Famiglia

Per la rettifica anagrafica del sesso non è necessario aver già fatto l'intervento demolitivo

Il caso esaminato dal tribunale di Lucca riguarda la tutela del minore con disforia di genere

di Valeria Cianciolo

La legge 14 aprile 1982 n. 164 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso è stata una delle prime leggi in Europa che ha consentito ai soggetti affetti dalla cosiddetta disforia di genere, la riassegnazione anagrafica, previa autorizzazione, rilasciata dal tribunale, all'adeguamento medico-chirurgico dei caratteri sessuali dell'interessato. È stata per prima la Svezia a sensibilizzarsi su queste tematiche con la legge del 21 aprile 1972 e successivamente la Germania con la legge del 10 settembre 1980.
Sebbene il nostro legislatore abbia dettato un articolato scarno, limitandosi a individuare i presupposti, specie procedurali, per l'accesso al trattamento medico chirurgico di cambiamento di sesso e circoscrivendo le fondamentali conseguenze di tale cambiamento (la rettifica del nome agli atti dello stato civile e lo scioglimento dell'eventuale pregresso matrimonio), per l'epoca, la legge 164 ha rappresentato una vittoria di civiltà e di rispetto della dignità della persona.

Necessaria una modifica legislativa
Sarebbe indispensabile uno specifico intervento a livello legislativo diretto ad introdurre dei correttivi alla Legge n. 164/1982 tali da permettere il cambiamento almeno del nome della persona come in Germania oppure che, come in Spagna o Regno Unito, venga a riconoscere, sussistendo determinati presupposti, il cambiamento del nome (e del genere) senza doversi sottoporre ad un intervento medico chirurgico, garantendo il libero sviluppo della personalità e della dignità della persona.
Alla luce dell'evoluzione giuridica sul piano internazionale, la legge, a più di quarant'anni dalla sua adozione, esigerebbe un restyling al momento operata attraverso la creazione giurisprudenziale di modelli giuridici la quale, sembra, negli ultimi tempi, funzionare meglio di quella legislativa, dando idonee soluzioni a richieste che rimarrebbero, altrimenti, inevase.

Il ruolo innovativo della giurisprudenza
Ancora una volta, i giudici, attenti percettori dei mutamenti sociali, hanno rivelato una marcata sensibilità ispirandosi, nello sforzo interpretativo ed in mancanza di leggi, agli standard giurisprudenziali transnazionali, pur occupando, così, loro malgrado, uno spazio che sarebbe proprio del legislatore.
In tale prospettiva giuridica, il punto da sottolineare è l'intersecarsi di diversi diritti, egualmente rilevanti sul piano costituzionale, ossia, il diritto alla salute, alla libertà e all'identità sessuale.

Il caso del tribunale di Lucca
Nel caso prospettato al Tribunale di Lucca (sent. 27 agosto 2021), il minore presentava una disforia di genere in conseguenza della quale i genitori si erano rivolti all'Azienda O.U.C., Endocrinologia femminile e Incongruenza di genere, per una valutazione della identità di genere del figlio e potere conseguentemente dare inizio ad una terapia ormonale, cui avrebbe dovuto seguire l'intervento chirurgico.
Il Dipartimento, all'esito degli svolti accertamenti, aveva pienamente confermato che il minore era affetto da una grave disforia di genere e che pertanto era fondata la richiesta di procedere alla rettificazione anagrafica, così come all'adeguamento chirurgico del sesso da maschile a femminile nonché procedere all'immediato cambio anagrafico.
Il Tribunale accoglieva la domanda e ordinava all'Ufficiale dello Stato Civile la rettificazione anagrafica dell'atto di nascita del figlio, con attribuzione del sesso da maschile a femminile e conseguente cambio del nome, inoltre autorizzando l'intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali del minore, da maschili a femminili.

Disforia di genere nel minore e consenso
Ricostruire la posizione giuridica del minore, in particolare con riferimento alla gestione del proprio corpo e al consenso al trattamento medico, è questione complessa: come comportarsi di fronte al minore che chiede di essere sottoposto ad un trattamento, chirurgico o ormonale, di cambiamento del sesso? Occorre valutare la capacità di discernimento del minore, il suo superiore interesse, l'autodeterminazione sessuale e la mancanza di criteri legislativi certi occorre la cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti (minori, genitori, medici, autorità giudiziaria), al fine di individuare la soluzione migliore per il massimo benessere del minore: «Il discorso, partito dalle esigenze di autodeterminazione del minore, si sposta a questo punto su un possibile concorso e conflitto tra genitori, medici e minore nella (etero)determinazione dell'interesse di quest'ultimo. [Tuttavia] ritenere che la capacità di discernimento possa (e debba) essere valutata caso per caso attribuisce una responsabilità maggiore alla figura professionale cui il minore si rivolge. Questi peraltro non dovrebbe sostituirsi alla funzione educativa dei genitori, ma limitarsi a valutare la capacità del minore di (auto)determinare il proprio interesse» (M. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, Cedam, Padova, 2007, p. 215).

L'intervento della riforma del 2012
L'articolo 315 bis c.c., introdotto con la riforma del 2012, afferma la necessità di coinvolgere attivamente il minore in «tutte le questioni e le procedure che lo riguardano» e, dunque, anche in quelle che concernono le cure mediche, ma non ha chiarito le modalità e il peso che l'opinione debba rivestire nella formazione del consenso, l'effettività dei diritti del minore nei casi di conflitto con i genitori o il legale rappresentante. Come stabilire la capacità di cognizione del minore? Sulla base di quale dato? Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica «è difficile pensare a un assenso-dissenso informato prima dei sette anni. Successivamente, quando il bambino esplora meglio le proprie motivazioni e le confronta con ciò che gli altri dicono e fanno, è pensabile un assenso-dissenso informato insieme a quello dei genitori. A partire dai dodici anni, si può supporre un'espressione di volontà progressivamente consapevole, perché anche di fronte a situazioni complesse, come per esempio interventi che invece di essere curativi o palliativi possano tendere verso azioni di accanimento terapeutico, i preadolescenti e gli adolescenti riescono a figurarsi il futuro e ad assumersene la responsabilità di fronte al proprio progetto di vita» (COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Informazione e consenso all'atto medico, 20 giugno 1992, in http://bioetica.governo.it/media/170114/p10_1992_informazion e-e-consenso_abs_it.pdf (ultimo accesso: 8 settembre 2021).
Secondo un provvedimento di qualche lustro fa del Tribunale meneghino (Tribunale per i minorenni di Milano, decreto del 15 febbraio 2010), l'accertamento della capacità di discernimento è svincolata da qualsiasi riferimento (compresa l'età) che non sia la persona nel caso concreto, essendo un concetto questo che non è commisurabile in assoluto ma che varia da situazione a situazione e da soggetto a soggetto…anche il minorenne è titolare di diritti costituzionali che, in quanto finalizzati alla realizzazione della personalità, si attagliano particolarmente al fanciullo per il quale la personalità è ancora in formazione. (per un approfondimento, F. Ruscello, La potestà dei genitori. Rapporti personali, in Codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Giuffrè, Milano, 2006).

La giurisprudenza in Italia in tema di rimozione dei caratteri sessuali
La Legge 14 aprile 1982, n. 164, articolo 1, stabilisce che la rettificazione di sesso si fonda su un accertamento giudiziale passato in giudicato che attribuisca ad una persona di sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita "a seguito d'intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali".
L'articolo 3, abrogato nella sua originaria formulazione per effetto del Dlgs 1 settembre 2011, n. 150, articolo 34, comma 39, è attualmente trasfuso, senza variazioni testuali, nel Dlgs n. 150 del 2011, articolo 31, comma 4, e stabilisce che "quando risulta necessario" un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico- chirurgico, il tribunale lo autorizza.
Il procedimento non è più bifasico, nel senso che non richiede, dopo l'entrata in vigore del Dlgs n. 150 del 2011, due pronunce, una, volta all'autorizzazione sopra indicata, e l'altra, finalizzata dalla modificazione dell'attribuzione di sesso.
Fin dall'entrata in vigore della legge n. 164 del 1982, la dottrina, sottolineando unanimemente il carattere fortemente innovativo della nuova disciplina normativa, anche confrontandola con il panorama europeo, si è interrogata sul significato contenuto nelle due norme, poiché sul piano testuale esse non contenevano l'obbligo indefettibile di procedere alla mutazione dei caratteri sessuali anatomici primari mediante trattamento chirurgico come, invece, poteva riscontrarsi nelle normative di altri paesi Europei.

L'intervento della Consulta
La Corte Costituzionale con la sentenza del 20 giugno 2017 n. 180 ha dichiarato non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164, sollevata con due ordinanze, in riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dal Tribunale ordinario di Trento.
Nella ordinanza n. 174 del r.o. 2015 si osserva che la lettera dell'articolo 1, comma 1, non precisa in cosa debbano consistere le modificazioni dei caratteri sessuali necessarie per ottenere la rettificazione, sicché, secondo il giudice a quo, l'interprete non potrebbe effettuare alcuna distinzione circa tali modificazioni. Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata richiederebbe interventi non solo "demolitivi", ma anche "ricostruttivi", al fine di rendere la conformazione anatomica della persona il più possibile corrispondente a quella del diverso sesso da attribuire anagraficamente. In entrambi i casi oggetto dei giudizi a quibus, il Tribunale adìto dovrebbe rigettare la domanda di rettificazione, non essendo soddisfatto tale requisito; nell'ordinanza n. 211 si riferisce, in particolare, che la parte istante non si è sottoposta ad alcun intervento chirurgico, ma solo alla terapia ormonale, mentre nel caso di cui all'ordinanza n. 174 sono stati eseguiti interventi chirurgici di tipo demolitivo, ma non quelli ricostruttivi. Di qui, la rilevanza della questione di costituzionalità dell'articolo 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alle intervenute modificazioni dei caratteri sessuali della persona istante, dovendosi interpretare la norma nel senso che essa impone modificazioni sia demolitive, sia ricostruttive.

L'orientamento del merito
Secondo un diffuso orientamento della giurisprudenza di merito l'articolo 3, 1 comma della Legge 14 aprile 1982, n. 164 (ora trasfuso nell'articolo 31, quarto comma, Dlgs 1 settembre 2011, n. 150), nel prevedere che, "quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato", non considererebbe l'intervento demolitorio-ricostruttivo come condicio sine qua non per la rettificazione dell'attribuzione di sesso. In particolare, "nei casi di transessualismo accertato il trattamento medico chirurgico previsto dalla legge n. 164/82 è necessario nel solo caso in cui occorre assicurare al soggetto transessuale uno stabile equilibrio psicofisico, qualora la discrepanza tra psicosessualità ed il sesso anatomico determini nel soggetto un atteggiamento conflittuale di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali, chiarendo che laddove non sussista tale conflittualità non è necessario l'intervento chirurgico per consentire la rettifica dell'atto di nascita. Tale condivisa interpretazione poggia, per un verso, sulla considerazione che il dato letterale della legge n. 164/1982 legittima una rettificazione di sesso anche in assenza di preventivo intervento chirurgico, e ciò in quanto prevede solo che debba essere autorizzato quando necessario, (senza peraltro precisare i termini dello stato di necessità e nemmeno specificare se per caratteri sessuali debbano intendersi quelli primari o secondari e fino a che punto debbano essere modificati) e, per altro verso, su una lettura costituzionalmente orientata della normativa in parola, ponendosi sulla scia della pronuncia della Corte costituzionale n. 161/1985 che ha identificato un concetto ampio di identità sessuale ex artt. 2 e 32 Costituzione" (Trib. Rovereto 3 maggio 2013, n. 194, www.sossanità.it).
La Corte Costituzionale alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale comunitaria afferma: "L'imposizione dell'intervento chirurgico di normoconformazione rappresenterebbe, quindi, un'illegittima ingerenza del legislatore in un ambito che deve essere lasciato all'autonomia e alla responsabilità del professionista sanitario, al quale l'ordinamento demanda la scelta del trattamento medico e psicologico più opportuno per assistere la persona nella transizione di genere. Al riguardo, è richiamata la sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, l° Sen., 11 gennaio 2011, l BvR 3295/07, che ha ritenuto che «la decisione sulla giustificabilità e opportunità clinica di un cambio di sesso deve essere presa sulla base di una diagnosi medica individuale; perciò il legislatore, al fine della prova della permanente esistenza della transessualità, pone un requisito eccessivo, che non considera in maniera sufficiente i diritti fondamentali che devono essere protetti». Del pari fondata sarebbe la censura riferita alla violazione dell'articolo 8 della CEDU. Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, il diritto all'identità di genere rientra nell'ambito protetto dall'articolo 8 della Convenzione; pertanto, il rifiuto della riattribuzione di sesso, così come l'imposizione di un trattamento chirurgico di normoconformazione, costituirebbero «ingerenza di una pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto».

La risposta della giurisprudenza comunitaria in tema di disforia di genere
La concezione per cui al fine di vedersi riconosciuto il proprio diritto all'identità sessuale, una persona debba sottoporsi a trattamenti clinici altamente invasivi, tali da mettere in pericolo la propria salute, confligge insanabilmente sia con l'articolo 8 CEDU, sia con l'articolo 2 Cost., i quali entrambi, come visto, consentono incondizionatamente ad ogni soggetto di vedersi riconosciuta la propria identità sessuale. Detta concezione confligge anche con l'articolo 32 Cost., poiché, al fine dell'esercizio di un proprio diritto fondamentale (quale il diritto all'identità sessuale), impone al soggetto di sottoporsi ad un trattamento chirurgico, del tutto non pertinente né necessario al fine del libero esercizio del diritto in esame. Imporre al soggetto di sottoporsi ad un trattamento chirurgico o sanitario doloroso e pericoloso per la propria salute, equivale a vanificare o rendere comunque eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto alla propria identità sessuale. Considerando che gli articoli 8 CEDU e 2 della Costituzione tutelano la ricongiunzione dell'individuo con il proprio genere quale risultato del procedimento di rettificazione, non può non riconoscersi che - come ha fatto da tempo anche la scienza medica - la modificazione dei caratteri sessuali primari non sempre è necessaria e che, anzi, alla luce dei diritti "in gioco", la persona deve avere il diritto di rifiutarla.
La Corte EDU nell'Affaire A.P., Garçon Et Nicot C. France 6 aprile 2017 conferma la sua posizione circa il divieto di sottoporre la persona affetta da disforia di genere alla sterilizzazione per la rettifica degli atti dello stato civile:« La Cour a notamment jugé que le fait de conditionner la reconnaissance de l'identité sexuelle des personnes transgenres à la réalisation d'une opération […] stérilisant[E] qu'elles ne souhaitent pas subir revient à conditionner le plein exercice du droit au respect de la vie privée à la renonciation au plein exercice du droit au respect de l'intégrité physique. »
« La conclusion de violation de l'article 8 de la Convention dans la présente affaire a en fait pour conséquence qu'afin d'éviter de futures violations de cette disposition, 22 États membres devront modifier leur législation et supprimer l'exigence de stérilisation pour la reconnaissance juridique de l'identité de genre des personnes transgenres ; sans oublier les sept États membres dans lesquels aucune possibilité n'existe actuellement de faire reconnaître juridiquement cette identité
Tuttavia, la CEDU ha ritenuto che il giudice francese ha il pieno diritto di richiedere agli interessati di presentare ad un esame medico: «S'agissant enfin de l'obligation de subir un examen médical […] la Cour reconnaît aux États parties une large marge de manœuvre. La Cour retient que, même si l'expertise impliquait un examen de l'intimité génitale, l'ampleur de l'ingérence potentielle dans l'exercice de son droit au respect de sa vie privée mérite d'être significativement relativisée. […] Il n'y a donc pas eu violation de l'article 8 à cet égard
Lo Stato ha degli obblighi di cura e di protezione, ma, nell'imporre la sterilizzazione come condizione essenziale per ottenere la rettifica del sesso sui documenti, condiziona il pieno esercizio del diritto al rispetto della privacy di un individuo alla rinuncia dell'esercizio di quello all'integrità fisica (Y.Y. c. Turchia del 2015 e Soares de Melo c. Portogallo del 16 febbraio 16).
L'evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU ha condotto ad affermare la violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata) nei casi in cui la legislazione nazionale consenta il mutamento di sesso, ma lo subordini a determinati trattamenti medici. Sul tema è intervenuta la Corte, con il caso L. v. Lithuania, condannando lo Stato convenuto nonostante il richiedente avesse dovuto sottoporsi soltanto a trattamenti parziali.
La Corte EDU, con il ricorso Y.Y. v. Turkey, è stata poi chiamata ad esprimersi sulla compatibilità con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo dell'articolo 40 del Codice civile turco che prevede la incapacità di procreare fra i requisiti per ottenere l'autorizzazione al cambiamento di sesso. Secondo quella norma, per potersi sottoporre ad interventi medico-chirurgici di riassegnazione di sesso è necessaria una previa autorizzazione del Tribunale che può essere rilasciata soltanto in favore di una persona transessuale maggiorenne non coniugata che sia in grado di provare, tramite documentazione medica, la necessità dell'adeguamento anatomico per la tutela della propria salute psichica. Altresì deve provare, sempre tramite attestazione medica, di aver irreversibilmente perso la capacità di procreare. Sterilizzazione e intervento medico-chirurgico sono requisiti distinti perché la sterilizzazione non passa necessariamente attraverso l'intervento medico-chirurgico (potendo, infatti, essere ottenuta anche attraverso un trattamento farmacologico) e l'intervento chirurgico non determina necessariamente l'incapacità definitiva a procreare potendo riguardare anche soltanto i caratteri sessuali secondari. In questo modo non bilancia equamente gli interessi in gioco e viene meno ai doveri positivi imposti dall'articolo 8 Cedu.

Quale ruolo per il minore affetto da disforia di genere?
Nel caso prospettato all'attenzione del Tribunale di Lucca, vi è un minore. Come valutare l'interesse del minore dunque in un caso di disforia di genere, se la legge n. 164 del 1982, oltre a non prevedere nulla in ordine all'età del richiedente la rettificazione, niente afferma circa la capacità dei genitori a rappresentare il minore in queste ipotesi. Una lontana pronuncia ha negato del tutto la possibilità di rappresentanza del minore in ipotesi di interventi medici di adeguamento dei caratteri sessuali (Trib. Catania, 17 marzo 2004, in Giust. Civ., 2005, 4, I, p. 1107, con nota di L. Famularo, in Dir. fam. pers., n. 1, 2004, pp. 445-460). In quel caso, il giudice, introducendo un ulteriore requisito per la rettificazione del sesso anagrafico non previsto dalla legge, ovvero quello della maggiore età, ha affermato che l'identità sessuale si configura quale diritto personalissimo che non ammette alcuna ipotesi di rappresentanza, pertanto, non poteva trovare accoglimento la domanda, avanzata dai genitori, di autorizzazione ad intervento medico-chirurgico di rettificazione dei caratteri sessuali da eseguirsi sul figlio minore, dal momento che nel novero dei diritti personalissimi vale la regola della inammissibilità della rappresentanza. Pertanto, mancando una espressa previsione di speciale capacità di agire del minore, questi non può ritenersi destinatario dei diritti predetti. Ne seguiva che il minore non aveva alcuna possibilità di essere autorizzato all'intervento medico-chirurgico, senza una effettiva valutazione in concreto dei suoi best interests.
Se il Tribunale catanese offre una risposta prudente al tema della disforia di genere con riguardo ad un minore, al contrario, altra giurisprudenza di merito ha ritenuto che, in presenza di determinati requisiti, possa essere consentito al minore di adeguare il proprio sesso anagrafico a quello psicologico: nel 2011 il Tribunale di Roma ha autorizzato i genitori di un minore a prestare il proprio consenso per sottoporre il figlio a un trattamento medico di adeguamento chirurgico dei propri caratteri sessuali (da maschili a femminili) nella convinzione che il suo diritto alla salute e all'identità sessuale potesse trovare tutela solo attraverso il ricorso a una rettificazione chirurgica e, successivamente, anagrafica (Trib. Roma, 11 marzo 2011, in Foro.it.). Successivamente, nel 2017 il Tribunale di Frosinone ha ritenuto che l'intervento per la modifica dei caratteri sessuali del minorenne possa rientrare tra i trattamenti sanitari necessari per i quali è ammessa la rappresentanza dei genitori, poiché, pur concernendo un diritto personalissimo, il divieto di tale rappresentanza determinerebbe un ostacolo insormontabile per l'esercizio di un diritto fondamentale della persona (Trib. Frosinone, 25 luglio 2017, in Foro.it.).
Merita richiamare anche la decisione del Tribunale di Genova, (sent. 17 gennaio 2019, n. 153), che ha autorizzato, come nei casi precedenti, la rettifica del sesso anagrafico della minore, nonché l'adeguamento dei suoi caratteri sessuali al genere psicologico mediante trattamento chirurgico. In questo caso, vi è stata la partecipazione attiva in tutte le fasi del procedimento della giovane che, ascoltata, ha manifestato la serietà della propria intenzione di mutare sesso e confermato l'istanza proposta per lei dai suoi genitori.
Il Tribunale ha nel caso di specie, ritenuto che il minore, se persona capace di discernimento in relazione alla sua età e alla sua maturità, abbia il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di autodeterminazione, specie in relazione ai suoi diritti fondamentali alla vita, alla salute e alla dignità (articoli 2, 13, 32 Cost. e 1, 2 e 3 della Carta dei diritti dell'Unione europea). Il provvedimento genovese ancora una volta, richiama il diritto all'autodeterminazione in ordine all'identità di genere, quale elemento costitutivo del diritto alla salute e all'identità personale, da includersi nel novero dei diritti inviolabili della persona (articoli 2, 3, 32 Cost. e 8 CEDU) e dall'altro, come stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 15138/2015, dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 221/2015 e dalla Corte di Strasburgo nella decisione YY v. Turchia del 2015141, il diritto di scegliere il percorso, soggettivamente più appropriato e la non obbligatorietà dell'intervento chirurgico demolitorio e/o ricostruttivo del sesso anatomico per la rettificazione dei dati anagrafici. Il giudice ha ritenuto alla luce delle risultanze documentali acquisite e delle dichiarazioni espresse, che la giovane avesse maturato una piena e definitiva consapevolezza di appartenenza al genere maschile e che fosse capace di prestare un valido consenso al trattamento medico, ordinando la rettifica dei dati anagrafici (da femmina a maschio) e autorizzando, altresì, gli attori a far effettuare al figlio ogni ulteriore trattamento di carattere chirurgico necessario al raggiungimento del suo massimo benessere.

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