 2003, in applicazione dell'articolo 117, II, cit.
Si consideri, poi, che, nei rapporti bancari è affermazione largamente condivisa quella della piena validità del contratto cosiddetto "monofirma".
Si tratta, cioè, del contratto sottoscritto dal solo cliente e la cui validità si giustifica in ragione della circostanza che il requisito della forma scritta ex articolo 117 Tub risulta essere funzionale alla sola tutela della trasparenza dell'operazione bancaria nei confronti del contraente debole, al fine di assicurare in favore di quest'ultimo, da parte dell'istituto di credito, la piena indicazione delle condizioni contrattuali applicate.
Poiché la nullità per difetto di sottoscrizione dei contratti bancari è finalizzata alla tutela del contraente debole (cosiddetta nullità di protezione) consegue che il cliente di un istituto bancario non può dolersi dell'assenza di sottoscrizione da parte del cosiddetto contraente forte (e cioè del funzionario di banca), esorbitando una siffatta regola formale dagli scopi di protezione perseguiti dal Legislatore.
Corte di Appello di Torino, sezione I, sentenza 10 giugno 2022 n. 639

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Prodotto difettoso - Danni – Responsabilità (Cpc, articolo 106; Dlgs 6 settembre 2005, n. 206, articolo 131)
Il Tribunale di Pisa, in sentenza, sottolinea come, nel sistema del Codice del Consumatore (Dlgs n. 206/2005) il compratore abbia azione contrattuale solo ed esclusivamente nei confronti del proprio dante causa diretto, cioè del proprio venditore, non potendo agire, a livello contrattuale, nei confronti degli altri anelli della catena di vendita (produttore e/o importatore).
Invero, ai sensi dell'articolo 131 del citato Codice, in capo al venditore finale, nelle ipotesi di responsabilità nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, è attribuito diritto di regresso, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte
della suddetta catena distributiva.
Ne discende che il compratore può far valere la responsabilità da prodotto difettoso nei confronti del venditore, il quale è tenuto a risponderne, salvo possibilità di agire in regresso per il recupero di quanto condannato a pagare.
Con la precisazione che l'azione di manleva può essere promossa dal venditore anche con chiamata del terzo nel processo intentato contro di lui dal consumatore e anche prima che abbia adempiuto nei confronti di quest'ultimo.
La norma de qua, inoltre, contempla espressamente la possibilità che il terzo indicato come produttore o precedente fornitore possa essere chiamato nel processo ex articolo 106 c.p.c. e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata compare e non contesta l'indicazione.
È, dunque, proprio il dettato normativo a contemplare la possibilità, da un lato, che il rivenditore chieda l'estromissione dal processo in cui intervenga su sua chiamata il produttore e, dall'altro, a qualificare siffatta chiamata come in garanzia mediante l'esplicito richiamo all'articolo 106 c.p.c..
Tribunale di Pisa, sentenza 6 giugno 2022, n. 752

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Azione di riduzione - Lesione di legittima – Verifica
(Cc, articoli 457, 536, 549, 556)
Osserva il Tribunale di Palermo come, in tema di azione di riduzione, l'omessa allegazione nell'atto introduttivo di beni costituenti il "relictum", e di donazioni poste in essere in vita dal "de cuius", anche in vista dell'imputazione "ex se", ove la loro esistenza emerga dagli atti di causa, ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il Giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova.
Ancora in punto diritto, il Tribunale precisa che, in tema di azione di riduzione per lesione di legittima, la decisione in ordine all'intervenuto superamento, da parte dell'autonomia testamentaria, del limite dell'intangibilità dei diritti riservati ai legittimari (articoli 457, 536 ss. e 549 c.c.), postula il compimento di tre operazioni di calcolo: anzitutto, occorre accertare la massa dei beni lasciati dal de cuius al momento della morte; ad essa, poi, devono essere sottratti i debiti ereditari; infine, all'importo così ottenuto vanno riuniti i beni di cui l'ereditando ha disposto in vita mediante donazione (cosiddetta riunione fittizia).
Né meno importante è la regola in base alla quale il relictum deve comprendere tutti i beni ed i diritti suscettibili di valutazione economica che il defunto lascia alla sua morte, da calcolarsi in base al valore che essi assumono al tempo dell'aperta successione, giusta il rinvio operato dall'articolo 556 c.c. alle norme sulla collazione per imputazione.
Si tratta di una regola che è ritenuta applicabile anche ai crediti ed al denaro, i quali andranno, pertanto, attratti alla massa ereditaria secondo il loro valore nominale al momento dell'apertura della successione, essendo irrilevanti eventuali fenomeni di sopravvenuta svalutazione.
Tribunale di Palermo, sezione II, sentenza 9 giugno 2022 n. 2492

CONTRATTO
Contratto di finanziamento - Coobbligato – Natura giuridica
(Cc, articoli 1292, 1294, 2740)
In punto di diritto afferma il Tribunale di Salerno che in un contratto di finanziamento quale quello del "coobbligato" è una figura che dal punto di vista del "nomen iuris" non riceve una propria autonoma e compiuta disciplina nel codice civile, ma che è certamente riconducibile all'ipotesi della solidarietà passiva di cui all'articolo1294 c.c., trattandosi di un condebitore tenuto ad adempiere all'obbligo restitutorio insieme al mutuatario, nell'ottica di rafforzamento ed attuazione del diritto di credito della parte mutuante (funzione tipica, peraltro, della solidarietà passiva, che si concreta nella moltiplicazione dei debitori coobbligati nei cui confronti il creditore può agire per ottenere l'adempimento dell'obbligazione e, dunque, nella corrispondente moltiplicazione dei patrimoni che il creditore comune può aggredire in forza della regola della responsabilità patrimoniale generica ex articolo 2740 c.c.).
Altrimenti opinando, non si comprenderebbe – secondo l'adito Tribunale - il senso della sottoscrizione del contratto da parte di un soggetto quale "coobbligato", laddove poi questi potrebbe liberarsi agevolmente dal vincolo contrattuale invocando l'irrilevanza giuridica della relativa qualificazione contrattualmente assunta, in spregio ai più elementari principi di buona fede oggettiva (altrimenti incentivandosi la stipulazione di contratti di prestito con la riserva mentale di poterli poi non onorare), di autoresponsabilità e di conservazione degli atti giuridici.
In definitiva, l'aver utilizzato in un contratto di prestito al consumo l'espressione "coobbligato", è circostanza di per sé sufficiente a qualificare l'obbligazione assunta come solidale in quanto anche se tale espressione non trova rispondenza in alcun istituto, questa deve ritenersi certamente riferita alla qualità di debitore solidale ai sensi dell'articolo 1292 c.c..
Tribunale di Salerno, sezione I, sentenza 9 giugno 2022 n. 2058

APPALTO
Contratto di appalto – Direttore dei lavori – Responsabilità
(Cc, articolo 2055)
Secondo il Tribunale di Napoli il direttore dei lavori è responsabile per i vizi dell'opera appaltata. Precisamente, in capo al direttore dei lavori, sorge la medesima obbligazione risarcitoria gravante sull'appaltatore e avente per oggetto le opere necessarie per eliminare i vizi e rendere l'opera conforme alla regola dell'arte.
E così, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto".
Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonchè l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi.
Non si sottrae, dunque, a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonchè di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.
Il vincolo di responsabilità solidale (che trova fondamento nel principio di cui all'articolo 2055 c.c.) fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, genera a carico del secondo l'identica obbligazione risarcitoria del primo, avente ad oggetto le opere necessarie all'eliminazione dei vizi ed all'esecuzione dell'opus a regola d'arte.
Tribunale di Napoli, sezione XII, sentenza 10 giugno 2022, n. 5831

SANITA'
Prestazioni sociosanitarie – Costi - Ripartizione
(Cost., articolo 117; Cc, articolo 2697; legge 8 novembre 2000, n. 328)
Intervenuto in merito ad una controversia sul pagamento della retta per il ricovero presso una Casa Residenza per anziani l'adito Tribunale di Rimini osserva in sentenza come, in materia di prestazioni socio-sanitarie, assuma rilievo una molteplicità di fonti normative (leggi nazionali e regionali, delibere, decreti) che hanno introdotto all'interno dell'ordinamento giuridico, a far data dall'anno 2001, un nuovo principio che regola la ripartizione complessiva dei costi relativi alle prestazioni sanitarie ed assistenziali, imputandoli, a seconda dei casi ed in presenza di determinati presupposti, a carico del Ssr (Servizio Sanitario Regionale), dell'utente e del comune di residenza di quest'ultimo (legge, n. 328/2000).
In generale, da una lettura complessiva di tale normativa, che si pone in continuità a quanto espressamente previsto ex articolo 117 Cost. (che attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, anche sanitarie, i cosiddetti L.E.A., ed alla potestà legislativa concorrente delle Regioni la tutela della salute), si ricava che alle Regioni è stato affidato il potere di stabilire la ripartizione sociale e sanitaria dei costi delle prestazioni sociosanitarie per i soggetti non autosufficienti o disabili, nonché di determinare i criteri per il concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni. Quanto alle Rsa, la quota sociale viene poi gestita fra l'utente ed il comune di residenza, il quale decide come ripartire la spesa sulla base di criteri regionali.
La gratuità delle prestazioni erogate all'utente non può essere affermata in astratto, richiedendo sempre una valutazione concreta sulla natura delle prestazioni e sull'effettiva inscindibilità delle prestazioni di natura sanitaria da quelle assistenziali.
In altre parole, non può discutersi in termini generali di un diritto assoluto ed incomprimibile da parte dell'utente, seppur affetto da gravi patologie, di ottenere prestazioni sanitarie a completo carico del sistema sanitario, essendo possibile (alla luce del quadro normativo di riferimento) che certe prestazioni assistenziali e sanitarie, laddove erogate in ricoveri di lungodegenza, ovvero quando risultino operativamente indistinguibili, siano poste anche a carico dell'utente.
L'onere di provare la natura giuridica delle prestazioni e la qualificazione delle stesse incombe sul privato-interessato (attore) tenuto a dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto ex articolo 2697 c.c..
Tribunale di Rimini, sentenza 10 giugno 2022 n. 569

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