Penale

Depistaggio materiale: configurabile anche prima dell'avvio del procedimento penale

La sentenza n. 7572/2023 della Sesta sezione penale di Piazza Cavour dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di un poliziotto ritenuto responsabile del reato di depistaggio materiale per aver immutato un oggetto costituente il potenziale corpo del reato di peculato dal medesimo commesso

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di Aldo Natalini

Si affina (e si amplia) l'esegesi giurisprudenziale del reato di depistaggio, introdotto nel 2016. Mentre le condotte di "ostacolo" o lo "sviamento" di un'indagine o di un processo penale, tipizzate dall'articolo 375 del Cp, non possono che riguardare un procedimento già avviato, quella di "impedire" – mediante l'immutazione di un oggetto o la formazione di un falso documento – ben può riguardare anche un procedimento penale ancora non iscritto, a condizione che i comportamenti depistanti siano idonei a generare un pericolo di inganno ovvero a condizionare l'accertamento della verità processuale.
Così la sentenza n. 7572/2023 della Sesta sezione penale di Piazza Cavour, depositata lo scorso 21 febbraio, che dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di un poliziotto ritenuto responsabile, tra l'altro, in ordine al reato di depistaggio materiale per aver immutato un oggetto costituente il potenziale corpo del reato di peculato dal medesimo commesso.

La Suprema corte ha ritenuto prive di pregio le doglianze difensive secondo le quali il delitto previsto dall'articolo 375 del Cp non poteva essere configurabile nel caso di specie perché il portafoglio oggetto di appropriazione e di sostituzione non era (ancora) corpus delicti in un procedimento penale già in corso, perché l'imputato non era un pubblico ufficiale incaricato delle investigazioni (essendone anzi il destinatario), né queste ultime erano state formalmente ancora avviate.

Il fatto: l'immutazione artificiosa delle cose
Per comprendere meglio l'inedito principio di diritto rassegnato dalla sentenza in commento in tema di depistaggio conviene meglio focalizzare il caso di specie.
Un agente di polizia, in servizio presso il corpo di guarda della Questura di Milano, veniva condannato in primo grado, all'esito di giudizio abbreviato, con sentenza confermata in appello, per il reato di peculato e falso ideologico, per essersi appropriato di un portafogli marca Prada, contenente 250 euro, consegnatogli da un taxista, che lo aveva rinvenuto a bordo della propria autovettura e si era subito allontanato dal "gabbiotto" senza sottoscrivere alcun verbale.
Il poliziotto veniva condannato, altresì, per il reato di depistaggio materiale e falso ideologico aggravato, per aver sostituito quel portafoglio con altro portafoglio, contenente 10 euro, nel quale aveva spostato i documenti di identità contenuti nel primo in maniera tale da effettuare alla presenza di un collega la (falsa) verbalizzazione del rinvenimento e la (falsa) verifica del contenuto di un oggetto – come stigmatizza la Suprema corte – ormai diverso da quello di cui era entrato in possesso e che avrebbe poi materialmente passato all'addetto all'ufficio reperti.

Il dictum: immutazione delle cose occasionata dall'esercizio delle funzioni
Per la Suprema corte è indubbio – nella vicenda al vaglio – che l'immutazione materiale di un bene asseritamente smarrito preso in consegna dall'agente di polizia nell'esercizio delle funzioni e la connessa redazione da parte del prevenuto di verbali contenenti mendaci attestazioni (funzionali ad occultare il commesso peculato) circa i tempi e le modalità di un inesistente casuale rinvenimento di quel bene, sono condotte che, pur non collegabili funzionalmente a indagini o a un procedimento penale già in corso, sono comunque correlabili funzionalmente ai compiti assegnati a quel pubblico ufficiale.
Mentre è ragionevole ritenere – motiva la sentenza annotata – che, in pendenza di indagini già avviate o di un procedimento penale pendente, occorra sempre l'esistenza di una correlazione funzionale tra la funzioni svolte dall'agente e le specifiche investigazioni in corso, tale requisito non è indispensabile laddove – come nel caso di specie – la condotta depistante sia posta in essere dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio in occasione dell'esercizio delle funzioni di quell'ufficio o di quel servizio, sia pur anteriormente all'avvio delle indagini ovvero prima della formale apertura di un procedimento penale.
La Suprema corte giunge a questa interessante conclusione – su cui non constano precedenti in termini nell'ancora scarsa giurisprudenza in subiecta materia – muovendo da quell'arresto di legittimità che aveva chiarito, in generale, che il delitto di depistaggio materiale postula, sul piano oggettivo, l'esistenza di un nesso tra il fatto realizzato dal soggetto agente e il pubblico ufficio o servizio di cui lo stesso è investito, non essendo però necessario che il pubblico ufficiale sia stato incaricato di specifici accertamenti rispetto a reati (Cassazione, Sezione VI penale, n. 34271/2022, Paccione, Ced 283727-01).
Tuttavia – è questo l'inedito principio di diritto enunciato dalla sentenza in rassegna – «dalla lettera della norma incriminatrice si evince che per la sussistenza del reato non è richiesto espressamente che il depistaggio riguardi una indagine o un procedimento penale già "in corso": di talché è ragionevole ritenere che, mentre le condotte [rectius: le finalità, essendo tipizzate in termini di dolo specifico, Nda] di "ostacolo" o di "sviamento" non possono che riguardare un procedimento penale già avviato, quella di "impedire" - anche mediante l'immutazione di un oggetto (nel caso di specie, mediante la sostituzione di quello che era stato indicato come il potenziale corpo di reato del peculato) o la formazione di un falso documento - ben possa riguardare anche un procedimento penale ancora da avviare, ovviamente a condizione che le condotte siano idonee a generare un pericolo eli inganno ovvero a condizionare l'accertamento della verità processuale (in quest'ultimo senso, vedi Cassazione, Sezione VI penale, n. 23375/2020, M., Ced 279601-02).

L'esegesi sistematica: il rapporto tra l'articolo 374 e l'articolo 375 del Cp
La correttezza dell'odierna soluzione trova riscontro all'esito dell'esegesi dell'analoga incriminazione di frode processuale disciplinata dall'articolo 374 del Cp, al quale l'articolo 375 Cp – qui in disamina – si riconnette.
Giova precisare che la condotta di chi immuta artificiosamente lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone connessi al reato, scolpita (anche) nel nuovo articolo 375 del Cp, è modalità identicamente conosciuta nel quadro del pregresso reato (comune) di frode processuale. Invece, è nuovo il riferimento all'immutazione del «corpo del reato», dovuta alla circostanza che qui, col depistaggio, siamo in presenza di un reato proprio, commesso da chi fa parte dell'apparato statuale e, quindi, è in grado di avere contatti con il corpo del reato.
Ebbene, nell'articolo 374 del Cp si precisa espressamente che, a differenza della frode in un procedimento civile o amministrativo configurabile solamente se il procedimento è «in corso», nel caso di procedimento penale il reato di frode processuale (che può essere commesso da «chiunque») sussiste anche «anteriormente ad esso». Tale precisazione, invece, non è stata espressamente riproposta nel testo dell'articolo 375 Cp, perché – bene spiega l'odierna pronuncia – per il reato proprio di depistaggio non vi era necessità di operare quella distinzione rispetto a procedimenti di natura diversa da quello penale, nel quale la formula di legge è molta ampia.
E non vi è ragione per assegnare alla norma incriminatrice di cui all'articolo 374 del Cp – conclude la Cassazione, giungendo ad un'esegesi estensiva sistematicamente argomentata – una portata applicativa più angusta rispetto a quella riconosciuta alla norma dell'articolo 374 del Cp.

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