Amministrativo

Poteri pubblici e durata dei procedimenti afflittivi, mai sine die

La dottrina e la giurisprudenza più sensibili tendono ad estendere ai procedimenti amministrativi di controllo, sanzionatori, disciplinari o comunque ablatori alcune delle garanzie proprie del giusto processo

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di Pietro Alessio Palumbo

La Costituzione repubblicana contiene in sé l'implicita valorizzazione del principio della "ragionevole durata del procedimento"; principio operante nell'Ordinamento quale diritto vivente soprattutto per i casi di procedimenti ablatori, sanzionatori o di controllo volti all'adozione di atti di ritiro. Appare infatti evidente – ha osservato il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana con la recente sentenza 408/2022 - che in tutti i casi in cui il potere della pubblica amministrazione di incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del privato comporti l'ablazione o l'affievolimento di diritti costituzionalmente garantiti o comunque di posizioni di vantaggio già acquisite, il relativo procedimento tende ad assumere connotazioni finalisticamente "afflittive"; a ben vedere simili a quelle del processo penale.

Le "garanzie"
La dottrina e la giurisprudenza più sensibili al rispetto delle tutele poste dal diritto internazionale, comunitario e costituzionale in materia di diritti fondamentali, tendono ad estendere ai procedimenti amministrativi di controllo, sanzionatori, disciplinari o comunque ablatori alcune delle garanzie proprie del giusto processo; nella specie di quello penale. Anche il Legislatore, sollecitato dall'Unione Europea, sembra aver intrapreso questa strada. Si è così giunti all'enucleazione di alcuni principi, come quello della preventiva contestazione degli addebiti e dell'obbligo di garantire il diritto di difesa, che ricalcano in maniera evidente analoghi principii ispiratori del processo penale. Fra i principi che regolano il giusto procedimento amministrativo può dunque distinguersi quello della ragionevole durata dello stesso. E che un principio generale di tal fatta esista è evidente: lo si desume dal complesso delle norme che prevedono che ciascun procedimento debba essere concluso entro un termine predefinito e che introducono con norma generale e suppletiva, un termine di conclusione per tutti i casi in cui non sia espressamente previsto dalla normativa di settore di livello primario o regolamentare; e dalla normativa in tema di responsabilità civile ed amministrativa per ritardo procedimentale. Il principio in questione è stato poi confermato, recentemente, da varie norme ed in special modo dalla cosiddetta "riforma Madia" che ha introdotto un termine perentorio per l'adozione dei provvedimenti di revoca. E ciò proprio in aderenza alla considerazione secondo cui il privato cittadino non può essere assoggettato senza termine ad un procedimento amministrativo volto ad affievolire un diritto fondamentale di libertà o un diritto che ne abbia precedentemente ampliato la sfera giuridica.

La "certezza del diritto"
Il principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo costituisce effetto del cosiddetto "principio della certezza del diritto", essendo evidente che l'eccessiva dilatazione temporale del procedimento determina una intollerabile situazione di incertezza giuridica destinata ad incidere sulle scelte di vita delle persone e sui traffici commerciali; producendo in sostanza un danno all'intera collettività. Secondo l'amministrazione coinvolta la facoltà di esperire controlli e verifiche era nella vicenda esercitabile in qualsiasi momento; non essendo ancorabile alcun termine. Deduttivamente la "clausola di provvisorietà" oggetto di contestazione le consentiva di procedere alla ripetizione dell'indebito in qualsiasi momento; persino dopo, e finanche molto dopo, l'avvenuta realizzazione del progetto finanziato con i contributi erogati. Tuttavia secondo il Giudice amministrativo siciliano è evidente che tale ricostruzione non è calzante con la logica ispiratrice della disciplina generale e speciale di riferimento. Tale "lettura" consentirebbe infatti di rimandare o rallentare senza scadenza un procedimento; e dunque di eludere le norme che impongono all'amministrazione di concludere il procedimento entro un termine "sensato" e predefinito. La clausola di provvisorietà che all'epoca dei fatti l'amministrazione pretendeva di utilizzare per procrastinare senza termine il suo potere-diritto potestativo di controllo è illegittima in quanto in contrasto sia con il principio della ragionevole durata del procedimento, sia con i valori costituzionali contenuti nella nozione di giusto procedimento alla luce della Carta costituzionale. I cardini della questione non mutano anche se la stessa venga analizzata sotto un profilo più squisitamente "privatistico" e dunque richiamando le norme che disciplinano i diritti di obbligazione. La conclusione non può che essere analoga: dal punto di vista del diritto privato la clausola di provvisorietà - equivalente ad una condizione risolutiva consistente nell'attribuzione ad una sola parte contrattuale di un potere sostanzialmente rescissorio il cui esercizio dipende esclusivamente da una sua insindacabile opzione soggettiva - si concreta in una clausola vessatoria e comunque meramente potestativa, che come tale è nulla o comunque viziata.

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