Professione e Mercato

Avvocati: per i compensi prevale l'accordo col cliente

La Cassazione ricorda che l'accordo tra le parti è la fonte principale per la determinazione del compenso e il giudice non può ricorrere ad una liquidazione diversa da quella pattuita a prescindere dalla congruità del quantum convenuto

di Marina Crisafi

Nella determinazione del compenso per l'avvocato, l'accordo col cliente costituisce la fonte principale e il giudice non può ricorrere ad una liquidazione diversa rispetto a quella convenuta, a prescindere dalla congruità del quantum. Lo ha affermato la Cassazione (ordinanza n. 33053/2022) accogliendo il ricorso di un avvocato avverso la liquidazione operata dal giudice d'appello.

La vicenda
Nello specifico, il professionista, con ricorso ex articolo 14 Dlgs n. 150/11, avanzava richiesta di liquidazione dei compensi per l'attività professionale svolta, nell'ambito di un giudizio civile, per conto di una Srl. Sulla base di un preventivo scritto, visionato e firmato dal cliente, secondo il quale gli importi delle competenze sarebbero stati determinati secondo i valori medi della tariffa stabilita dal Dm n.55/2014, con una maggiorazione dell'80% in caso di pieno raggiungimento dei risultati, l'attore chiedeva liquidarsi in suo favore la somma complessiva di oltre 50mila euro.
La Corte d'Appello, accoglieva solo parzialmente le richieste dell'attore, liquidando le competenze dovute senza la spettanza della maggiorazione dell'80% "per mancanza dei presupposti".

Il ricorso
L'avvocato adiva, dunque, il Palazzaccio, lamentando violazione, dell'articolo 2233 c.c., poiché la Corte distrettuale, senza fornire alcuna motivazione, avrebbe liquidato le competenze dovute dalla società assistita sulla base dei valori medi previsti dalle tabelle di riferimento, escludendo la maggiorazione convenuta dalle parti, violando – quindi - il principio sancito all'articolo 2233 c.c. secondo il quale, tra i vari criteri di determinazione del compenso, si attribuisce carattere preferenziale all'eventuale convenzione intervenuta tra le parti.

La decisione
Per la sesta civile della Cassazione le censure sono fondate.
L'articolo 2233 c.c., ricordano in primis dalla S.C., "attribuisce valore preferenziale, tra i vari criteri di determinazione del compenso, alla convenzione intervenuta fra le parti, prevedendo che, solo in mancanza di quest'ultima, ed in ordine successivo, si faccia riferimento alle tariffe ed agli usi, ovvero alla determinazione del giudice, il quale dovrà far riferimento ai parametri stabiliti con decreto ministeriale".
Dunque, rincarano, "l'accordo tra le parti costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso e, in presenza di esso, va esclusa la possibilità per il giudice, di ricorrere ad una liquidazione del compenso stesso in misura diversa da quella pattuita, a norma dell'art. 2233 c.c., a prescindere da ogni indagine sulla congruità del quantum convenuto rispetto all'importanza dell'opera e al decoro della professione" (cfr. tra le altre, Cass. n. 9488/2011).
Nel caso di specie, la Corte d'Appello, pur avendo dato atto del "pieno successo" della iniziativa giudiziaria in relazione alla quale l'avvocato aveva prestato la sua opera professionale, ha escluso la maggiorazione convenuta dalle parti sulla base del semplice rilievo che non ne sussistevano i presupposti, omettendo di chiarire quali essi fossero e i motivi di tale decisione.
Per cui, concludono i giudici, "la motivazione è meramente assertiva e, dunque, apparente e sostanzialmente omessa" e il ricorso non può che essere accolto.

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