Giustizia

Governo dimissionario "autolimitato": la direttiva di Chigi chiarisce il perimetro degli "affari correnti"

Il Governo Draghi potrà adottare gli atti attuativi del Pnrr e Pnc. Stop a nuovi disegni di legge governavi ed a regolamenti

di Aldo Natalini

"Il Governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti": così recita lo scarno comunicato del 21 luglio scorso col quale il Quirinale ha "preso atto" – si badi: non accettato ¬– le dimissioni "reiterate" del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e dell'intero governo da lui presieduto.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno il Presidente della Repubblica, ricevuti i Presidenti delle Camere ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione, ha poi decretato la fine della XVIII Legislatura: ha sciolto le Camere (il decreto n. 96/2022 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 169/2022) e, su proposta del consiglio dei ministri, con separato decreto n. 97/22, ha convocato i comizi elettorali, che si terranno il prossimo 25 settembre.
Torna di cogente attualità, dunque, il tema dei poteri di "ordinaria amministrazione" di cui gode l'esecutivo dimissionario: la questione dell'individuazione del loro esatto perimetro si pone ciclicamente ad ogni crisi di governo ma nei casi – come quello odierno – coincidenti con lo scioglimento del Parlamento, diviene più delicata perché il regime di gestione degli affari correnti, come di volta in volta "scandito" da apposite direttive emanate da Palazzo Chigi a tutti i ministeri – è destinato a protrarsi per diversi mesi (calendario alla mano, almeno fino a fine ottobre visto che la prima seduta del nuovo Parlamento, che avverrà il 13 ottobre).
Il governo Draghi resterà in carica fino all'ottenimento del voto di fiducia del prossimo esecutivo da parte del nuovo Parlamento: solo in quel momento verrà contestualmente firmato il decreto presidenziale di accettazione delle dimissioni dell'attuale gabinetto. Il Parlamento appena sciolto, a sua volta, opererà in regime di prorogatio: una volta riunite le nuove Camere, le Commissioni permanenti non saranno attivate fino all'individuazione della nuova maggioranza, mentre l'esame degli atti del governo sarà affidato pro tempore alla Commissione speciale che si suole istituire a tale scopo in ciascuna delle Camere. Durante tutto questo arco di tempo dovrà in ogni caso essere assicurata la continuità amministrativa e la capacità di rispondere adeguatamente ad eventuali urgenze, in contesto emergenziale (pandemia da Covid-19 e crisi internazionale) che – come ha ammonito lo stesso Presidente della Repubblica – non consente "pause negli interventi indispensabili per contrastare gli effetti della crisi economica e sociale e, in particolare, dell'aumento dell'inflazione che, causata soprattutto dal costo dell'energia e dei prodotti alimentari, comporta pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese".
La direttiva del 21 luglio adottata dal presidente Draghi per delineare le finalità dell'operato del governo e per disciplinare e limitare le relative funzioni esercitabili dai ministri in questa fase – in linea con quanto era lecito attendersi dallo stesso monito presidenziale – sembra offrire una nozione di "affari correnti" piuttosto estesa, con un margine di azione che comprende l'emanazione di tutti gli atti funzionali all'adozione "del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (Pnc)".
Il governo dimissionario – che, naturalmente, non potrà porre la questione di fiducia sui decreti legge in conversione – dovrà assicurare la continuità amministrativa e potrà adottare (solo) tutti gli atti urgenti, sia legislativi, sia regolamentari, sia amministrativi, che siano "necessari a fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da Covid-19". Viene, poi, precisato che il governo continuerà a partecipare alle attività internazionali, compresi i vertici previsti in sede di Unione europea, Onu, Nato, G7 e G20. Non potrà adottare nuovi regolamenti, salvo quelli previsti per legge in scadenza o quelli necessari per l'attuazione del Pnrr e del Pnc.

La formula elastica del "disbrigo degli affari correnti"
La formula elastica del "disbrigo degli affari correnti" riflette il dato secondo il quale si ritiene che un gabinetto dimissionario non sia [più] legittimato, dal punto di vista politico-costituzionale, ad eccedere l'ordinaria amministrazione.
La dottrina costituzionalistica non offre una ricostruzione univoca dei poteri del governo dimissionario. Alcuni autori danno una lettura restrittiva parlando di "organo straordinario" o di organo "meramente amministrativo" e non più politico perché privato della capacità di programmazione; altri, in via prevalente, sostengono invece che la restrizione dei poteri derivi solo da una "regola di correttezza" (ROLLA, Il sistema costituzionale italiano, I, Milano, 2010) o da una "norma inespressa" (GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, 2011), dal contenuto però troppo indeterminato perché possa esserle riconosciuto un carattere propriamente giuridico (VIGNUDELLI, Diritto costituzionale, Modena, 2010) e, come tale, vincolante. Come notano altri autori, poi, l'intensità della limitazione varia caso per caso, a seconda che il governo sia stato espressamente sfiduciato in Parlamento (e che, dunque, sia stato accertato il venir meno di una maggioranza parlamentare), oppure che si sia spontaneamente dimesso.
Sul fronte del diritto positivo, il perimetro degli "affari correnti" non è affatto disciplinato: l'unico limite legale all'operato del governo dimissionario è rinvenibile in un'"archeologica" norma contabile, peraltro di portata assai limitata ed anteriore alla Costituzione (per questo di dubbia compatibilità), costituita dalla legge 14 agosto 1862, n. 800, la quale, all'articolo 14, comma 3, introdotto dal Rd n. 2441/1923, prevede che il Ministero, rassegnate le dimissioni, non possa richiedere la registrazione con riserva degli atti riconosciuti contrari alla legge o ai regolamenti dalla Corte dei conti in sede di controllo (MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975).

Gli autolimiti: la direttiva del 21 luglio del presidente Draghi
In assenza di definizione normativa di "affari correnti", secondo una consolidata prassi risalente agli anni ‘80 del secolo scorso (si veda, per esempio, la nota di Fanfani del 5 maggio 1983) è lo stesso governo uscente ad autolimitarsi per mezzo di una direttiva - destinata ai ministri, viceministri e sottosegretari di Stato – ove si delineano le finalità dell'operato del governo e si disciplinano le relative funzioni che possono essere esercitate dai ministri in questa delicata fase.
Così ha fatto anche il governo Draghi che il 21 luglio – lo stesso giorno in cui, formalizzate le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, ha presieduto il Consiglio dei ministri da presidente dimissionario – ha diramato una direttiva (protocollata 00006090 P-1) che detta gli esatti confini dell'ordinaria amministrazione.
Il corpo della direttiva – sulla falsariga delle precedenti – si divide in sei punti.
1. Quanto all'azione di governo, l'esecutivo «rimane impegnato nel disbrigo degli affari correnti, nell'attuazione delle leggi e delle determinazioni già assunte dal Parlamento e nell'adozione degli atti urgenti, ivi compresi – si precisa – gli atti legislativi, regolamentari e amministrativi necessari per fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da Covid-19». Il governo rimane altresì impegnato nell'attuazione legislativa, regolamentare e amministrativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC).
Dovrà, in ogni caso, essere assicurata la continuità dell'azione amministrativa.
2. Il Consiglio dei ministri continuerà ad essere convocato per l'approvazione degli atti urgenti nonché degli atti individuati dalla stessa direttiva.
3. Quanto all'attività normativa, la direttiva Draghi prevede uno stop all'esame ed all'approvazione di nuovi disegni di legge governativi, ad eccezione di quelli imposti da obblighi internazionali e comunitari, compresi quelli collegati all'attuazione del PNRR e del PNC, che potranno essere adottati.
Qualora ricorrano i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione, il governo potrà procedere all'emanazione di decreti-legge.
Quanto ai decreti legislativi, compresi quelli previsti dal Pnrr e dal Pnc, «si provvederà agli adempimenti prescritti dalla Costituzione, dalla legge n. 400/1988 e dalle leggi di delega per la loro approvazione, anche in esame preliminare» (potranno essere approvati, dunque, i decreti legislativi imposti da scadenze imminenti come quelle di settembre per la seconda rata da 19 miliardi del Pnrr).
Non saranno adottati regolamenti governativi o ministeriali, salvo che la legge imponga termini per la loro emanazione o quest'ultima sia richiesta come condizione di rispetto degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea o di operatività delle pubbliche amministrazioni, ovvero siano necessari per l'attuazione delle leggi già approvate dal Parlamento e per l'attuazione del PNRR e del PNC.
Resta subordinata all'assenso della Presidenza del Consiglio dei Ministri l'emanazione di regolamenti, direttive o circolari ministeriali.
4. Sul fronte delle nomine, potrà procedersi soltanto a nomine, designazioni e proposte strettamente necessarie perché vincolate nei tempi da leggi o regolamenti, ovvero derivanti da esigenze funzionali, non procrastinabili oltre i termini di soluzione della crisi, per assicurare pienezza e continuità all'azione amministrativa.
5. Quanto alle relazioni internazionali, le missioni all'estero dei componenti del Governo saranno subordinate ad autorizzazione della Presidenza del Consiglio. È però garantita la partecipazione italiana, anche a livello governativo, alle riunioni tecnico-operative in sede Onu, Ue, Nato, Ocse e G7. Potranno essere stesi accordi internazionali o negoziati – anche se correlati alla situazione internazionale e alle sue conseguenze – solo su autorizzazione di Palazzo Chigi.
6. Infine, quanto ai lavori parlamentari, la direttiva precisa che dovrà essere assicurata la partecipazione di rappresentanti del governo in aula e nelle Commissioni per l'esame dei disegni di legge di conversione di decreti legge e nelle altre occasioni in cui sarà richiesta dalle Camere.

La precedente direttiva Gentiloni
Rispetto alle precedenti direttive dei governi dimissionari, quella odierna ricalca esattamente, anche nella fraseologia, quelle antecedenti ed è accostabile, per prospettiva temporale ed identità di contesto (coevo scioglimento del Parlamento), a quella emanata dall'allora presidente del consiglio Paolo Gentiloni il 29 dicembre 2017 contestualmente allo scioglimento delle Camere della XVII Legislatura: direttiva che spiegò i suoi effetti molto a lungo, fino al 1° giugno 2018 e che prevedeva l'adozione di decreti legislativi «ove il rinvio alla successiva Legislatura non consentisse, anche in considerazione del tempo necessario al procedimento istruttorio per l'emanazione dei decreti legislativi delegati, di rispettare i termini della delega».
A tal proposito la dottrina evoca episodio assai significativo che potrebbe riproporsi anche all'attualità: il Dlgs 36/2018, di attuazione della legge 103/2017, è stato emanato dopo la riunione delle Camere nuove, ma sulla base del parere che le Commissioni della legislatura precedente avevano espresso nel periodo di prorogatio, per di più in una data successiva a quella delle elezioni; operazione la cui correttezza istituzionale è stata revocata in dubbio (così CATELANI, Poteri del Governo in "ordinaria amministrazione" e rapporti con il Parlamento fra norme costituzionali, regolamenti parlamentari e direttive del presidente del Consiglio, 2018).

La risalente direttiva Prodi del 2008
Un precedente di direttiva sugli affari correnti "a maglie larghe" più distante nel tempo è offerto da quella del governo Prodi del 2008 (dimissionario a causa di un voto di sfiducia del Parlamento) emanata il 25 gennaio 2008.
Nel preambolo si legge che il Governo rimane "impegnato nel disbrigo degli affari correnti, nell'attuazione delle determinazioni già assunte dal Parlamento e nell'adozione degli atti urgenti. Dovrà, in particolare, essere assicurata la continuità dell'azione amministrativa, con particolare riguardo ai problemi dell'occupazione, degli investimenti pubblici ed ai processi di liberalizzazione e di contenimento della spesa pubblica».
Come l'odierna direttiva, anche quella consentiva al Governo l'adozione di atti imposti dal rispetto di vincoli europei, l'effettuazione di nomine "strettamente necessarie", l'approvazione di decreti legislativi in scadenza e di decreti-legge in casi di urgenza (il governo Prodi dovette occuparsi della gestione della crisi in Kosovo, con concessione delle basi alla Nato, e dell'emergenza rifiuti in Campania).

Le direttive d'individuazione dei poteri e dei limiti del Governo dimissionario sono vincolanti?
Un ultimo interessante quesito riguarda la vincolatività o meno dell'odierna direttiva che individua il raggio di azione degli affari correnti e le conseguenze giuridiche della sua eventuale inosservanza.
In via generale, occorre premettere si riconosce al Presidente del Consiglio, nell'esercizio delle sue attribuzioni di impulso e coordinamento rispetto all'attività del Governo, quale primus inter pares, un generale potere di direttiva politica, tanto nei casi in cui l'atto sia rivolto ai singoli componenti del gabinetto, tanto quando abbia lo scopo di concertare l'operato di articolazioni dell'esecutivo.
La direttiva d'individuazione dei poteri e dei limiti del governo dimissionario ha caratteri analoghi a quelli dell'atto di indirizzo politico (CHELI, Atto politico e funzione d'indirizzo politico, Milano, 1961), tradizionalmente identificati nel rapporto di diretta esecuzione di un precetto costituzionale, nell'ambito di efficacia limitato alle più alte sfere dell'ordinamento, senza interferenze con le situazioni giuridiche soggettive dei privati, nella strumentalità all'emanazione di ulteriori atti amministrativi o legislativi, nella flessibilità e disponibilità da parte dell'organo agente (CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell'indirizzo politico, in Studi urbinati, 1939, 53 ss.).
La giurisdizione amministrativa si è pronunciata sulla portata vincolante delle direttive in tema di "affari correnti". Davanti al Tar della Puglia è stata contestata la validità di un provvedimento di revoca, adottato dall'allora ministro Pecoraro Scanio, non conforme con le previsioni contenute nella direttiva Prodi: i magistrati amministrativi hanno annullato l'atto di revoca, fondando l'illegittimità proprio sulla violazione della direttiva del Presidente del consiglio e della prassi costituzionale (cfr. Tar Puglia, Bari, sentenza n. 996 del 22 aprile 2008).
La dottrina, invece, premesso il valore essenzialmente politico della direttiva, dubita che la sua eventuale inosservanza sia sanzionabile, dato che i ministri non sono gerarchicamente subordinati al presidente del consiglio e che questi può revocarli né dispone di poteri coattivi nei loro confronti (F. MERUSI-CLARICH, Direttiva, in Enclopedia giuridica, XIII, Roma, 1989).
Il carattere di internum corporis di questo tipo di atto è per di più rimarcato dal fatto che non è soggetto a pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

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