Amministrativo

Consiglio di Stato e Tar: le principali decisioni della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia amministrativa nel periodo compreso tra il 19 e il 22 aprile 2022

di Maurizio De Giorgi

Nel corso di questa settimana sono al vaglio del Consiglio di Stato: la rimborsabilità dei farmaci, l’ampliamento delle sedi farmaceutiche,  i corsi di laurea a numero chiuso, la collocazione sul territorio dei ripetitori di telefonia mobile e , infine, il principio di equivalenza nelle pubbliche gare. Da parte loro i tribunali amministrati regionali sono chiamati a pronunciarsi in tema di pertinenza urbanistica, fiscalizzazione dell’abuso edilizio, offerta sospetta di anomalia nelle gare pubbliche, di impianti audiovisivi sul luogo di lavoro e, ancora, di accesso agli atti della pubblica amministrazione .

SANITA’ E BIOETICA

Farmaci - Rimborsabilità - Aifa - Competenza esclusiva. (Legge 24 novembre 2003 n. 326, articolo 48)
In sentenza il Consiglio di Stato affronta la delicata tematica dell’inserimento del farmaco in una fascia, piuttosto che in un’altra, che è di estremo rilievo quanto alla sua interferenza con i diritti fondamentali sotto due particolari profili: il principio di eguaglianza e la realizzazione del diritto alla salute. Il farmaco, d’altronde, è uno strumento per la tutela della salute, con la conseguenza che l’accesso al farmaco deve essere inteso come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività. L’accessibilità al farmaco a condizioni stabilite dal diritto positivo è, infatti, parametro dell’eguaglianza giuridica e attuazione del principio solidaristico stabilito dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.. Per assicurare l'assistenza farmaceutica, da parte del SSN, nella misura più ampia possibile, l’art. 48 L. 24 novembre 2003, n. 326 ha assegnato all’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) il compito di redigere l'elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN, sulla base dei criteri di costo ed efficacia, stabilendo, peraltro, meccanismi di sconto sul prezzo dei farmaci rimborsabili, al fine del contenimento della spesa farmaceutica. Il diritto positivo fa emergere un quadro in cui l’inserimento dei farmaci in fascia A (a totale carico del SSN) appare unicamente finalizzato a garantire il diritto degli utenti a fruire di terapie farmacologiche gratuite, quando esse siano “essenziali” o riguardino malattie croniche, contemperandolo con la facoltà dello Stato di adottare misure economiche indirizzate al controllo della spesa farmaceutica. Ne consegue l’affermazione, in punto di diritto, secondo cui alla Regione è precluso - così come precisa il Collegio di Palazzo Spada in sentenza - sovrapporre la propria valutazione tecnica alla valutazione in ordine alla appropriatezza, alla prescrivibilità e alla rimborsabilità dei farmaci per come già operata dall’AIFA a livello nazionale, in quanto attinente ai LEA (livelli essenziali di assistenza).
Consiglio di Stato, sezione III, 19 aprile 2022, n. 2896

COMMERCIO

Sede farmaceutica - Ampliamento - Autorizzazione. (Dl 24 gennaio 2012, n. 1; legge 24 marzo 2012, n. 27)
Nella sentenza qui in esame il Consiglio di Stato sottolinea come l’autorizzazione all’ampliamento di una sede farmaceutica già esistente in locali disgiunti, ma posti nelle immediate vicinanze rispetto alla sede della medesima farmacia, in conseguenza dell’impossibilità di realizzare un ampliamento in locali attigui, non comporta l’istituzione di una nuova farmacia. Non trattandosi di procedimento volto all’istituzione di una farmacia non possono di conseguenza invocarsi tutte quelle disposizioni poste a presidio della corretta gestione delle piante organiche delle sedi farmaceutiche e relative assegnazioni.L’intero sistema farmaceutico è stato oggetto di profonda rivisitazione a mezzo del D.L. n. 1/2012, modificato dalla legge di conversione n. 27/2012 che ha imposto il modello della c.d. liberalizzazione a mezzo del quale si sono coniugate due finalità: da un lato, quella di razionalizzare la rete distributiva dei farmaci, garantendo l'equa distribuzione nel territorio delle farmacie e, in tal modo, una migliore accessibilità del servizio, dall’altro lato, quella di dare attuazione ai principi costituzionali e comunitari di libertà di iniziativa economica e di favore per lo sviluppo della concorrenza, rimuovendo le restrizioni all'ingresso di nuovi operatori sul mercato, pur assicurando, al contempo, che il numero delle farmacie sia proporzionato (con riferimento ad un parametro numerico ridotto rispetto al passato) alle dimensioni demografiche dei Comuni, così che i nuovi esercizi possano contare, al pari di quelli esistenti, su un bacino di utenza potenziale in grado di assicurare condizioni di redditività. Al contempo vi è stata una profonda transizione del ruolo della farmacia da una (più tradizionale) attività di mera distribuzione di prodotti (lato sensu) farmaceutici, verso un ruolo di erogazione di prestazioni e servizi, comunque teleologicamente preordinati ad assicurare la somministrazione di interventi connessi con la tutela della salute. Si sono così soppresse le disposizioni che prevedevano la formazione e la revisione periodica delle piante organiche comunali a cura di un’autorità sovracomunale pur rimanendo invariato l’impianto generale della disciplina, a partire dal “numero chiuso” delle farmacie (implicando quest’ultimo, logicamente, che la distribuzione degli esercizi sul territorio sia pianificata autoritativamente).
Consiglio di Stato, sezione III, 19 aprile 2022, n. 2900

UNIVERSITÀ

Corsi di laurea - Numero chiuso - Iscrizioni - Trasferimenti.
Affrontando la materia dei corsi di laurea a numero chiuso il Consiglio di Stato precisa come la programmazione dei posti abbia cadenza esclusivamente annuale, con impossibilità di estendere ad anni precedenti, o successivi, il numero dei posti previsto da ogni decreto adottato distintamente anno per anno. Il numero di posti messi annualmente a concorso per l’immatricolazione al primo anno, dopo il superamento di apposito test d’ingresso, è cosa diversa dal numero di posti che si rendono annualmente disponibili per l’iscrizione ad anni successivi, in forza di trasferimenti da altre facoltà o da altre sedi. I due contingenti di posti non sono correlati fra loro, dal momento che il primo è il frutto di un complesso procedimento di incrocio tra offerta formativa e fabbisogno formativo stimato sia su base nazionale, sia su base regionale, mentre il secondo, da parte  sua, è la risultante di un mero calcolo algebrico, ossia del conteggio dei posti che si liberano in conseguenza della scelta, di studenti già iscritti, di abbandonare gli studi o di cambiare sede o corso di studi. Né i due contingenti possono essere posti in correlazione sul piano della mera probabilità. La scelta di rinunciare o di trasferirsi altrove è, infatti, il frutto di valutazioni personali dei singoli studenti: valutazioni che certamente non hanno nessuna relazione con il numero maggiore o minore di studenti iscritti a ciascun anno accademico. Ferma dunque la possibilità di iscriversi ad anni successivi al primo, trasferendosi da altre sedi, senza dover necessariamente superare il test d’ingresso, normativamente prescritto solo per studenti che si affacciano per la prima volta all’esperienza universitaria, si afferma che gli atenei, nell’esercizio della loro autonomia regolamentare, debbano stabilire, anche eventualmente condizionando l’iscrizione-trasferimento al superamento di una qualche prova di verifica del percorso formativo già compiuto, le modalità di valutazione dell’offerta potenziale dell’ateneo ai fini della determinazione, per ogni anno accademico ed in relazione ai singoli anni di corso, dei posti disponibili per trasferimenti. E così, nella determinazione dei posti disponibili per iscrizioni ad anni successivi al primo, l’amministrazione procede, di anno in anno, alla ricognizione dei posti che si sono liberati e, se ve ne sono, alla pubblicazione di un avviso o di un bando a cui possono partecipare studenti provenienti da altri corsi o da altri atenei che intendano trasferirsi, iscrivendosi ad anni successivi al primo, nel rispetto degli ulteriori requisiti prescritti.
C onsiglio di Stato, sezione VI, 20 aprile 2022, n. 2975

TELECOMUNICAZIONI

Impianti di telefonia mobile - Allocazione sul territorio - Elettromagnetismo - Comune - Poteri . ( Legge 22 febbraio 2001, n. 36, articolo 8)

Il Consiglio di Stato, adito in materia di allocazione sul territorio di impianti di telefonia mobile (TLC), sottolinea in sentenza come la potestà regolamentare dei Comuni, per essere legittimamente esercitata, non deve dettare limiti generalizzati alla localizzazione di detti impianti, ma solo disciplinarne il corretto insediamento urbanistico e territoriale, con la possibilità di individuare alcuni siti che, per destinazione d'uso e qualità degli utenti, possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche. Singole e specifiche destinazioni di zona (residenziale, verde, agricola, ecc.)  non rivestono  dunque carattere ostativo rispetto a detti impianti (che sono di interesse generale) il cui presupposto è la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura al territorio. È fatto salvo il potere a contenuto pianificatorio dei Comuni di fissare, ai sensi dell'art. 8, ultimo comma, L. n. 36/2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale di tali impianti senza che ciò possa tradursi, di fatto, in un divieto di carattere generale riguardante la maggior parte del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa. La potestà regolamentare dei Comuni, per essere legittimamente esercitata, non deve dettare limiti generalizzati alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile, ma solo disciplinarne il corretto insediamento urbanistico-territoriale, con la possibilità di individuare alcuni siti che, per destinazione d'uso e qualità degli utenti, possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche. Il Comune non può infatti prevedere limiti di carattere generale, volti a tutelare la popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici. Un regolamento comunale può validamente contenere (sempre in ordine alla collocazione degli impianti in parola nel territorio comunale) un sistema di regole poste a garanzia e tutela di zone particolari e beni di rilevanza paesaggistica, ambientale, storica, artistica; al contempo può perseguire la finalità della protezione dall'elettromagnetismo di zone cd. sensibili.
Consiglio di Stato, sezione VI, 20 aprile 2022, n. 2976

APPALTI

Gara - Stazione appaltante - Parità di condizioni tra i partecipanti alla gara -Principio di equivalenza - Operatività - Limiti.   (Dlgs 18 aprile 2016, n. 50, articolo 68)
Adito in materia di gare pubbliche il Consiglio di Stato si sofferma sul principio di equivalenza di cui all’art. 68, VII, D.Lgs. n. 50/2016, in virtù del quale viene concesso a ciascun concorrente a gara pubblica la facoltà di offrire soluzioni che possano soddisfare - in modo pressoché equivalente - i requisiti delle specifiche tecniche individuati, a monte, dalla stazione appaltante. Si precisa così che detto principio non può essere invocato con riferimento a  “grandezze comuni” le quali, cioè, non sono specifiche tecniche di un prodotto bensì delineano cosa sia “oggetto” di affidamento. Il principio di equivalenza, invero, perseguendo lo scopo di evitare che, attraverso la previsione di specifiche tecniche eccessivamente dettagliate risulti limitata irragionevolmente la concorrenza tra gli operatori economici-partecipanti, e in particolare vengano precluse offerte che presentino un oggetto nella sostanza equivalente a quello che viene richiesto e purtuttavia privo (pur solo formalmente) della specifica espressamente prescritta, vede quale presupposto essenziale per la sua applicazione che, sul piano qualitativo, si sia in presenza di una specifica in senso propriamente tecnico, e cioè di uno standard - espresso in termini di certificazione, omologazione, attestazione, o in altro modo - capace di individuare e sintetizzare alcune caratteristiche proprie del bene o del servizio, caratteristiche che possono tuttavia essere possedute anche da altro bene o servizio pur formalmente privo della specifica indicata. Il giudizio di non equivalenza è frutto di una valutazione della commissione giudicatrice che costituisce legittimo esercizio di discrezionalità tecnica ragion per cui il relativo sindacato giurisdizionale deve attestarsi su riscontrati (e prima ancora dimostrati) vizi di manifesta erroneità e di evidente illogicità del giudizio stesso, ossia sulla palese inattendibilità della valutazione espressa dalla commissione di gara. Da parte sua il concorrente partecipante a gara pubblica deve fornire prova, in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo considerato appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperino in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche.
C onsiglio di Stato, sezione IV, 21 aprile 2022, n. 3024

EDILIZIA E URBANISTICA

Pertinenza urbanistica - Pertinenza civilistica - Differenze.   (Dpr 6 giugno 2001, n. 380, articolo 3)
Secondo quanto afferma in sentenza il Tar Bari la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, non essendo pertinenze urbanistiche devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire. A norma dell’art. 3, I, lett. e.6), D.P.R. n. 380/2001 è poi consentito alle amministrazioni comunali, mediante le norme tecniche dei propri strumenti urbanistici, configurare come interventi di «nuova costruzione» anche quelli altrimenti riconducibili alla realizzazione di pertinenze urbanistico-edilizie in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree in cui essi ricadono. Dal testo della medesima disposizione, peraltro, si ricava il principio in forza della quale la pertinenza urbanistico-edilizia non può avere un volume superiore del 20% rispetto all'edificio principale. Il vincolo pertinenziale - che lega un manufatto accessorio ad un manufatto principale - deve essere inteso in senso oggettivo ragion per cui il primo non è suscettibile di alcuna diversa utilizzazione economica. Gli elementi costitutivi della pertinenza in senso urbanistico possono dunque essere individuati:

- nell’esiguità quantitativa del manufatto (che cioè deve essere tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio);

- nell’esistenza di un collegamento funzionale tra il manufatto e l’edificio principale (non potendo, di conseguenza, il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente rispetto al secondo).

Dal punto di vista urbanistico, non possono ritenersi beni pertinenziali quegli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio a un bene principale, non siano tuttavia coessenziali -ma ulteriori - rispetto ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo autonomo, e separato, e in quanto occupanti aree e volumi diversi dal bene principale.
Tar Puglia, Bari, sezione III, 19 aprile 2022, n. 514

EDILIZA E URBANISTICA

Abuso edilizio - Demolizione - Fiscalizzazione dell’abuso. ( Dpr 6 giugno 2001, n. 380, articolo 34)
Sulla premessa di ordine generale secondo cui, da un lato, ai fini della legittimità dell’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo è necessaria e sufficiente l’analitica indicazione delle opere abusivamente realizzate in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, e, dall’altro lato,  l’onere della prova in ordine all’epoca di realizzazione di un abuso edilizio grava sull’interessato che intende dimostrare la legittimità del proprio operato, e non sul Comune, il quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla secondo la previsione normativa, l’adito G.A. salentino si sofferma sulla corretta esegesi dell’art. 34 D.P.R. n. 380/2001. Norma, quest’ultima, che prevede la possibilità di applicare un sanzione pecuniaria in luogo della demolizione ove derivi pregiudizio alla parte dell’immobile eseguita in conformità al titolo (cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio). Trattasi di ipotesi che deve essere valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell’abuso: l’applicazione di una tale sanzione pecuniaria ha comunque carattere residuale e può essere irrogata non in base ad una verifica tecnica a carico della parte pubblica, ma a seguito di un’istanza presentata a tal fine dalla parte privata ad essa interessata. E cioè a dire, la parte pubblica non può essere onerata di verifiche tecniche, anche complesse, da effettuarsi d’ufficio in una fase anteriore all’emissione dell’ordine di demolizione. Si deve perciò ritenere che l’ordine di demolizione debba essere adottato anche in assenza di una verifica di tale profilo, la cui rilevanza va invece segnalata, e comprovata, dalla parte che vi abbia interesse (come detto, durante la fase esecutiva).

Tar Puglia, Lecce, sezione I, 19 aprile 2022, n. 613

APPALTI
Offerta anomala - Verifica - Procedimento.
(Dlgs 18 aprile 2016, n. 50, articolo 97)
Adito in materia di procedura ad evidenza pubblica il G.A. di Milano, con particolare riguardo al subprocedimento di verifica dell’offerta sospetta di anomalia, osserva come l’art. 97 D.Lgs. n. 50/2016 non articoli il contraddittorio sull’anomalia, o sulla congruità, secondo rigide e vincolanti scansioni procedimentali, limitandosi a stabilire che “la stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni” (co. V), sicché l’adeguatezza della dialettica procedimentale deve essere apprezzata in concreto e non sulla base di una predeterminata e formalistica scansione procedimentale. Osserva altresì che il giudizio sull’anomalia o sull’incongruità di un’offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale, riservato alla P.A., il quale è insindacabile in sede giurisdizionale, a meno che non siano ravvisabili ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell’operato della commissione di gara che rendano palese l’inattendibilità complessiva dell’offerta. Detto giudizio non può risolversi in una “caccia all’errore” in quanto non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta, mirando piuttosto ad accertare se essa sia attendibile e affidabile nel suo complesso, sicché è diretto a valutare se l’eventuale anomalia delle diverse componenti si traduca in un’offerta complessivamente inaffidabile; tuttavia, ciò non significa che in sede di giustificazioni l’operatore possa apportare qualunque modificazione all’offerta presentata o alle giustificazioni già rese. Invero, rimane sullo sfondo il principio per cui, una volta presentata, l’offerta non è suscettibile di una radicale modificazione, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti; pertanto, il concorrente sottoposto a valutazione di anomalia o di congruità, da un lato, non può fornire giustificazioni tali da integrare un’operazione di “finanza creativa”, modificando, in aumento o in diminuzione, le voci di costo, pur mantenendo fermo l’importo finale, dall’altro, può introdurre limitati aggiustamenti, riducendo anche l’utile, a condizione che quest’ultimo non venga annullato o ridotto ad una misura inconsistente. Precisamente, il concorrente, fermo restando l’importo complessivo, può procedere a limitate correzioni, sicché è ammissibile che, a fronte di determinate voci di prezzo giudicate eccessivamente basse e dunque inattendibili, l’impresa dimostri che, per converso, altre voci sono state inizialmente sopravvalutate e che in relazione alle stesse è in grado di conseguire un concreto, effettivo, documentato e credibile risparmio, che compensa il maggior costo di altre voci.
Tar Lombardia, Milano, sezione I, 19 aprile 2022, n. 876

LAVORO

Luogo di lavoro - Impianti audiovisivi - Installazione - Autorizzazione. (Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 4)
Il Tar Torino è chiamato alla corretta esegesi della norma di cui all’art. 4 L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori) secondo cui “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, previo accordo collettivo stipulato dalle rappresentanze sindacali o autorizzazione all’installazione da parte della competente sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Si precisa così, avuto riguardo al caso concreto, come i beni presenti all’interno di un negozio - prodotti destinati alla vendita, registratore di cassa, contanti - appartengano senza dubbio al patrimonio aziendale, costituito, secondo una definizione ormai comune, da tutti i mezzi, siano essi beni materiali e immateriali economici, diritti (quali i crediti verso terzi) e vincoli gravanti sul patrimonio (ad esempio i debiti) che un soggetto aziendale dispone in un determinato momento. L’individuazione del patrimonio aziendale dipende, in concreto, dal tipo di attività esercitata dall’impresa, per cui non può negarsi la possibilità di ricorrere a sistemi di videosorveglianza sulla base della ritenuta scarsa rilevanza dei beni del patrimonio aziendale. E quindi, secondo il G.A. piemontese, la possibilità di ricorrere a strumenti meno limitativi dei diritti dei lavoratori, come l’evocata sproporzione tra il fine (la tutela del patrimonio aziendale) e il mezzo utilizzato (l’impianto di videosorveglianza), si risolvono in affermazioni teoriche e del tutto svincolate dalle caratteristiche concrete della realtà aziendale e commerciale di riferimento. La garanzia procedurale prevista dalla richiamata norma statutaria per impianti ed apparecchiature ricollegabili ad esigenze produttive contempera, poi, l'esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro, o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi 

Tar Piemonte, Torino, sezione II, 19 aprile 2022, n. 380

TRASPARENZA AMMINISTRATIVA
Accesso agli atti - Istanza - Amministrazione - Obbligo di provvedere
. (Legge 6 novembre 2012, n. 190; legge 7 agosto 2015, n. 124, articolo 7; legge 7 agosto 1990, n. 241; Dlgs 2 luglio 2010, n. 104 )
Osserva in sentenza il Tar Palermo come, con l’entrata in vigore della L. n. 190/2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), il Legislatore abbia generalizzato il principio della trasparenza anche quale strumento per contrastare, attraverso un’azione preventiva, i fenomeni corruttivi. Successivamente, in attuazione della ulteriore delega di cui all’art. 7, I, lett. h), L. n. 124/2015, il Governo ha introdotto un tertium genus di accesso (oltre l’accesso tradizionale e l’accesso civico), programmaticamente inteso, tra l’altro, a «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche», nonché volto a «promuovere la partecipazione al dibattito pubblico». È stata, così, introdotta una nuova definizione di trasparenza, affiancata a quella tradizionale, con una polisemia che si estrinseca anche nella duplice accezione della stessa come mezzo per un’azione amministrativa efficace e come obiettivo dell’esercizio di una funzione amministrativa democratica. La P.A. ha dunque il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della L. n. 241/1990, senza che il Giudice Amministrativo, adito ai sensi dell’art. 116 D.Lgs. n. 104/2010, possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla P.A. all’esito del procedimento.
Tar Sicilia, Palermo, sezione II, 20 aprile 2022, n. 1334

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©