Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 16 e il 20 gennaio 2023

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si soffermano in tema di diritti degli ausiliari dell'appaltatore verso il committente, di parti comuni dell'edificio condominiale, di contratto tipico-misto, di contratto di interest rate swap e, infine, di superamento del precariato nel pubblico impiego.
Da parte loro i Tribunali trattano dell'operatività del principio dell'affidamento, della prescrizione nella responsabilità sanitaria, delle differenze tra procacciatore di affari e agente, del contratto d'opera e, infine, della disdetta anticipata nelle locazioni di immobili ad uso abitativo
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APPALTO
Contratto di appalto – Ausiliari dell'appaltatore (fallito) – Diritti verso il committente
(Costituzione, articolo 3; Cc, articolo 1676)
La Corte d'Appello di Bari, sezione lavoro, richiama in sentenza il principio di diritto secondo cui, ai sensi dell'articolo 1676 c.c., gli ausiliari dell'appaltatore possono proporre azione diretta contro il committente fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.
Secondo tale disposizione codicistica, dunque, il committente rimane obbligato solo se c'è un debito e non ha ancora pagato l'appaltatore.
Si precisa, in particolare, come l'apertura del procedimento fallimentare nei confronti dell'appaltatore non comporti l'improcedibilità dell'azione precedentemente esperita dai dipendenti nei confronti del committente, ex articolo 1676 c.c., per il recupero dei loro crediti verso l'appaltatore-datore di lavoro, atteso che (e tale motivazione si attaglia anche alle azioni esperite dopo l'apertura della procedura fallimentare) la previsione normativa di una tale azione risponde proprio all'esigenza di sottrarre il soddisfacimento dei crediti retributivi al rischio dell'insolvenza del debitore e che, d'altra parte, si tratta di un'azione "diretta", incidente, in quanto tale, direttamente sul patrimonio di un terzo (il committente) e solo indirettamente su un credito del debitore fallito, sì da doversi escludere che il conseguimento di una somma, che non fa parte del patrimonio del fallito, possa comportare un nocumento delle ragioni degli altri dipendenti dell'appaltatore, che fanno affidamento sulle somme dovute (ma non ancora corrisposte) dal committente per l'esecuzione dell'opera appaltata.
Secondo la Corte, ancora, una tale situazione non suscita sospetti di incostituzionalità, con riferimento all'articolo 3 Cost. (letto in corrispondenza del principio della par condicio creditorum), non essendo irrazionale una norma che accordi uno specifico beneficio a determinati lavoratori, anche rispetto ad altri, in relazione all'attività lavorativa dai medesimi espletata e dalla quale un altro soggetto (il committente) ha ricavato un particolare vantaggio.
Corte di Appello di Bari, sezione lavoro, sentenza 17 gennaio 2023 n. 27

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Parti comuni – Muri perimetrali
(Cc, articolo 1117)
Osserva la Corte d'Appello di Campobasso come i muri perimetrali dell'edifico in condominio, pur quando non abbiano la funzione di muri portanti, devono comunque essere intesi quali muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all'articolo 1117 c.c. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e, ancora, delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso.
La citata disposizione codicistica contiene un'elencazione, non tassativa ma meramente esemplificativa, dei beni e dei servizi che debbono considerarsi comuni, salvo titolo contrario.
Essa integra una presunzione iuris tantum con riguardo, in particolare, a beni che, anche a prescindere dalla loro specifica individuazione in sede normativa, abbiano in ogni caso una destinazione oggettiva all'uso comune, superabile solo dal titolo contrario o da una situazione di concreto asservimento dei beni ad una sola o più unità.
E cioè a dire, l'articolo 1117 c.c. trova applicazione in tema di condominio nella misura in cui in un medesimo edificio coesistono più unità immobiliari di proprietà esclusiva di singoli condòmini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle prime.
Anche laddove le unità immobiliari siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), affinché si ricada nella fattispecie condominiale, le singole unità immobiliari debbono essere dotate di quelle strutture (portanti) e degli impianti (essenziali) di cui all'articolo 1117 c.c..
Con l'avvenuta costituzione del condominio si trasferiscono ai singoli acquirenti dei piani o porzioni di piano anche le corrispondenti quote delle parti comuni, di cui non è più consentita la disponibilità separata a causa dei concorrenti diritti degli altri condomini, a meno che non emerga dal titolo, in modo chiaro ed inequivocabile, la volontà delle parti di riservare al costruttore originario o a uno o più dei condòmini la proprietà esclusiva di specifici beni che, per loro struttura e ubicazione, dovrebbero considerarsi comuni (privandone, nel contempo, tutti gli altri).
Corte di Appello di Campobasso, sentenza 17 gennaio 2023 n. 16

CONTRATTO
Contratto tipico – Misto – Teoria dell'assorbimento
(Cc, articolo 1677)
Innanzi all'adita Corte d'Appello di Milano si pone la questione della esatta qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti e definito quale "contratto per la prestazione di servizi" che prevedeva l'esecuzione di alcune prestazioni di carattere continuativo - e cioè, hosting (messa a disposizione di uno spazio web), server (computer che sviluppa dati richiesti dagli utenti), manutenzione e consulenza - e, ancora, altre attività ad esecuzione istantanea (prima configurazione hosting), oltre alla realizzazione di un portale web (cioè un sito internet attraverso il quale accedere ad un software).
La questione consiste, in punto di diritto, nello stabilire se qualificare detto contratto quale "contratto misto" (invocandosi la teoria dell'assorbimento per potersi così sostenere che le prestazioni di hosting e server sarebbero da ritenersi assorbite nella prestazione "principale" di realizzazione del portale web), oppure quale contratto tipico (di appalto) ma misto.
Secondo la Corte la tesi che sostiene la "teoria dell'assorbimento" non è correttamente invocabile in quanto tale teoria trova applicazione nei contratti atipici che presentano elementi propri di più contratti tipici (ad esempio: vendita e appalto), prevedendo che, in tali ipotesi, si applichi la normativa dello schema contrattuale risultante prevalente sull'altro.
Viceversa, nel caso oggetto del suo esame, sottolinea ancora la Corte come il contratto sia "tipico" (contratto di appalto) ma "misto" (in quanto il contratto di appalto può essere di opera e/o servizi) occorrendo così ricondurre la fattispecie negoziale de qua alla figura del contratto "misto", in quanto la realizzazione del sito web deve essere ricondotta all'appalto d'opera, qualora si tratti di attività svolta da un'impresa, mentre il mantenimento e la gestione in rete del sito vanno ricondotti all'appalto di servizi previsto dall'articolo 1677 c.c..
Si è dunque escluso che la realizzazione del portale costituisse obbligazione principale ed assorbente rispetto al servizio di hosting, di server e di setup, e che tale assorbimento ne potesse giustificare l'omesso pagamento per l'asserito inadempimento relativo alla realizzazione del portale.
Corte di Appello di Milano, sezione IV, sentenza 17 gennaio 2023 n. 99

BORSA E MERCATI FINANZIARI
Contratto di interest rate swap - Mark to market – Rilevanza
(Cc, articolo 2427 bis; Dlgs 58/1998, articolo 203)
La Corte d'Appello di Roma osserva in sentenza che l'interest rate swap (IRS) è il contratto derivato che prevede l'impegno reciproco delle parti di pagare l'una all'altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominata "nozionale", per un dato periodo di tempo.
Nell'ambito del contratto di IRS assume rilevanza il cosiddetto mark to market (MTM), o costo di sostituzione, ossia l'attualizzazione del differenziale dei flussi di cassa che le parti si scambiano nel corso del rapporto.
Il MTM è disciplinato dall'articolo 203 Dlgs n. 58/1998 (TUF) e dall'articolo 2427 bis, I, n. 1 c.c., sebbene non si rinvenga una disciplina precipua di tali interest rate swap.
Per MTM s'intende principalmente la stima del valore effettivo del contratto ad una certa data (anche se, in astratto, il MTM non esprime un valore concreto ed attuale, ma una proiezione finanziaria). Il MTM è, dunque, tecnicamente un valore e non un prezzo, una grandezza monetaria teorica calcolata per l'ipotesi di cessazione del contratto prima del termine naturale.
Più precisamente è un metodo di valutazione delle attività finanziarie che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante indici di aggiornamento monetario, che consiste nel conferire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della scadenza naturale.
Esso rappresenta, pertanto, il valore corrente di mercato del contratto e il costo al quale una parte può anticipatamente estinguere il contratto.
E' necessario che gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione dello stesso siano esplicitati nel contratto, ai fini della formazione dell'accordo in ordine alla misura dell'alea, definita perciò " alea razionale" (in particolare, devono essere esplicitati i costi impliciti e prospettati i cosiddetti " scenari probabilistici").
L'incerta individuazione del MTM si traduce nell'indeterminabilità dell'oggetto contrattuale e comporta la nullità del contratto.
Peraltro, nei contratti IRS, è possibile che lo squilibrio futuro sopravvenuto fra i flussi di cassa, che sia attualizzato al presente, sia oggetto di nuove prognosi ed induca le parti a sciogliere il contratto: in tal caso viene in rilievo il MTM.
Corte di Appello di Roma, sezione II, sentenza 17 gennaio 2023 n. 332

PUBBLICO IMPIEGO
Pubblico impiego - Precarietà del rapporto di impiego – Superamento - Condizioni
(Dlgs 502/1992, articolo 15 septies; Dlgs 75/2017, articolo 20)
La sezione lavoro della Corte d'Appello di Palermo affronta il tema degli strumenti normativi atti a superare la precarietà nel pubblico impiego, attraverso la cosiddetta stabilizzazione ex articolo 20, I, Dlgs n. 75/2017, osservando come, a tal fine, il termine "concorsuale" richiesto dalla norma debba essere inteso in senso restrittivo.
Deve cioè identificarsi come procedura concorsuale esclusivamente quella caratterizzata dall'emanazione di un bando, dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria di merito, la cui approvazione, individuando i "vincitori", rappresenta l'atto terminale del procedimento preordinato alla selezione dei soggetti idonei.
A tale stregua si intendono come concorsuali sia le procedure connotate dall'espletamento di prove stricto sensu intese, ma comunque libere nella modalità, purché la procedura concreti una selezione tra diversi aspiranti, sia i concorsi per soli titoli, non configurandosi, invece, come procedure concorsuali, le assunzioni in esito a procedimenti di diverso tipo (quali: assunzioni dirette).
Alla luce di tali principi di diritto, avuto riguardo al caso concreto oggetto del suo intervento, l'adita Corte siciliana sottolinea come non possa beneficiare di una tale stabilizzazione il dirigente assunto con contratto a tempo determinato, con la procedura disciplinata dall'articolo 15 septies Dlgs n. 502/1992 (che prevede una particolare forma di reclutamento a termine di dirigenti, che deroga - a certe specifiche condizioni, e per necessità funzionali della Pa - alle regole generali che prescrivono tassativamente l'espletamento di un concorso pubblico) senza aver sostenuto alcuna prova (e consequenzialmente senza che fosse stilata alcuna graduatoria finale) bensì, unicamente previa valutazione del suo curriculum vitae seguita da nomina, avente sostanzialmente carattere fiduciario, da parte del Direttore Generale.
E cioè a dire, non può rivendicare il diritto alla stabilizzazione del rapporto di pubblico impiego chi non abbia provato il necessario requisito della natura selettiva, o comparativa, della procedura di conferimento del proprio incarico.
Corte di Appello di Palermo, sezione lavoro, sentenza 19 gennaio 2023 n. 1137/2022

CONTRATTO
Principio dell'affidamento – Operatività - Limiti

Il Tribunale di Milano precisa in sentenza (tra l'altro) che possono essere invocati i principi dell'apparenza del diritto e dell'affidamento incolpevole allorché non solo vi sia la buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante, ma anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente, e validamente, conferito al rappresentante apparente.
Nel caso di contratto concluso dal terzo con una società di capitali, in particolare, il principio dell'apparenza del diritto e dell'affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, ancorché non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è invocabile nei casi in cui la legge prescriva speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l'ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell'altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti; tuttavia, anche in tale ipotesi, il principio dell'affidamento può essere invocato, qualora il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità.
Per regola generale, poi, quando viene stipulato un contratto si presume che i soggetti stipulanti agiscano per sé stessi, a meno che non dichiarino espressamente di agire in nome e per conto di altri (contemplatio domini).
Nel caso sorgano contestazioni, è il contraente che assume di aver agito in nome e per conto di altri a dover fornire la prova di avere, al momento della stipulazione del contratto, espressamente dichiarato di agire in virtù di un potere rappresentativo a lui conferito, mediante la contemplatio domini, e non già l'altro contraente a dover dimostrare che, invece, tale contemplatio abbia nella specie fatto difetto.
E se è vero che la contemplatio domini può essere anche implicita o manifestata per fatti concludenti, tale principio, basato sulla tutela dell'affidamento incolpevole, può essere invocato da chi ha contrattato con una persona ritenendola rappresentante del soggetto legittimato al negozio e non può di certo valere nel caso opposto.
Tribunale di Milano, sezione V, sentenza 16 gennaio 2023 n. 246

RESPONSABILITÀ MEDICA
Responsabilità medica – Risarcimento danni - Prescrizione

Adito in materia di responsabilità sanitaria il Tribunale di Pisa ritiene che i numerosi solleciti di adempimento, rivolti dal paziente danneggiato tanto alla controparte, quanto alla compagnia assicurativa (con cui il medesimo danneggiato richiedeva il risarcimento per il danno subito, dimostrava la propria disponibilità ad una soluzione transattiva, precisava la propria volontà di agire giudizialmente per la soddisfazione delle proprie pretese laddove non avesse avuto riscontro dalla controparte, contestava il diniego della compagnia assicurativa a corrispondere il risarcimento del danno) abbiano efficacia interruttiva della prescrizione contenendo l'esplicitazione di una pretesa, nonché l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo.
Con la precisazione secondo cui, affinché un atto possa considerarsi interruttivo non necessaria l'indicazione dell'importo richiesto in pagamento, essendo sufficiente la sussistenza di due requisiti: a) l'elemento soggettivo, ovvero l'individuazione del debitore; b) l'esplicita richiesta di adempimento che può avvenire anche senza l'utilizzo di formule solenni.
La costituzione in mora del debitore, anche al fine dell'interruzione della prescrizione, postula l'estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta di adempimento, e, pertanto, non può essere ravvisata in una generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in un momento successivo.
Specificamente, perché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, ex articolo 2943, IV, c.c., deve contenere anche l'esplicitazione di una pretesa, vale a dire un'intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l'effetto di costituirlo in mora.
Altresì l'adito Tribunale osserva che il dies quo cui far decorrere il termine prescrizionale nel caso di responsabilità extracontrattuale deve essere individuato non nel momento in cui il danno si manifesta all'esterno in modo oggettivo, ma nel momento in cui lo stesso viene percepito come ingiusto conseguentemente al comportamento del terzo.
Tribunale di Pisa, sentenza 16 gennaio 2023 n. 79


LAVORO
Procacciatore di affari – Agente – Differenze
(Cc, articolo 1748; Cpc, articolo 409)
Secondo il Giudice del Lavoro del Tribunale di Roma il libero procacciatore di affari è un collaboratore del preponente che raccoglie proposte di contratto, ovvero ordinazioni, presso terzi e le trasmette al preponente.
Si tratta di una figura molto simile all'agente senza rappresentanza dal quale tuttavia si distingue per la mancanza della stabilità, ossia dell'obbligo di svolgere stabilmente un'attività di promozione della conclusione di contratti.
La figura del libero procacciatore d'affari non è regolata espressamente dal codice: si tratta quindi di un contratto atipico che non ha una disciplina sua propria e al quale debbono essere applicate le norme del contratto di agenzia in quanto compatibili con le caratteristiche dell'attività svolta dal procacciatore.
Il procacciatore d'affari ha pertanto diritto a un compenso-provvigione sui contratti da lui promossi, come stabilito dall'articolo 1748 c.c., e le relative controversie sono di competenza del Giudice del Lavoro qualora ricorrano i requisiti di cui all'articolo 409, n. 3, c.p.c..
Il Tribunale precisa, ancora, che caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto di procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via episodica (occasionale), raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni.
Ed allora, laddove vi sia dubbio circa la qualificazione da attribuire al rapporto, appare determinante accertare se lo stesso sia stato caratterizzato dalla stabilità non essendo sufficiente la mera ripetizione nel tempo della trasmissione di ordini commerciali in quanto anche il procacciatore può essere legato alla ditta da un rapporto coordinato e continuativo che, tuttavia, non assume il connotato della stabilità, essendo appunto rimesso esclusivamente all'iniziativa del procacciatore attivarsi per reperire clienti o affari.
Tribunale di Roma, sezione II lavoro, sentenza 18 gennaio 2023 n. 397

CONTRATTO
Contratto d'opera – Esecuzione – Difetti – Responsabilità
(Cc, articoli 2083, 2226)
Precisa in sentenza il Tribunale di Potenza come sussista un appalto quando l'esecuzione dell'opera commissionata avvenga mediante un'organizzazione di media o grande impresa in cui l'obbligato è preposto.
Condizione, questa, che – secondo il Tribunale - non ricorre in quelle fattispecie in cui l'incarico venga conferita ad una ditta che, per l'esecuzione delle opere commissionate, si avvalga dell'attività del titolare e, al più, di parenti stretti dello stesso e di un dipendente.
La qualificazione giuridica di un tale rapporto va effettuata in termini di contratto d'opera che coinvolge, per l'appunto, la piccola impresa, cioè quella che svolge la propria attività con il prevalente lavoro personale dell'imprenditore, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o di qualche collaboratore (articolo 2083 c.c.).
In tale ultimo caso, ex articolo 2226 c.c., la garanzia del prestatore d'opera ha ad oggetto esclusivamente i vizi "occulti", e non anche quelli conosciuti o conoscibili che devono essere contestati prima dell'accettazione dell'opera, dovendosi altrimenti intendere gli stessi come sopportati.
Il vizio occulto è quello che, all'atto della accettazione dell'opera, non era ancora sorto o non era ancora percepibile. In tali casi la legge pone a carico del committente l'onere di denunciare le difformità ed i vizi dell'opera entro otto giorni dalla loro scoperta.
La denuncia consiste in una comunicazione della sussistenza dei vizi rivolta al prestatore d'opera, affinché possa eliminarli subito a proprie spese, evitando così un'azione di responsabilità: essa non deve consistere necessariamente in una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, tale cioè, da consentire l'individuazione di ogni anomalia di quest'ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia una pur sintetica indicazione delle difformità, suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo.
Sicchè secondo un principio consolidato in materia di appalto, ma pacificamente applicabile anche al contratto d'opera, nel caso in cui il prestatore d'opera eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia di cui all'articolo 2226 c.c., per i vizi dell'opera, incombe sul committente l'onere di dimostrare di averli tempestivamente denunziati, costituendo la denuncia una condizione dell'azione.
Tribunale di Potenza, sentenza 19 gennaio 2023 n. 47

LOCAZIONE
Locazioni di immobili ad uso abitativo - Disdetta anticipata – Responsabilità - Limiti
(Cc, articolo 1218; legge 431/1998, articolo 3)
Il Tribunale di Sassari osserva come, in tema di locazioni di immobili ad uso abitativo, l'articolo 3, legge n. 431/1998 conferisca al locatore la facoltà di diniego di rinnovo della locazione, alla prima scadenza contrattuale, soltanto in presenza dei motivi ivi tassativamente indicati.
Con la precisazione che, nella comunicazione di diniego di rinnovo contrattuale, il motivo sul quale la disdetta è fondata deve essere specificato a pena di nullità così da consentire al conduttore di effettuare, ex ante, una verifica sulla serietà e sulla realizzabilità dell'intenzione dichiarata dal locatore. La sua effettiva sussistenza costituisce, peraltro, condizione per il valido ed efficace esercizio della facoltà potestativa del locatore sul quale grava l'onere di dimostrare la realizzazione della finalità indicata.
La norma richiamata, nel caso di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta, prevede un doppio regime sanzionatorio: il comma 3 prevede un risarcimento del danno nella misura minima di trentasei mensilità dell'ultimo canone di locazione percepito. Il comma 5 aggiunge (in alternativa) al rimedio del risarcimento del danno, nella misura sopra indicata, quello del ripristino della locazione per il caso in cui il locatore abbia riacquistato la disponibilità dell'immobile (anche per mezzo di procedura giudiziaria), ma non lo abbia adibito agli usi per i quali la disdetta era stata esercitata entro il termine di dodici mesi successivi.
Orbene, sempre nella locazione ad uso abitativo, le cennate sanzioni per la mancata destinazione dell'immobile all'uso indicato nella disdetta anticipata (art. 3, III e V, cit.) non sono applicabili al locatore se la tardiva o la mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato ai fini del rilascio siano giustificate da esigenze, ragioni o situazioni non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore.
Quella configurata dalla disposizione in esame non è una responsabilità oggettiva, trattandosi piuttosto di una fattispecie particolare d'inadempimento contrattuale, in cui la colpa è presunta ex articolo 1218 c.c..
Tribunale di Sassari, sezione I, sentenza 20 gennaio 2023 n. 1166/2022

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