Penale

Alcune osservazioni sul delitto di rivelazione ed utilizzo di segreti di ufficio

In ordine alla tematica afferente l'oggetto della tutela, la Dottrina e la Giurisprudenza individuano il bene giuridico nel buon andamento rectius funzionamento della Pubblica Amministrazione, in riferimento al pregiudizio che essa può subire nell'esercizio dell'attività amministrativa, legislativa o giudiziale dalla rivelazione od utilizzazione di un segreto di ufficio.

di Marco Proietti e Simone Chiavolini*

1. La fattispecie di reato di rivelazione di segreto di ufficio.

Il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio riceve disciplina nel nostro codice penale all'art. 326.

Con la modifica ex art. 15, Legge 26.04.1990, n.86, il Legislatore ne ha ampliato l'area di rilevanza penale ed infatti, ad oggi, la norma contempla quattro figure delittuose, ovvero due di rivelazione e due di utilizzazione.

Per ciò che concerne le figure delittuose di rivelazione, queste si differenziano, a loro volta, per il diverso elemento psicologico e, più specificatamente, nell'ipotesi di cui al I comma, l'elemento psicologico richiesto è il dolo – "Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni"; mentre, nell'ipotesi di cui al II comma, l'elemento psicologico richiesto è la colpa – "se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno".

Per ciò che attiene le due figure delittuose di utilizzazione, esse tra loro si distinguono dal tipo di "profitto" – patrimoniale o non patrimoniale – che l'agente intende conseguire – "il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni".

In ordine alla tematica afferente l'oggetto della tutela, la Dottrina e la Giurisprudenza individuano il bene giuridico nel buon andamento rectius funzionamento della Pubblica Amministrazione, in riferimento al pregiudizio che essa può subire nell'esercizio dell'attività amministrativa, legislativa o giudiziale dalla rivelazione od utilizzazione di un segreto di ufficio.

Del resto, la Cassazione, in conformità alla Dottrina prevalente (cfr. PAGLIARO – PARODI GIUSINO PtS-I, 320; ROMANO, CommSist I, 343), ha affermato come il bene tutelato è esclusivamente quello della Pubblica Amministrazione e che pertanto il reato non può considerarsi plurioffensivo (C. 09.10.1998, Piccirilli, CED 211753, CP 1999, 2864; C. 06.11.1995, Ferretti, CED 203329, CP 1997, 1392).

Come è stato osservato da più Autori, l'art. 326 cod. pen. configura un reato di pericolo concreto e non meramente presunto, perché la rivelazione del segreto è punibile non già in sé e per sé, ma in quanto dalla divulgazione della notizia sia derivato o possa derivare un qualche nocumento alla Pubblica Amministrazione o ai terzi (Pisa II, 142; ROMANO, CommSist I, 343; SEMINARA, CB, art. 326, 807, VINCIGUERRA, PubblAmm 321).

Nondimeno, è stato ritenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione che "configura il delitto di cui all'art. 326 cod. pen. quale reato di pericolo effettivo (e non meramente presunto) per gli interessi tutelati, nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento, alla pubblica amministrazione o ad un terzo, a mezzo della notizia da tenere segreta. Ne consegue che il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora notizie d'ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle (e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta) ovvero a soggetti che, ancorché estranei ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute, fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell'evoluzione della notizia oltre i termini dell'apporto da esse fornito (vedi Sez. 6, n. 9306 del 06/06/1994, Bandiera; Sez. 5, n. 30070 del 20/03/2009, C.)" (Cass. pen., Sez. Un., ud. 27 ottobre 2011 (dep. 07 febbraio 2012), n. 4694).

- il reato di rivelazione di segreti di ufficio si configura anche quando il fatto coperto dal segreto sia già conosciuto in un ambito limitato di persone e la condotta dell'agente abbia avuto l'effetto di diffonderlo in un ambito più vasto (Sez. 6: n. 929 del 05/12/1997, dep. 1998, Colandrea; Sez. 6, n. 35647 del 17/05/2004, Vietti);

- gli interessi tutelati dalla fattispecie incriminatrice in oggetto si intendono lesi allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio alla pubblica amministrazione o ad un terzo (Sez. 5, n. 46174 del 05/10/2004, Esposito; Sez. 1, n. 1265 del 29/11/2006, dep. 2007, Bria; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli);

- quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto (Sez. 6, n. 42726 dell'11/10/2005, De Carolis);

- integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la divulgazione da parte dell'extraneus del contenuto di informative di reato redatte da un ufficiale di polizia giudiziaria, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore (Sez. 6, n. 42109 del 14/10/2009, Pezzuto)" (Cass. pen., Sez. Un., ud. 27 ottobre 2011 (dep. 07 febbraio 2012), n. 4694).

La fattispecie in commento appartiene all'insieme dei reati c.d. propri, ovvero di quei reati che posso essere commessi esclusivamente da un soggetto che riveste una particolare qualifica soggettiva, status, condizione, posizione e qualità personale che lo pone in un particolare rapporto con l'interesse protetto dalla norma.

Tale particolare "posizione" può essere o naturalistica (la madre nell'infanticidio ex art. 578 cod. pen.) o giuridica (la qualifica di pubblico ufficiale ex art. 357 cod. pen. o incaricato di pubblico servizio ex art. 358 cod. pen. nel delitti contro la pubblica amministrazione).

Di talché, in considerazione della collocazione sistematica dell'art. 326 cod. pen. – secondo libro del codice penale e, più precisamente, nel titolo secondo dedicato ai delitti contro la pubblica amministrazione – sono possibili soggetti attivi del reato il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio.

Va evidenziato che con l'art. 36 della Legge 03.08.2007 n. 124 e succ. modif. (di riforma del sistema dei servizi segreti italiani), nel regolamentare l'obbligo del segreto di Stato e le relative sanzioni in caso di violazione, è stata disposta l'estensione dell'incriminazione in esame ai componenti del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ai funzionari ed al personale di qualsiasi ordine e grado addetti al Comitato stesso ed a tutte le persone che collaborano con il Comitato oppure che vengono a conoscenza, per ragioni d'ufficio o di servizio,dell'attività del Comitato in relazione alle informazioni acquisite, anche dopo la cessazione dell'incarico.

Peraltro, nel caso in cui la violazione è stata commessa da un parlamentare è previsto un aumento delle pene da un terzo alla metà.

Inoltre risulta essere pacifica tanto in Dottrina quanto nella Giurisprudenza che il reato ex art. 326 cod. pen. si configura anche qualora la rivelazione della notizia o dell'agevolazione della loro conoscenza avviene successivamente alla cessazione della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, sempre però che il fatto si riferisca all'ufficio od al servizio esercitato.

Relativamente all'ipotesi del comma I, ossia alla rivelazione o all'agevolazione della conoscenza di segreti d'ufficio, il dolo è generico e consiste nella coscienza e volontà dell'agente di violare i dovere inerenti al suo ufficio e/o di rivelare notizie segrete o agevolarne la conoscenza abusando della sua qualifica.

L'agevolazione, come vedremo nel prosieguo, è punita anche a titolo di colpa e si verifica allorché la conoscenza del segreto d'ufficio non avvenga per volontà del pubblico funzionario ma a causa della sua imprudenza o negligenza.

2. Sulla condotta incriminata.

In relazione al reato enucleato, la condotta delittuosa consiste, nei primi due commi, nel rilevare a persona non autorizzata o nell'agevolare in qualsiasi modo la conoscenza di notizie d'ufficio che devono rimanere segrete, mentre nel terzo comma, nell'avvalersi illegittimamente di tali notizie.

In ragione di quanto precede, la Dottrina ha osservato che si deve distinguere tra notizie segrete e notizie riservate, perché quest'ultime non vengono in considerazione in quanto titolo di reato (in tal senso, RANIERI PtS II, 203).

A riprova della validità di questa teoria è sufficiente osservare che quando il Codice ha voluto considerare la "riservatezza" quale titolo di reato ha dettato disposizioni espresse, come all'art. 256 cod. pen.

In tema di accesso agli atti della Pubblica Amministrazione, secondo la Giurisprudenza assolutamente prevalente, è vietato unicamente nel caso in cui la Legge imponga un obbligo di segretezza (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza del 12.10.2009 n. 39706).

Quindi, in assenza di tale previsione, l'accesso sarebbe consentito e legittimo.

Sicché, non porrebbe in essere il delitto di rivelazione del segreto d'ufficio il pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, il quale divulghi notizie riservate della Pubblica Amministrazione ma non segrete.

L'illegittimità della rivelazione della notizia segreta o l'agevolazione della sua conoscenza deve verificarsi "violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della qualità".

Orbene, tale inciso della norma in commento potrebbe risultare di difficile comprensione, in considerazione del fatto che la rivelazione del segreto, già di per sé, costituisce una violazione dei doveri d'ufficio.

Tuttavia, come acutamente sottolineato dalla Dottrina, tale inciso indicherebbe non solo l'esistenza di un dovere obiettivo di segretezza per l'ufficio, ma la necessità che "questo dovere si subiettivizzi in capo allo stesso soggetto che effettua la rivelazione: nel senso che proprio egli, e non altri, sia obbligato al segreto per conto dell'ufficio" (PAGLIARO – PARODI GIUSINO PtS-I, 325).

Peraltro, va evidenziato che il Legislatore, al fine di punire il pubblico ufficiale che abbia rivelato notizie non attinenti al suo ufficio o servizio, ma che ha appreso abusando della sua qualità, ha specificatamente previsto nella formulazione della norma in commento la menzione "abusando della sua qualità", in aggiunta a quella della violazione dei doveri.

Tale menzione non è superflua, infatti, se non vi fosse questa espressa previsione normativa, il soggetto agente non potrebbe essere punito, non gravando su di lui alcun obbligo di segretezza nei confronti di una notizia non attinente al suo ufficio (BENUSSI, in Marinucci – Dolcini Trattato PtS I, 1087).

Invero, la rivelazione del segreto, id est far conoscere ad una persona, non autorizzata a riceverla, il contenuto di una data notizia che, nel delitto in rassegna, deve rimanere segreta, può essere fatta a persona determinata o a persona indeterminata, cioè al pubblico e può avvenire in qualsiasi forma, eccetto quella omissiva (FIANDACA – MUSCO PtS I, 262; SEMINARA, art. 326, 808).

Alle notazioni che precedono va aggiunto un ulteriore rilievo, ovvero sulla definizione di agevolazione.

La Dottrina ritiene che l'agevolazione consiste nel facilitare l'opera del privato, nel renderla possibile o anche solo meno difficile (RICCIO, I delitti contro la pubblica amministrazione, 1955, 433; SEGRETO – DE LUCA, I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, 1999, 613).

A differenza della rivelazione, l'agevolazione del segreto può realizzata in qualsiasi modo e, quindi, anche in forma omissiva.

Appare importante evidenziare, inoltre, che l'agevolazione è punita anche a titolo di colpa ex art. 326 cpv cod. pen.

Infatti, tale fattispecie si realizza quando la conoscenza del segreto d'ufficio avviene a causa di una condotta imprudente o negligente del soggetto agente, come nel caso in cui il soggetto agente abbia lasciato incustodito un importante documento riservato (ANTOLISEI PtS II, 384).

Detta impostazione esegetica è condivisa anche dalla Giurisprudenza, la quale ha ritenuto idonee ad integrare la condotta di rivelazione penalmente rilevante: (i) la rivelazione, da parte di un membro della commissione esaminatrice di un concorso pubblico bandito dalla Pubblica Amministrazione, di elementi diretti a far conoscere anticipatamente ad uno o più concorrente l'oggetto specificatamente ritenuto dalla commissione tra i più probabili della prova di esame; (ii) la trasmissione dell'informativa relativa all'avvenuto esercizio dell'azione penale nei confronti di un dipendente pubblico all'amministrazione di appartenenza fatta da un ufficiale di polizia giudiziaria addetto all'ufficio del P.M.; (iii) la trasmissione da parte del P.M. al Giudice civile di copia di atti coperti dal segreto istruttorio; (iv) la condotta di un Presidente di una commissione consiliare nell'ambito di un Consiglio comunale che, richiedendo al gestore telefonico i tabulati relativi a telefoni cellulari in dotazione del Sindaco e di alcuni assessori, renda poi pubblica la circostanza che siffatte utenze telefoniche venissero usate per finalità extra – istituzionali.

3. Sull'oggetto del segreto.

Precisato quanto precede può ora essere esaminato l'oggetto del segreto, il quale è la "notizia d'ufficio", quella, cioè, sottratta alla divulgazione in ogni tempo e luogo e nei confronti di chiunque per Legge, per regolamento o per la natura stessa della notizia che può recare danno all'Amministrazione.

L'obbligo alla segretezza può essere anche temporaneo come quando riguarda notizie momentaneamente segrete (PAGLIARO – PARODI GIUSINO PtS-I, 324).

Inoltre, la "notizia d'ufficio" posso essere tutte le conoscenze relative ad atti o attività di un pubblico ufficiale o servizio, ai loro presupposti o alle loro conseguenze.

Ed ancora, la notizia deve riguardare un atto o un fatto della Pubblica Amministrazione, intesa quest'ultima in senso ampio così da comprendere non solo la funzione amministrativa ma anche quella legislativa e giudiziaria (ANTOLISEI PtS II, 382; MARUOTTI, in MANNA PA, 333; PAGLIARO – PARODI GIUSINO PtS-I, 321 – 2).

Va rilevato, invero, che nessun obbligo di segretezza è contenuto nella legge n.24/1990 e, pertanto, le notizie apprese legittimamente in occasione dell'esercizio di tale diritto non possono essere coperte dal requisito della segretezza.

Sicché la "notizia d'ufficio" si caratterizza per la sua qualità intrinseca si appartenere oggettivamente all'ufficio.

Per gli impiegati civili dello Stato, il dovere di segretezza non potrà che derivare da norme generali, quali l'art.15 d.P.R. 10.01.1957, n.3, oggi sostituito dall'art. 28 Legge 07.08.1990 n. 241 che – eliminando la previgente distinzione fra "segreto d'ufficio" e "riserbo di ufficio" e proiettando la nozione di "segreto" su un piano oggettivo – ha così riformulato il testo della previgente disciplina "l'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell'ambito delle proprie attribuzioni, l'impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall'ordinamento".

Tuttavia, il dovere di segretezza viene meno rispetto alla rivelazione di fatti illeciti, futili, insignificanti, notori o di dominio pubblico.

Relativamente alla rivelazione di notizie sostanzialmente infondate la Giurisprudenza ha affermato che una tale condotta non esclude la configurabilità del reato in quanto "la rivelazione è penalmente irrilevante solo se si tratti di informazioni già di pubblico dominio, o platealmente false, o prive di significato, e non già di fatti che si rivelino in conferenti o privi di fondamento solo dopo la valutazione che ne faccia il magistrato e alla luce delle acquisizioni da lui promesse" (Cass. Pen. 20.01.1992, Morgante, CED 189422, CP 1993, 836; conf.: Cass. Pen. 15.09.2010 n. 33609, B., DeJure).

4. Sul delitto di utilizzazione di segreti d'ufficio.

Disciplinato dal III comma dell'art. 326 cod. pen. riguarda lo sfruttamento, da parte del pubblico funzionario, di notizie d'ufficio destinate a restare segrete finalizzate ad un ingiusto profitto proprio o altrui, patrimoniale o non, o alla produzione di un danno ad altri.

In tale nuova fattispecie, devono intendersi tutelati sia l'interesse a che il segreto non sia rivelato indirettamente sia l'interesse a che il pubblico funzionario non si avvantaggi sugli altri cittadini sfruttando in sede privata le informazioni acquisite in relazione alle proprie funzioni.

A differenza di quanto osservato precedentemente, l'utilizzazione di segreti d'ufficio è punita a titolo di dolo specifico.

Esso è previsto in forma alternativa, con conseguente sdoppiamento della fattispecie in due autonome figure di reato: nella prima ipotesi il fine preso di mira consiste nel "procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale"; nella seconda ipotesi, detto fine, invece, consiste nel procurare a sé o ad altri un ingiustificato profitto"non patrimoniale" ovvero "nel cagionare ad altri un danno ingiusto".

In particolare va notato che l'ultima parte del III comma dell'art. 326 cod. pen. si caratterizza per il contenuto non patrimoniale del profitto, ovvero per l'assenza di qualunque forma di utilità di carattere economico.

La Giurisprudenza ha osservato che il profitto non patrimoniale perseguito può essere integrato anche dall'utilità consistente nel consentire a terzi l'elusione di controlli previsti dalla Legge (Cass. Pen. 28.02.2013 n. 9726).

Con riguardo, invece, all'altro scopo della condotta, il danno ad altri, questo requisito presenta un contenuto tanto patrimoniale quanto non patrimoniale.

Il reato di cui al III comma dell'art. 326 cod. pen. si consuma nel luogo e nel momento dell'utilizzazione della notizia.Infine, è configurabile il tentativo allorché l'agente ha compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco all'utilizzazione della notizia segreta, senza però utilizzarla.

*a cura degli avv.ti Marco Proietti e Simone Chiavolini

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