Penale

Reato di inquinamento idrico per chi sversa liquami su un campo coltivato

Per la Cassazione la condotta è penalmente rilevante e non integra solo l’illecito di abusivo scarico di acque reflue<br/>

di Marco Pauletti

Chi sversa o rilascia indebitamente su un campo coltivato gli effluenti di allevamento o le deiezioni di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato commette il reato di inquinamento idrico. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 5733 depositata lo scorso 10 febbraio.

Nella vicenda oggetto della pronuncia, in sintesi, il Tribunale di Brescia condannava il titolare di un’impresa agricola per il reato di inquinamento idrico, per aver effettuato un’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento al di fuori dei casi e delle procedure previste dalla legge, esercitando un’attività di allevamento suino. La decisione si basava unicamente su una testimonianza, senza che fossero stati effettuati accertamenti tecnici sulla natura delle acque versate.

L’articolo 137 del Codice dell’ambiente (decreto legislativo 152/2006) disciplina diverse figure di reato in materia di tutela ambientale delle acque. Nello specifico, il comma 14 punisce la condotta di chiunque utilizzi gli effluenti di allevamento, le acque di vegetazione di frantoi oleari o acque reflue provenienti da aziende agricole, a scopo agronomico, oppure chi non ottemperi a un espresso divieto impartito dall’autorità.

Nel ricorso per Cassazione si lamentava il fatto che il giudice fosse giunto a una condanna unicamente grazie a una testimonianza, senza aver espletato i dovuti accertamenti tecnici. Infatti, il liquido sversato non era mai stato analizzato, non potendosi così evincere se si trattasse o meno di un refluo. Si lamentava, inoltre, l’erronea valutazione del giudice di merito, che avrebbe qualificato le condotte contestate alla stregua di una “fertirrigazione” penalmente rilevante e non rientrante nel perimetro dell’illecito amministrativo. Secondo la testimonianza chiave del processo, infatti, lo scarico sarebbe avvenuto su un campo pronto per il raccolto: questo avrebbe dovuto portare il Tribunale a ritenere questa condotta come scarico di acque reflue.

La Cassazione ha sottolineato, innanzitutto, che non fossero necessari accertamenti specifici sulla natura delle acque, in quanto la polizia giudiziaria aveva già accertato la fonte di provenienza dei liquidi, coincidente con la vasca di stoccaggio del letame suino. Al riguardo, la sentenza richiama anche la definizione che il Codice dell’ambiente fornisce di effluente di allevamento, ossia tutte quelle deiezioni di bestiame o una miscela di lettiera, anche sotto forma di prodotto trasformato, compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura.

In secondo luogo, secondo i giudici di legittimità, la condotta, va considerata come “fertirrigazione”: questa, infatti, richiede l’esistenza di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento e l’adeguatezza della quantità e qualità degli effluenti, nonché dei tempi e delle modalità di distribuzione. Parametri, questi, che sono stati riscontrati nelle azioni del titolare dell’impresa. Inoltre, questa pratica sottrae il deposito delle deiezioni animali dalla disciplina dei rifiuti, poiché questi vengono riutilizzati – e spesso trasformati – per un altro scopo.

Ne consegue che il rilascio di deiezioni animali su un campo coltivato, così come nel caso esaminato, integra una condotta penalmente rilevante e non l’illecito di abusivo scarico di acque reflue, il quale punisce unicamente chi versi acque reflue provenienti da allevamenti di bestiame.

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