Civile

La transazione "semplice" sconta l'imposta di registro in misura fissa e non proporzionale

Ove il negozio transattivo contempli solo il pagamento di somme a titolo di restituzione, esso non può che scontare l'imposta di registro fissa e non di certo in misura proporzionale (Commento a Corte di Cassazione, Sez. V Civile, Ord. 10 agosto 2022, n. 24642)

di Leonardo Maria Galieni*

Nell'ipotesi in cui le parti addivengano ad una transazione c.d. semplice - e quindi senza alcun effetto traslativo - che preveda esclusivamente un obbligo restitutorio di somme di danaro (nella fattispecie l'IVA versata a titolo di acconto su un preliminare), l'atto transattivo sconta l'imposta di registro in misura fissa e non proporzionale.

Ed è con tale argomentazione che la Corte di Cassazione, Sez. V, con pronuncia 24642 del 10.08.2022 , nel ribaltare la decisione assunta dai Giudici di seconde cure, ha negato ingresso alla pretesa avanzata dall'Ufficio, accogliendo correlativamente il ricorso promosso dalle Società ricorrenti.

Per quanto emerge dal testo della statuizione due società, rispettivamente nella veste di promittente venditrice e promissaria acquirente, a seguito della mancata stipula del definitivo avevano concluso un accordo transattivo con cui la seconda avrebbe corrisposto alla prima l'importo che la stessa aveva già versato nelle casse dell'Erario per IVA, giammai riscossa.

In sostanza, poiché in sede di preliminare la società venditrice aveva emesso una fattura a titolo di acconto sul prezzo, in base al disposto di cui all'art. 6 del D.P.R. n. 633/72 (specularmente sul versante unionale ex art. 65 della Dir. IVA n. 112/2006) era tenuta a versare l'imposta sull'acconto indicato in fattura secondo il meccanismo della c.d. esigibilità anticipata dell'IVA (cfr. in tal senso C.T.R. Campania, Sez. 18, n. 2195 del 05/03/2020).

A dispetto della comune intenzione delle Parti, che peraltro avevano espressamente convenuto che tale dazione di denaro fosse solo un obbligo restitutorio e non integrasse un'obbligazione risarcitoria, l'Ufficio emetteva avviso di liquidazione con cui richiedeva la maggiore imposta proporzionale.

In sede di appello la C.T.R., nell'accogliere le ragioni erariali, riteneva che fosse "una transazione per mezzo della quale si è determinato e convalidato un credito scaduto da oltre 18 mesi e ne è stato determinato il pagamento rateizzato in 24 mesi pattuendo che non vi erano risarcimenti danni da sanare tra le parti" legittimando così l'applicazione dell'imposta in misura proporzionale.

A fronte di tale decisione, le contribuenti ricorrevano innanzi alla S.C. lamentando, per quanto d'interesse, che la C.T.R.:
• non avesse fatto buon governo della normativa di riferimento, e cioè l'art. 29 del D.P.R. n. 131/1986, la quale prevede l'imposta proporzionale solo per obblighi di pagamento, senza che possano considerarsi tali quelli di restituzione;
• avesse in ogni caso violato il principio dell'alternatività IVA-registro di cui all'art. 40 del D.P.R. n. 131/1986.

Orbene la S.C., nell'accogliere il primo punto, ritenendo assorbito il secondo (che poi si intende trattare nel dettaglio più in avanti), non solo ha sconfessato l'argomentazione spesa dai Giudici di secondo grado ma, in aggiunta, ha altresì rimarcato la contraddittorietà dell'impianto motivazionale; contraddittorietà che, come noto, è censurabile nel giudizio di Cassazione in virtù del comb. disp. di cui agli art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c. e art. 36, c. 2, n. 4 del D.Lgs. n. 546/1992.

Al riguardo, nell'accennare all'impostazione normativa previgente che distingueva espressamente gli effetti fiscali della transazione a seconda che assumesse natura semplice ovvero novativa (ex T.U. del 1923, poi abrogato), i Giudici di legittimità:
• dapprima hanno citato la nozione civilistica ex art. 1965 c.c., rinviando poi al citato binomio (per autorevole dottrina si veda sul thema F. Carresi, La transazione, in Tratt. Vassalli, IX, Torino 1956, p. 228; F. Santoro Passarelli, La transazione II edizione, Napoli 1975; A.Palazzo., Transazione, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, Torino, 1999)
per poi
• soffermarsi sul tenore normativo dell'art. 29 del D.P.R. n. 131/1986, ratione temporis applicabile alla fattispecie di causa.

Ebbene, partendo dal fatto che la norma sancisce testualmente che "per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l'imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione ne' di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l'imposta è dovuta in misura fissa", gli stessi hanno conseguentemente ritenuto che ove il negozio transattivo contempli solo il pagamento di somme a titolo di restituzione, esso non può che scontare l'imposta di registro fissa e non di certo in misura proporzionale.

A ben vedere, "pur se la restituzione di somme di denaro si attua tramite un pagamento, con essa la parte non consegue un arricchimento, bensì semplicemente ottiene il ripristino della situazione quo ante"; di talché, anche in ossequio al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., non poteva ravvisarsi alcun incremento di ricchezza a beneficio della promittente venditrice giacché la stessa veniva ristorata soltanto dell'IVA che aveva versato a titolo di acconto, ma all'epoca non riscossa per inadempimento "pre-contrattuale" imputabile alla promissaria acquirente.

In aggiunta, come supra anticipato, appare di rilievo l'acuta osservazione stigmatizzata dai Giudici di legittimità rispetto al ragionamento argomentativo speso - ma in maniera contraddittoria - dalla C.T.R.

Invero, sebbene i Giudici di appello avessero appurato l'assenza di qualsiasi pretesa risarcitoria anche per quanto convenuto dalle parti ex art. 1362 c.c., in maniera del tutto inspiegabile hanno fatto discendere da tale pattuizione un effetto fiscale del tutto abnorme e in contrasto rispetto a quanto sancito ai fini del registro dal cit. art. 29.

L'assenza di un obbligo di pagamento (non intendendosi tale quello restitutorio come peraltro stabilito dalla norma), neppure a titolo risarcitorio, avrebbe invece dovuto far propendere i Giudici di seconde cure per l'inapplicabilità dell'imposta in misura proporzionale, non di certo il contrario.

Ravvisando dunque una manifesta violazione del disposto di cui al cit. art. 29 la Corte ha disconosciuto la pretesa erariale con condanna alla refusione delle spese di lite a carico del Fisco.

Ad onor del vero, se nella fattispecie in esame la violazione è conclamata, non da meno deve riconoscersi come in altre ipotesi la richiesta dell'imposta in misura proporzionale da parte dell'Ufficio possa ammettersi (sempre che le condizioni di Legge risultino applicabili alle peculiarità del caso).

Ne è un esempio l'interpello con cui si richiedeva quale fosse il trattamento fiscale applicabile agli atti di transazione tra gli eredi ed un terzo, con obbligo di pagamento a carico di quest'ultimo.

Ebbene, con Risp. n. 390/2021 l'A.F., nel rilevare come la fattispecie negoziale contemplasse un obbligo di pagamento a carico del terzo a beneficio degli eredi (e quindi un incremento di ricchezza a favore di quest'ultimi) e nel tracciare il disposto normativo di cui al cit. art. 29, ha ritenuto applicabile l'imposta proporzionale di registro con l'aliquota del 3% prevista per gli atti a contenuto patrimoniale.

Sul fronte giurisprudenziale, si segnala anche l'orientamento espresso dalla Suprema Corte in relazione agli accordi transattivi in cui siano previsti effettivi obblighi di pagamento. In tal senso, se la parte creditrice rinuncia al diritto di credito portato da un decreto ingiuntivo definitivo a seguito del versamento della debitrice di una somma a forfait (c.d. saldo e stralcio), la dazione in esame integra un obbligo di pagamento, id est soggetta all'imposta proporzionale di registro (cfr. Cass., Sez. V, n. 29382 del 13.11. 2019 ).

Meritevole di approfondimento, a parere di chi scrive, è anche il profilo attinente l'applicabilità o meno del principio di alternatività IVA-registro di cui all'art. 40 del D.P.R. n. 131/86 a fattispecie che, come quella affrontata dalla pronuncia in oggetto, assumano valenza transattiva.

Ebbene, ancorché non scrutinato dalla Corte anche in ragione del criterio della c.d. "ragione più liquida", la sua operatività era stata invocata dalle Parti ricorrenti.

Premettendo che tale norma sancisce il precetto per cui "Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa", occorre comprender se esso potesse applicarsi o meno alla fattispecie de qua.
A tal fine, se si volesse tracciare una chiave di lettura, essa può rinvenirsi nell'esame del negozio transattivo sotto due profili che, seppur distinti, risultano essere in un certo qual modo interdipendenti tra di essi.

Nello specifico:
in primis, anche per aver contezza della regolamentazione negoziale posta in essere tra le parti, occorre verificare se si sia in presenza di una transazione c.d. semplice (come quella affrontata dai Giudici) ovvero novativa;
in secundis, bisogna appurare se ricorrono i presupposti impositivi ai fini IVA.

Partendo dal primo aspetto, se l'individuazione della natura permette di circoscrivere gli effetti giuridici del negozio transattivo (se meramente modificativi nella prima species oppure sostitutivi e/o costitutivi di un nuovo rapporto per la seconda), al contempo ciò consente una disamina ancor più puntuale sul trattamento fiscale applicabile. Disamina che, tuttavia, non sempre è seguita in modo condivisibile.

Al riguardo, si segnala un orientamento di legittimità che, nel ripercorrere la tradizionale distinzione dottrinale tra transazione novativa (e cioè di un negozio che può atteggiarsi come atto di composizione dell'originario rapporto litigioso mediante la conclusione di uno nuovo) e semplice (e cioè di un accordo che apportando solo delle modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con l'atto originario) ha di contro ritenuto che la prima species, stante la natura e gli effetti ad essa riconducibili, "si sottrae al regime di alternatività IVA-registro riferibile al rapporto originario" (cfr. Cass., Sez. V, Ord. n. 17869 del 23.06.2021 ).

A sommesso parere di chi scrive, una simile impostazione non coglie nel segno giacché, al di là della sussistenza o meno di un nesso con il rapporto d'origine, detto principio deve aver riguardo solo al trattamento fiscale applicabile al negozio transattivo (assoggettabilità ad IVA o meno). Di talché, se le prestazioni derivanti dalla transazione sono soggette ad IVA, l'imposta di registro non può che applicarsi in misura fissa, pena la violazione del principio de quo.

Quanto al secondo profilo di indagine, è su tale aspetto che si "gioca la partita": occorre dunque stabilire se l'accordo transattivo integri o meno i presupposti impositivi ai fini IVA, per poi muoversi conseguentemente sul versante del registro in virtù del meccanismo dell'alternatività.

A tal fine, così come suggerito anche dall'dall'Agenzia delle entrate (cfr. A.F., Risp. interp. n. 178/2019 ) per ben delineare il relativo trattamento fiscale è necessario effettuare una valutazione "case to case" così da poter meglio individuare la specifica e concreta volontà delle parti.

In linea con tali indicazioni, si è così ritenuto che "In attuazione di tale principio, per stabilire il corretto trattamento impositivo applicabile a somme rivenienti da un accordo transattivo, occorre verificare se ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto" (cfr. A.F., Risp. interp. n. 179/2021 ).

Parimenti, anche per l'ipotesi di permuta tra una prestazione soggetta ad IVA e una c.d. "fuori campo", l'A.F. ha affermato che, in applicazione del precetto dell'alternatività IVA-registro, quest'ultima si applica sull'operazione non soggetta ad IVA (cfr. A.F., Circolare n. 18 del 29/05/2013 - Dir. Centrale Normativa).

Sempre nell'ottica di inquadrare il trattamento fiscale riferibile alle prestazioni sorte da accordo transattivo l'A.E., in tema di prestazioni di non facere, ha ritenuto che le medesime rientrano tra le operazioni soggette a IVA purché si collochino all'interno di un rapporto sinallagmatico (cfr. A.F., Risp. Interp. n. 356/2021 ).
Interpretazione che, per onor di cronaca, si discosta da quanto era stato invece statuito in un peculiare caso affrontato dalla C.G.U.E (cfr. C.G.U.E., Mohr e Landboden-Agrardienste, cause C-215/94 del 29.02.1996 e C-384/95 del 18.121997).

Per comprender dunque il margine operativo di tale principio illuminante è l'orientamento assunto dalla Suprema Corte la quale ha sancito che il medesimo non è condizionato dall'effettiva applicazione dell'IVA sull'operazione considerata, risultando sufficiente che la stessa rientri tra le operazioni rilevanti ai fini di tale tributo (ancorché poi di fatto qualificabili come non imponibili o esenti).

Di converso, resteranno assoggettate all'imposta di registro in misura proporzionale solo le operazioni non soggette a IVA per carenza dei requisiti impositivi di cui al D.P.R. n. 633/72, id est quelle c.d. fuori campo (cfr. Cass., n. 242 del 12.01.2021 ).

Affrontati tali profili, e sulla scorta del principio testé richiamato, con riguardo alla fattispecie di causa si è dell'avviso che l'art. 40 cit. sarebbe stato comunque applicabile, con relativa imposta di registro in misura fissa.

Invero, dal momento che la transazione concordata tra le Parti era specificamente volta a regolamentare la restituzione dell'IVA addebitata a titolo di acconto in fattura, ne discende quale logico corollario che l'imposta di registro non poteva applicarsi in misura proporzionale: diversamente opinando, la stessa sarebbe andata a incidere su un atto - quello transattivo - relativo a un rapporto già soggetto ad IVA.
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*A cura dell'Avv. Leonardo Maria Galieni, junior lawyer, contenzioso tributario, Studio Tributario Associato Mainardi Tasini - Pesaro

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