Civile

Sentenza notificata via PEC: il difensore è tenuto a controllare l'efficienza dei propri strumenti informatici

Con l'ordinanza n. 6912, resa lo scorso 2 marzo, gli Ermellini tornano ad affermare che in caso di notificazione della sentenza a mezzo PEC, la copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, è idonea a certificare l'avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria, di cui è onerata la parte che solleva la relativa eccezione, dell'esistenza di errori tecnici riferibili al sistema informatizzato.

di Francesca Ferrandi*

Il caso

Una società aveva ottenuto nei confronti di un'altra un decreto ingiuntivo. Successivamente, l'opposizione della società ingiunta veniva rigettata dal Tribunale di Palermo e la Corte di Appello della medesima città confermava la decisione resa dal giudice di prime cure.

La società ingiunta decideva, quindi, di promuovere ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

In particolare, nel caso de quo, la sentenza impugnata, era stata pubblicata in data 10 febbraio 2020, e notificata dalla società vittoriosa nel merito, a mezzo P.E.C., alla società soccombente presso il suo procuratore costituito, in data 13 febbraio 2020, come risultante dalla relativa ricevuta di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica, versata in atti.

Tuttavia, il termine c.d. breve per proporre il ricorso per cassazione, di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, ai sensi dell'art. 325, comma 2, c.p.c., e art. 326 c.p.c., è rimasto sospeso tra il 9 marzo e l'11 maggio 2020 in virtù del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, (convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27), e del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, art. 36, (convertito con modificazioni dalla L. 5 giungo 2020, n. 40), per un totale di 64 giorni. Esso è, dunque, definitivamente scaduto in data 16 giugno 2020, mentre la notifica del ricorso (datato 13 agosto 2020) risultava effettuata a mezzo P.E.C. solo in data 13 agosto 2020.

Orbene, a fronte della situazione appena descritta, la società ricorrente chiedeva di essere rimessa in termini ai fini dell'impugnazione in cassazione, adducendo di non avere avuto conoscenza della notificazione della sentenza impugnata a causa di un malfunzionamento del proprio servizio di posta elettronica certificata.

La disciplina di riferimento

Come noto, la posta elettronica certificata è il sistema che, per espressa previsione di legge (cfr. D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 delle legge 16 gennaio 2003, n. 3), consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, presentando, rispetto alla posta elettronica ordinaria, caratteristiche aggiuntive tali da fornire agli utenti la certezza dell'invio e della consegna (o della mancata consegna) delle e-mail al destinatario. Il sistema in questione, è stato creato al fine di garantire, in caso di contenzioso, l'opponibilità a terzi del messaggio.

I gestori, quindi, certificano con le proprie "ricevute" che il messaggio: è stato spedito; è stato consegnato; non è stato alterato. Non solo, ma in ogni avviso inviato dai gestori è apposto anche un riferimento temporale che certifica data ed ora di ognuna delle operazioni descritte. I gestori, inoltre, inviano avvisi anche in caso di errore in una qualsiasi delle fasi del processo (accettazione, invio, consegna) al fine di evitare che possano sorgere dubbi sullo stato della spedizione di un messaggio (per un approfondimento v. S. PREVITI, V. COLAROCCO, Il processo civile telematico. Profili operativi e questioni controverse, Roma, 2016).

Indi per cui, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della PEC e di consegna della stessa, nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte di quest'ultimo analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall'art. 1335 c.c. (per un approfondimento v. A. RICCIO, La presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., in Contratto e impresa, 1, Cedam, 2002).

Spetterà, perciò, al destinatario, in un'ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all'utilizzo dello strumento telematico, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente (sul punto cfr. Cass. civ., sent., 21 agosto 2019, n. 21560 e Cass. civ., sent., 31 ottobre 2017, n. 25819).

Pertanto, la semplice verifica dell'avvenuta accettazione dal sistema e della successiva consegna, ad una determinata data ed ora del messaggio di posta elettronica certificato, contenente l'allegato notificato, è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica.

L'eventuale mancata lettura dello stesso da parte del difensore, per eventuale malfunzionamento del proprio computer, andrebbe imputato a mancanza di diligenza dell'avvocato, in quanto nell'adempimento del proprio mandato è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici e a controllarne l'efficienza.

Ne consegue, quindi, che in caso di notificazione della sentenza a mezzo PEC, la copia analogica della ricevuta di avvenuta consegna, completa di attestazione di conformità, è idonea a certificare l'avvenuto recapito del messaggio e degli allegati, salva la prova contraria, di cui è onerata la parte che solleva la relativa eccezione, dell'esistenza di errori tecnici riferibili al sistema informatizzato (cfr. ex multis Cass. civ., ord., 24 settembre 2020, n. 20039; Cass. civ., sent., 28 maggio2021, n. 661294 e Cass. civ., sent., 23 giugno 2021, n. 17968).

A fronte di quanto appena ricordato, si può, quindi, concludere che l'eventuale mancata conoscenza dell'atto notificato da parte del destinatario della notificazione e, in particolare, del difensore della parte, come nel caso che ci occupa, di notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine per l'impugnazione dovuta ad eventuali malfunzionamenti del sistema, va di regola imputata alla mancanza di diligenza del difensore stesso. Quest'ultimo, infatti, nell'adempimento del proprio mandato, è tenuto a dotarsi dei necessari strumenti informatici ed a controllarne l'adeguatezza tecnica e l'efficienza, salvo che non sia rigorosamente dimostrato che il malfunzionamento sia stato, in realtà, causato da un evento esterno imprevedibile o inevitabile con l'ordinaria diligenza, di modo che esso possa effettivamente non essere a lui imputabile (cfr. Cass. pen., sent., 18 gennaio 2017, n. 2431).

La soluzione

Secondo gli Ermellini, la società ricorrente nel giudizio di legittimità non solo non ha adeguatamente provato che il dedotto malfunzionamento le abbia effettivamente impedito di avere conoscenza della notificazione in questione, ma nemmeno che detto malfunzionamento non le fosse imputabile. In particolare, la società in questione ha prodotto, a sostegno della pretesa non imputabilità, solo una dichiarazione scritta del soggetto che, a suo dire, gestirebbe la sua casella di P.E.C. Da questo documento, però, si evinceva esclusivamente che: alcuni mesi dopo la notificazione in contestazione, la tipologia di tale casella P.E.C. era stata trasformata da "standard" in "pro"; era stata dotata di archivio di sicurezza, dopo che vi sarebbero stati "malfunzionamenti" della casella stessa nei mesi precedenti; in mancanza di archivio di sicurezza, non era possibile "risalire ad eventuali trasmissioni pec andate così perdute".

A detta della Suprema Corte, però, anche a voler ritenere attendibile la dichiarazione de qua, dalla sua estrema genericità (in relazione alle cause, al tipo ed agli effetti dei pregressi malfunzionamenti), non solo non era possibile evincere, con certezza, che il difensore della società non avesse potuto avere conoscenza della specifica notificazione avente ad oggetto la sentenza impugnata, ma (e se pure così fosse) neanche era possibile ritenere dimostrato che tale impossibilità fosse stata conseguenza di un evento non imputabile al difensore stesso e non, invece, causata dalla inadeguatezza o dall'inefficienza del sistema informatico di cui egli si era dotato.

Il ricorso proposto era, dunque, tardivo e, come tale, inammissibile.

*di Francesca Ferrandi, Avvocato e Dottore di ricerca all'Università di Roma "Tor Vergata"

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