Amministrativo

Serve il test di cessione sui materiali di riporto

l Consiglio di Stato: l’esame necessarioper l’assimilazione al suolo

di Paola Ficco

I materiali di riporto presenti in un sito già sottoposto a bonifica devono comunque essere sottoposti a test di cessione. Con questo principio il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata il 5 agosto 2021, conclude una questione insorta tra un’azienda chimica e il Comune di Rosignano Marittimo (Livorno), pronunciandosi a favore della tesi comunale e confermando la pronuncia del 6 agosto 2020 del Tar Toscana. La situazione è diffusa ma la sentenza rappresenta il primo pronunciamento sul tema.

Oggetto del contendere, una prescrizione contenuta nel piano di caratterizzazione del sito secondo la quale, in caso di rinvenimento di materiale di riporto dovevano esserne prelevati campioni «da sottoporre al test di cessione» secondo quanto previsto dal Dm 5 febbraio 1998.

L’azienda ha impugnato la prescrizione ritenendola inutile perché il test di cessione sarebbe stato imposto su materiali che, già ricompresi in un sito soggetto a bonifica, sono già soggetti alle relative norme. I materiali di riporto sono definiti come «miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno» (per esempio pietre da demolizione) che formano «un orizzonte stratigrafico specifico» (che il Consiglio di Stato indica come «un tutto geologicamente unitario»).

La sentenza ripercorre la travagliata storia delle matrici materiali di riporto che trovano specifico approdo nel Dl 2/15 (legge 28/2012) dove sono elevate al concetto di “suolo”, il quale è escluso dal novero dei rifiuti anche se contaminato ma non scavato (articolo 185, comma 1, lettera c), Dlgs 152/06 (“Codice ambientale”).

Tuttavia, il Dl 2/12 (articolo 2, commi 2 e 3) stabilisce che le matrici «devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi del Dm 5 febbraio1998» per escludere i rischi per le acque sotterranee: se superano il test, devono rispettare i limiti dati per le bonifiche; in caso contrario, diventano fonti di contaminazione e vanno rimosse oppure trattate per essere rese conformi ai limiti del test, rimuovendo i contaminanti oppure essere messe in sicurezza permanente.

La circolare del ministero dell’Ambiente 15786/2017 rende più esplicito il concetto e afferma che la rimozione della fonte di contaminazione «avviene attraverso la bonifica». La sentenza ricorda che il test di cessione serve solo a prevedere la reazione che il materiale testato potrebbe avere se fosse immesso nell’ambiente e restasse soggetto all’azione degli agenti atmosferici. Quindi, il superamento del test di cessione consente ai materiali di riporto di essere assimilati alla matrice naturale suolo e a essere esclusi dal concetto di rifiuto. Però, sia il suolo che la matrice a esso equiparata possono contenere contaminanti, a prescindere dalla loro capacità di cederli. Per questo, se c’è il superamento delle soglie di contaminazione, vanno comunque sottoposti a bonifica e questo, afferma il Consiglio di Stato, “è all’evidenza” il senso, della parte finale dell'articolo 3, comma 2, Dl 2/12.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©