Lavoro

La tutela reintegratoria per fatti tipizzati lede i principi di uguaglianza

Per i giudici delle sesta sezione la tesi dominante espressa negli ultimi anni dalla Cassazione é contraria ai principi di uguaglianza e ragionevolezza

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

La tesi dominante espressa negli ultimi anni dalla Cassazione, secondo cui il licenziamento disciplinare illegittimo, alla luce del riformulato articolo 18, comma 4, della legge 300/1970, è soggetto alla tutela reintegratoria (fatta salva l’ipotesi dell’insussistenza del fatto) solo nel caso in cui il contratto collettivo tipizza la condotta inadempiente e la riconduce a una sanzione conservativa è contraria ai principi di uguaglianza e ragionevolezza.

Ribaltando il precedente orientamento, la Cassazione afferma con l’ordinanza n. 14777/2021, depositata ieri, che anche le fattispecie disciplinari punite con sanzioni conservative e descritte attraverso clausole generali (negligenza lieve, insubordinazione lieve, eccetera) possono dare luogo alla tutela della reintegrazione.

Il dato dirimente, ai fini della tutela reale o indennitaria, non può essere la mera tipizzazione della condotta disciplinare in una formula contrattuale collettiva per cui, rispetto ai fatti contestati e posti a fondamento del licenziamento, è indiscutibilmente previsto l’unico rimedio della misura conservativa.

Allo stesso regime di tutela reale contro il licenziamento disciplinare illegittimo devono poter accedere le fattispecie inadempienti individuate dai contratti collettivi e dai codici disciplinari attraverso formule aperte, in relazioni alle quali si prevede una sanzione di carattere conservativo. In tal caso il giudice non compie un’autonoma valutazione di proporzionalità, che impedirebbe la tutela reintegratoria, ma si limita ad una «attività di sussunzione» dei comportamenti inadempienti contestati al lavoratore nella previsione contrattuale espressa tramite le clausole generali.

La Cassazione esprime questo concetto con l’esempio della «negligenza lieve», osservando che il giudice accerta se il fatto contestato alla base del licenziamento disciplinare rientra in questa nozione giuridica, senza spingersi a valutare se, rispetto a una condotta di negligenza lieve, sia proporzionata la sanzione espulsiva o quella conservativa.

Le fattispecie punitive previste dai contratti collettivi sono raramente espresse secondo un principio di tassatività e hanno, invece, in prevalenza carattere indeterminato, ricollegandosi ai generali doveri di diligenza e fedeltà. In questo scenario, limitare la tutela reale ai soli casi in cui la sanzione conservativa è collegata a fatti tipizzati nella loro dimensione materiale equivale a escludere arbitrariamente un’ampia serie di altre situazioni meritevoli del medesimo regime di tutela.

Su queste basi la Cassazione conclude che il discrimine tra tutela reale e tutela indennitaria non può risiedere nella tipizzazione dell’illecito da parte dei contratti collettivi e dei codici disciplinari, escludendo tutte quelle fattispecie rilevanti sul piano disciplinare espresse attraverso clausole generali o formule aperte. Diversamente, si realizza un’irrazionale disparità di trattamento tra comportamenti non gravi tipizzati dal contratto collettivo e puniti con sanzioni conservative e comportamenti di pari o minore rilievo disciplinare non espressamente previsti dal contratto collettivo.

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