Amministrativo

La "specialità" del Partenariato pubblico privato per la valorizzazione dei beni culturali

La collaborazione disciplinata all'art. 151, comma terzo, del Codice dei contratti pubblici deve necessariamente fondarsi sugli stessi elementi costitutivi del genere a cui appartiene, ovvero, il trasferimento del rischio operativo in capo all'operatore economico nelle diverse sfaccettature del rischio di costruzione, di disponibilità e di domanda e la presenza dell'equilibrio economico finanziario dell'intera operazione.

di Samantha Battiston*

Le forme di partenariato pubblico privato sembrano prima facie assumere tratti differenti a seconda che vengano attuate nel perimetro del Codice dei beni culturali , anche attraverso organismi del terzo settore, o in quello del Codice dei contratti pubblici ma, in realtà, tali ambiti del diritto si integrano e coordinano tra loro con estrema coerenza proprio quando si tratta di gestire progetti di rinnovamento culturale del patrimonio degli enti territoriali.

Si ricorda, infatti, che il Codice dei beni culturali, all'art. 112 , detta i criteri in base ai quali devono essere esercitate le attività di valorizzazione di tali beni e consente la stipula di appositi accordi strategici in cui il ruolo del privato è lasciato assolutamente ai margini. Di segno opposto è il Codice dei contratti pubblici che definisce il partenariato come genus contrattuale nella lett. eee) dell'art. 3 (rubricato "Definizioni") e gli dedica una disciplina specifica nei successivi artt. 179-191.

In questa sede si richiama l'attenzione sull' art. 180, comma ottavo , dove il partenariato pubblico privato viene chiaramente considerato come una fattispecie contrattuale atipica, ovvero aperta anche a forme di collaborazione non menzionate dal Codice a condizione che presentino le caratteristiche fondanti di tale tipologia negoziale ovvero il trasferimento dei rischi in capo all'operatore privato e l'equilibrio economico-finanziario.

La giurisprudenza amministrativa a più riprese ha chiarito che la fattispecie del partenariato pubblico privato è tipizzato dal legislatore nel momento in cui comprende al suo interno una serie di figure indicate all'art. 180 comma ottavo del Codice dei contratti pubblici, ma tali ipotesi sono solo una estrinsecazione del partenariato pubblico privato che non si limita alle stesse proprio perché si tratta di una fattispecie negoziale aperta ed in grado di racchiudere al suo interno molteplici fattispecie atipiche.

Orbene. A queste norme si affianca proprio il citato art. 151 del D.Lgs. n. 50 del 2016 che, dopo aver richiamato le più note forme di collaborazione tra privato e pubblico quali sponsorizzazioni e c.d. mecenatismo (attraverso il ricordo dell'art.19 del medesimo Codice dei contratti pubblici) introduce al comma terzo anche la valorizzazione culturale attraverso il partenariato pubblico privato.

Tale collaborazione presenta certamente profili distintivi rispetto a quella disciplinata dagli artt. 180 e seguenti del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ciò tanto per le particolari finalità perseguite quanto per la procedura semplificata di scelta del partner privato che privilegia l'elemento fiduciario e il dialogo tra gli operatori e l'amministrazione.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale specialità non si spinge oltre in quanto la cooperazione avente ad oggetto la valorizzazione dei beni culturali deve essere pur sempre intesa come una species da ricondurre nel genus del partenariato pubblico privato disciplinato dagli artt. 179 e seguenti del D.Lgs. n. 50 del 2016 . Per tale ragione la collaborazione dell'art. 151, comma terzo, del Codice dei contratti pubblici deve necessariamente fondarsi sugli stessi elementi costitutivi del genere a cui appartiene ovvero il trasferimento del rischio operativo in capo all'operatore economico nelle diverse sfaccettature del rischio di costruzione, di disponibilità e di domanda e la presenza dell'equilibrio economico finanziario dell'intera operazione. Se così non fosse il legislatore non potrebbe riferirsi a forme di partenariato seppur speciali bensì ad appalti di lavori e di servizi.

Dunque, il partenariato di cui si tratta è connotato dalla specialità in quanto, nell'ottica del diritto dei beni culturali, mira alla sola valorizzazione degli stessi così come accade per la concessione di valorizzazione che, si ricorda in questa sede, è disciplinata dall'art. 3 bis del decreto Legge n. 351 del 2001, convertito con modificazioni con la Legge n. 410 del 2001 ed è anch'essa una forma di partenariato pubblico-privato che ha ad oggetto la concessione o la locazione a privati, a titolo oneroso e con gara ad evidenza pubblica, di beni immobili di proprietà dell'amministrazione con l'intento di riqualificarli e riconvertirli attraverso nuove destinazioni d'uso che consentano anche lo svolgimento di attività di carattere economico.

La specialità di tali fattispecie collaborative risiede nella particolare finalità cui sono destinati i beni culturali ovvero il soddisfacimento di un pubblico interesse inteso come la crescita culturale della collettività tanto che gli stessi vengono anche definiti quali beni a proprietà funzionalizzata in virtù del fatto che deve essere sempre garantita la preminenza dell'interesse sociale su quello individuale.

Per ricondurre, pertanto, questo partenariato "speciale" nell'alveo del genus codicistico basta considerare come si delinea in concreto il rischio operativo in capo al soggetto che esegue le attività di valorizzazione e rigenerazione partendo dalla considerazione che è proprio la particolare natura del bene da gestire che rende evidente se non addirittura più gravoso il rischio che assume il partner privato in quanto le sue finalità lucrative si devono fermare di fronte alla necessità di tutela collettiva di quel bene.

Proprio per tale ragione non è un caso che le forme di collaborazione nell'ambito dei beni culturali si siano storicamente limitate alle forme di sponsorizzazione o alla creazione di fondazioni di partecipazione che generalmente non perseguono un fine lucrativo. E', infatti, evidente come il partenariato speciale ruota intorno alla rigenerazione di un bene culturale e alla sua rivitalizzazione con lo scopo di creare una sostenibilità che lascia del tutto relegato in secondo piano l'aspetto economico e prettamente lucrativo che di norma persegue qualunque operatore economico.
Dunque, la specialità di tale partenariato risiede in primis nella tipologia del bene oggetto di gestione in quanto i beni culturali hanno specifiche necessità di tutela che rendono differenti anche i tre classici rischi ovvero il rischio di costruzione, il rischio di domanda e quello di disponibilità.

In particolare, il rischio di costruzione sarà presente nei partenariati che hanno per oggetto le opere di restauro o manutenzione dei beni culturali non potendosi per ovvie ragioni pensare a costruzioni ex novo.

Il rischio di domanda e quello di disponibilità sono di frequente verificazione in questo ambito proprio perché si gestiscono beni di rilevanza storica e culturale che presentano evidenti deterioramenti che rendono necessarie continue opere manutentive e di restauro conservativo con conseguente chiusura al pubblico anche per lunghi periodi.

Pertanto, proprio nel partenariato avente ad oggetto i beni culturali, il rischio in capo al privato è maggiore e per rendere appetibile una collaborazione la Amministrazione dovrà necessariamente far ricorso a forme semplificate di contrattazione come prevede proprio l'art. 151 comma terzo del D.Lgs. n. 50 del 2016.

La lettura del D.M. 19/12/2012 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) – contenente le linee guida relative al suddetto articolo – e dalla Circolare n. 17461 del 09/06/2016 diramata dall'ufficio legislativo del medesimo Mibact, rende evidente che l'art. 151 comma terzo del D.Lgs. n. 50 del 2016 si pone l'intento dichiarato di snellire l'iter procedurale volto a consentire la scelta del partner privato per realizzare attività culturali strettamente correlate alla tutela, conservazione, valorizzazione e fruizione di un bene culturale, in considerazione dei fini di interesse generale.

Per tale ragione il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo chiarisce come la norma di cui all'art. 151 comma terzo del D.Lgs. n. 50 del 2016 mira ad "assicurare massima elasticità e adattabilità alle peculiari esperienze concrete" del partenariato pubblico privato.

Non solo. Al fine di far combaciare le finalità proprie della disciplina dettata dal Codice dei beni culturali con quella tipica del Codice dei contratti pubblici si deve pensare a quest'ultimo corpus normativo come lo strumento da utilizzare per perseguire le finalità sociali e culturali imposte dalla legge speciale in materia. Per valorizzare i beni culturali dovrebbe dunque applicarsi la disciplina del partenariato dettata dal Codice dei contratti pubblici e, considerando che i rischi a carico dell'operatore economico sono maggiorati rispetto alla gestione di qualunque altro bene immobile, l'Ente locale dovrà garantire all'operatore economico una rimuneratività del suo investimento.

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*A cura dell'Avv. Samantha Battiston, Partner 24 ORE Avvocati

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