Amministrativo

Contribuenti: pec del Riscossore deve essere in pubblici registri. Secondo parità di trattamento costituzionale

L'effetto è che il messaggio di posta elettronica inviato dall'Agente della Riscossione al contribuente, in tal maniera, difetta di requisito indispensabile e perciò non consente al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto (senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. "Malware")

di Angelo Lucarella*

È escluso qualsiasi effetto sanante (ex art. 156 c.p.c.) per raggiungimento dello scopo della notifica esattoriale "utilizzando un indirizzo pec non certificato e non inserito in pubblici registri".

L'effetto è che il messaggio di posta elettronica inviato dall'Agente della Riscossione al contribuente, in tal maniera, difetta di requisito indispensabile e perciò non consente al destinatario di essere messo in condizioni di conoscerne il contenuto (senza correre il rischio di essere attaccato da c.d. "Malware").

Questa la massima che si può ricavare leggendo la sentenza n. 6298 del 11.05.2022 , depositata il 24.05.2022, emessa da parte della Commissione tributaria provinciale di Roma.

È un caso che, supportato già da altri precedenti giurisprudenziali, è stato risolto in base all'applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" desumibile ex artt. 24 e 111 Cost.

Ma c'è un passaggio ulteriore sul piano del collegamento costituzionale.

Logica di ragionamento che ha imposto una sorta di tutela delle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio in coerenza logico-sistematica rispetto alla c.d. soluzione d'evidenza (mentre l'altro criterio è quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c. - già Cass. Sez. V, Ordinanza n. 363 del 9 gennaio 2019 , sul punto).

Al contribuente, in buona sostanza, la Commissione romana ha dato ragione, accogliendo il ricorso avverso una cartella di pagamento per Ires del 2016, in punta di diritto ovvero considerando che l'art. 16-ter del DL n. 179/2012 (convertito in legge, con modifiche, dalla L. 17.12.2012, n. 221 con decorrenza dal 19.12.2012, rubricato "pubblici elenchi per notificazioni e comunicazioni") al comma 1, dispone: "A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia"

Si tratta dei registri IPA, REGINDE e INIPEC in cui devono sempre essere registrati gli indirizzi di provenienza delle notifiche, al fine di assicurare la necessaria certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell'atto notificando.

Sulla scorta di tale norma, in verità da organizzare interpretativamente anche rispetto al D.lgs. 546/1992 per il processo tributario, in ipotesi di indirizzi non ufficiali, emergerebbe (sempre secondo i giudici di primo grado) "l'assoluta incertezza del soggetto da cui proviene l'atto impugnato".

Motivo, quest'ultimo, per cui non può che derivare la violazione delle norme circa la certezza, l'affidabilità giuridica del contenuto dell'atto stesso e del diritto di difesa del contribuente ex art. 24 della Costituzione. È pertanto conseguenza di quanto innanzi "l'inesistenza giuridica della consegna informatica dell'atto tributario proveniente da soggetto formalmente sconosciuto al contribuente".

Conclude così la Commissione tributaria decidente sul ricorso del contribuente, stadiando il sacrosanto principio di parità di trattamento tra pubblico e privato.

*di Angelo Lucarella

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