Penale

Corruzione, riciclaggio, delitti fiscali: confisca penale ad ampio raggio

Strumento di contrasto ai crimini economici, spesso prevista come obbligatoria

di Guido Camera

La confisca dei proventi delittuosi è uno dei principali strumenti di contrasto alla criminalità economica, che riguarda tutti i più gravi reati di lucro ed è spesso obbligatoria anche in caso di patteggiamento. Si tratta di uno strumento che ha ampliato il suo raggio d’azione nel tempo e su cui ora, proprio in relazione al patteggiamento, intervengono le proposte per la riforma del processo penale elaborate dalla commissione presieduta da Giorgio Lattanzi e voluta dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Le tipologie e i reati
Nell’ordinamento penale oggi convivono tre tipologie di confisca:

1) “diretta”, quando colpisce il prodotto, il prezzo e il profitto del reato; la confisca del denaro è sempre considerata di natura diretta, per la natura fungibile del bene, come hanno ribadito le Sezioni unite, con la pronuncia del 27 maggio 2021 (da depositare);

2) per equivalente, o “di valore”, se aggredisce beni di cui l’interessato ha la disponibilità per un valore corrispondente al provento diretto del crimine, se non rinvenuto;

3) per sproporzione, o “allargata”, se riguarda denaro, beni o altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza e - anche per interposta persona fisica o giuridica - è titolare o ha la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività economica; non può essere addotta come giustificazione l’evasione fiscale, a meno che l’obbligazione tributaria non sia integralmente estinta.

Queste forme di confisca operano per un ampio catalogo di reati come corruzione (anche tra privati), frodi pubbliche, usura, riciclaggio, scommesse clandestine, frodi sportive, delitti tributari, finanziari, ambientali e, con l’esclusione della confisca per sproporzione, per tutti gli illeciti amministrativi commessi dagli enti, in base al decreto legislativo 231/2001.

I chiarimenti dei giudici
In uno scenario così pervasivo è fondamentale comprendere come delimitare il perimetro della confisca; poiché la legge non lo spiega, lo ha fatto la Cassazione.

Il «prezzo» consiste «nelle cose date o promesse per determinare o istigare un soggetto alla commissione del fatto» (sentenza 6705/2014); il «prodotto» è «il risultato empirico, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato» (sentenza 44315/2013); il «profitto» consiste «nel risultato economico che il reato consente di ricavare, quale vantaggio di diretta e immediata derivazione causale dall’illecito presupposto» (sentenza 31617/2015).

La giurisprudenza ha poi espresso diversi criteri di determinazione dell’ammontare del profitto. Nei reati fiscali è pari alle imposte evase (sentenza 10561/2014); in materia di frodi pubbliche - a cominciare dalla celebre decisione delle Sezioni unite 26654/2008 - si è chiarito che la confisca deve operare al lordo dei costi sostenuti, se il profitto viene conseguito nell’ambito di attività integralmente illecite, come può essere il narcotraffico, oppure al netto delle spese, se il delitto avviene occasionalmente nel contesto di attività in sé lecite.

Inoltre, non sono confiscabili i vantaggi conseguiti da prestazioni lecite svolte a favore del contraente nell’ambito di un rapporto sinallagmatico (sentenza 8616/2016), trattandosi di utilità comunque conseguite dal danneggiato. Da ultimo, in materia di frodi in commercio, la Cassazione ha ritenuto che dal profitto confiscabile - cioè il ricavo ottenuto dal reo - vadano decurtati i costi di acquisto della materia prima, ma non quelli di commercializzazione del prodotto, in quanto attività preordinate alla realizzazione di attività criminosa (sentenza 4885/2019).

In tema di confisca per sproporzione, le Sezioni unite (decisione del 25 febbraio 2021), hanno stabilito - come avviene per le misure patrimoniali di prevenzione, di cui al decreto legislativo 159/2011 - che essa trova un limite di “ragionevolezza temporale” il cui sbarramento è il momento della pronuncia della sentenza di condanna, salva comunque la possibilità di ablazione, anche da parte del giudice dell’esecuzione, di beni acquistati in epoca posteriore alla sentenza con risorse finanziarie possedute prima.

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