Casi pratici

La scriminante tacita sportiva: quale rischio è consentito?

Ammissibilità delle scriminanti tacite o non codificate nell'ordinamento italiano

di Serena Gentile

la QUESTIONE
In cosa consiste la scriminante del rischio consentito? Come si atteggia nell'ambito dello sport? Quali sono le coordinate ermeneutiche per la configurabilità della scriminante in parola? Quali sono le criticità?

Come è noto, le cause di giustificazione sono tipizzate negli articoli dal 50, 51, 52, 53 e 54 del codice penale. Si tratta di quelle circostanze fattuali che escludono l'antigiuridicità della condotta criminosa, rendendola lecita. In tema di struttura del reato giova ricordare, in estrema sintesi, le diverse posizioni dogmatiche. Secondo la teoria bipartita, l'antigiuridicità non riveste rilevanza autonoma nella fattispecie criminosa, ma costituisce elemento negativo che si scioglie nel fatto tipico e a cui si affianca la colpevolezza. A tenore, invece, della teoria tripartita (e delle ulteriori tesi pluraliste), l'antigiuridicità gode di autonoma dignità, accanto alla tipicità e alla rimproverabilità soggettiva, con i conseguenti corollari applicativi in punto di sussunzione e di onere probatorio a carico delle parti.
Anche nella diversa impostazione teorica fornita dalle citate tesi interpretative, esiste un comune denominatore che involge tutte le scriminanti, cioè il fondamento assiologico. Le cause di giustificazione, infatti, rispondono all'esigenza di un bilanciamento di interessi tra il consentito e il non consentito, nel prisma del principio di non contraddizione e del principio di universalità che informa tutto l'ordinamento giuridico. Da tale inquadramento valoriale, difatti, deriva la possibilità di estensione analogica delle cause di esclusione dell'antigiuridicità, in quanto non qualificate come norme prettamente penali ed esclusa la loro natura eccezionale.
Proprio in virtù della rilevanza liceizzante, uno dei primi dibattiti interpretativi si è sviluppato tra chi sostiene il numero chiuso delle cause di giustificazione e chi, invece, ha affermato l'ammissibilità nel nostro ordinamento delle cosiddette scriminanti tacite o non codificate. Ebbene, un primo filone ermeneutico, ormai superato, negava l'ammissibilità di cause di liceità atipiche sulla base dell'ossequio del principio di legalità e della specialità delle norme penali. Di segno del tutto opposto è l'indirizzo esegetico prevalente, sorto sulla rievocazione della teorica di origine tedesca sull'azione socialmente adeguata: in questa prospettiva, una condotta umana, di per sé illecita, può essere esente da responsabilità penale se considerata conforme alle finalità sociali perseguite da una determinata comunità in un certo periodo storico.
Tuttavia, per non esondare troppo rispetto ai margini di legalità penalistici, l'apertura alle scriminanti non codificate è avvenuta per mezzo dell'interpretazione analogica delle esimenti positivizzate, proprio sulla base della tesi dottrinale secondo cui le cause di giustificazione non costituiscono norme penali e neppure norme eccezionali, così da sfuggire al divieto di analogia previsto all'articolo 14 delle preleggi al codice civile.

La scriminante sportiva
Nel corso delle attività sportive trovano sviluppo diverse attività e comportamenti astrattamente riconducibili a fattispecie penali incriminatrici (minacce, percosse, lesioni, omicidio, ecc.). Inizialmente, proprio per la ritrosia a ledere gli argini del principio di legalità, un certo filone esegetico riconduceva l'antigiuridicità del fatto lesivo nella scriminante tipica del consenso dell'avente diritto di cui all'art. 50 c.p., ovvero in quella dell'esercizio di un diritto di cui all'art. 51 c.p. Tale impostazione lasciava ampi margini di dubbio, con precipuo riferimento alla possibilità di concettualizzare l'adesione all'attività sportiva come consenso a subire lesioni personali o come tolleranza del pregiudizio fisico derivante dall'esercizio dell'altrui diritto. Secondo le critiche sollevate a tale impostazione, il diritto alla salute, tutelato dall'art. 32 Cost., impone un bilanciamento assiologico quantomeno di pari rango per poter essere sacrificato.
Senonchè, i dibattiti dottrinali e pretori circa l'universalità delle cause di liceità e della valorizzazione del principio di non contraddizione di tutto l'ordinamento giuridico, hanno portato ad avallare la teoria delle attività socialmente rilevanti. In tale contesto, si inserisce la teorica del c.d. "rischio consentito", ove sinora è stata collocata la cosiddetta "scriminante sportiva", così come anche l'attività medico-chirurgica.

Il rischio consentito
È noto che ogni attività umana, comprese quelle apparentemente più innocue, presenta un margine di rischio; in alcuna di queste gli eventi dannosi, pur rarissimi, sono però completamente eliminabili. Tuttavia, esistono una serie di attività lecite "pericolose" nelle quali gli eventi dannosi sono in larga misura prevedibili e non sempre evitabili. Ciò nonostante, l'ordinamento le autorizza in ragione della loro elevata utilità sociale, nell'ambito del citato "rischio consentito", concetto che tutt'oggi è ancora indefinito, da alcuni stigmatizzato proprio per la sua indeterminatezza al pari di quello "utilità sociale".
Quanto alle caratteristiche intrinseche dell'"attività pericolosa" la dottrina richiama l'art. 2050 c.c., che fa riferimento all'attività pericolosa "per sua natura o per quella dei mezzi adoperati". La giurisprudenza civile di legittimità ha precisato che si tratta di pericolosità intrinseca, cioè quella dipendente dalle modalità di esercizio e in quella derivante dai mezzi adoperati (caratteristiche che non devono necessariamente coesistere).
In definitiva, con riferimento alle attività pericolose, può individuarsi un meccanismo inversamente proporzionale: ad un più elevato grado di prevedibilità di eventi dannosi corrisponde anche un minor grado di evitabilità dei medesimi, come avviene in particolare nell'attività medico-chirurgica. Di converso, l'osservanza delle regole cautelari non può che tendere ad una riduzione del pericolo che però, di norma, non può essere eliminato totalemente. Le relative regole cautelari sono quindi definite "improprie", perché tali sono quelle che mirano ad una riduzione del rischio di eventi dannosi, mentre "proprie" sono le regole cautelari che consentono di eliminare il rischio secondo una definizione ormai comunemente accettata (in tal senso P. Veneziani).

Il bilanciamento di interessi nelle attività pericolose
Al di fuori delle attività ritenute socialmente non utili o di utilità così trascurabile da non giustificare l'assunzione del rischi, quelle pericolose vengono consentite sulla base di un rigoroso bilanciamento di interessi idoneo a conseguire un equilibrio tra rischio assunto e benefici conseguibili.
La regola del bilanciamento tra gli interessi contrapposti, posta a fondamento di qualunque causa di esclusione della pena, costituisce l'unica strada per superare le barriere del rischio consentito, nei limiti della tutela di beni di pari o superiore valore.
Ad esempio, nell'attività medico chirurgica, spesso il medico è chiamato ad operare una scelta tra il rischio e gli effetti negativi derivanti da una scelta terapeutica rispetto ad un'altra. E ciò non solo nei casi di interventi chirurgici ad elevato rischio, ma altresì nelle terapie con farmaci che inducono pesanti effetti collaterali. Nel caso di eventi negativi derivanti dall'opzione prescelta il giudice dovrà valutare, con criterio ex ante, se la scelta sia stata operata non in modo irragionevole. Alcuni autori, infatti, hanno lumeggiato una sottile distinzione: la prevedibilità dell'evento dannoso nelle attività pericolose a rischio consentito discende "da una valutazione naturalistica, statistica, sociologica delle caratteristiche materiali dell'attività intrapresa", mentre la prevedibilità integrante il giudizio colposo si colora di elementi normativi connessi all'inosservanza delle regole generiche o specifiche di cautela.
Nell'alveo delle attività pericolose viene inquadrata anche quella sportiva, sebbene parte della dottrina non condivida tale assunto. Certo è che nell'ordinamento italiano, lo sport è valorizzato a livello costituzionale sia come strumento di sviluppo individuale e sia come organizzazione sociale, secondo le coordinate degli artt. 2 e 18 della Cost. Il fenomeno sportivo, più specificamente, trova considerazione sotto un duplice profilo: nel senso di "pratica sportiva", quindi come esplicazione di un diritto inviolabile dell'uomo, e nel senso di "associazionismo sportivo", inteso come libera e volontaria associazione di più individui che intendono svolgere, in forma associata, organizzata e tendenzialmente stabile, attività sportiva. Tant'è che in occasione della riforma costituzionale, operata dalla Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, è stata contemplata una vera e propria disciplina dello sport, inserita tra le materie di legislazione a competenza concorrente tra Stato e Regioni. Ciò posto, tenuto conto delle fonti nazionali e della tutela offerta anche in ambito sovranazionale, è evidente che l'attività sportiva, e in particolare quella agonistica, sia idonea a reggere quel bilanciamento di interesse necessario ai fini della giustificazione del rischio consentito.

Rischio consentito nell'attività sportiva
Occorre precisare che "rischio consentito" non equivale all'esonero indiscriminato dall'obbligo di osservanza delle regole di cautela. Anzi, vale il contrario. Cioè, il rigoroso rispetto delle regole cautelari consente di configurare la causa giustificativa avverso il pericolo connesso al tipo di attività. Tuttavia, proprio in ordine ai confini del rischio consentito nell'ambito sportivo, i dubbi esegetici non sono stati mai del tutto dissolti, tanto da giungere alla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3284 del 21 ottobre 2021, depositata il 31 gennaio 2022, che sembra mettere in crisi l'impostazione adottata sinora dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Le risposte applicative pretorie
Secondo le indicazioni più condivisibili di dottrina e giurisprudenza, la scriminante atipica dell'accettazione del rischio consentito deve considerarsi operativa, con la conseguente esclusione dell'antigiuridicità del fatto e del diritto al risarcimento in capo al soggetto leso, nei seguenti casi:
a) atto posto in essere senza volonta' lesiva, nel rispetto del regolamento sportivo, ove l'evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell'attivita' che importa contatto fisico eventuale;
b) atto posto in essere senza volontà lesiva, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, ove si ravvisi il finalismo dell'azione correlato all'attivita' sportiva.
Al contrario, la scriminante in disamina non può ritenersi applicabile:
a) quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivo e la competizione sportiva;
b) quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso;
c) quando la finalita' lesiva costituisca la prevalente spinta all'azione, anche ove non si rilevi alcuna violazione delle regole dell'attivita'.
In particolare, deve segnalarsi la sentenza 8 marzo 2016, n. 9559, con cui la Quarta Sezione della Corte di Cassazione ha fornito generose e precise indicazioni schematiche sul percorso di configurabilità del rischio consentito in ambito sportivo. Alla luce delle coordinate offerte dalla Corte di Legittimità:
la scriminante copre azioni dirette a ledere l'incolumita' del competitor esclusivamente nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile, salvo il rigoroso rispetto della disciplina cautelare di settore, ivi inclusa la speciale cautela nell'affrontare incontri tra atleti aventi capacita' e/o forza fisica impari.
La scriminante non opera qualora si accerti che lo scopo dell'agente esuli dall'attività sportiva, integrando ad ogni effetto il reato di lesioni volontarie o addirittura di omicidio.
Dirimente è la valutazione della regola di proporzionalita' dell'<<ardore agonistico>> rispetto al rilievo della vicenda sportiva, da intendersi più restrittivamente al decrescere del livello agonistico del contesto. Pertanto, nell'ambito dilettantistico, i criteri di valutazione diventano più stringenti.
L'eventualita' che venga violata una delle regole del gioco costituisce evenienza preventivamente nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell'arbitro la risoluzione dell'antigiuridicita', senza che però questa tracimi dall'ordinamento sportivo a quello generale.
Qualora il fatto violento, sebbene conforme al regolamento del gioco, sia diretto ad uno scopo estraneo al finalismo dell'azione sportiva l'esimente non opera, così come nel caso in cui la violenza sia "trasmodante".
La scriminante non opera anche qualora il soggetto agente porti a compimento l'azione nonostante risulti percepibile, ex ante, la prevedibile lesione dell'integrità fisica del competitor.
In definitiva, quindi, l'esercizio di una disciplina sportiva, soprattutto in occasione di gare di maggior rilievo, che implichi l'uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallavolo, pallanuoto, ecc.) della forza fisica, costituisce un' attività rischiosa consentita dall'ordinamento, a condizione che il rischio sia controbilanciato da adeguate misure cautelari, sia sotto forma di regole precauzionali che dall'imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti. Ovviamente, la causa escludente dell'antigiuridicità in disamina non estende la propria copertura alle azioni violente dolose poste al di fuori dell'azione di gioco, a quelle non finalizzate alla predetta azione e neppure a quelle condotte che appaiono sproporzionate ex ante, in quanto immediatamente percepibile la lesività delle stesse.
Per di più, nelle ipotesi di attività sportive a violenza necessaria, come il pugilato, le regole cautelari e disciplinari debbono essere osservate con ossequioso rispetto, onde tutelare l'incolumità degli atleti (basti pensare, sempre nel pugilato, ai colpi vietati - sotto la cintola, sulla nuca con il contendente al tappeto, o dopo che l'arbitro ne ha constato l'incapacita' di difendersi).
La valutazione del rischio consentito, tuttavia, è rimessa alla discrezionalità del giudicante e alla capacità del medesimo di individuare gli elementi fattuali idonei a configurare la scriminante. Tale operazione ermeneutica presenta particolari profili di complessità, posto che i casi concreti, sovente, si caratterizzano per aspetti fattuali sfumati e di difficile sussunzione tra il lecito e l'illecito.
Infatti, l'atipicità del rischio consentito e le pronunce giurisprudenziali non sempre collimanti rendono ancor più ostico l'esatta applicazione dell'istituto da parte degli operatori di giustizia. Recentissima, infatti, è la sentenza n.3284 del 21 ottobre 2021, depositata il 31 gennaio 2022, nella quale la Quarta Sezione della Corte di Cassazione sembra prendere le distanze dall'impostazione dogmatica del rischio consentito in ambito sportivo. Nella pronuncia in commento, infatti, i Giudici di Piazza Cavour affermano che nei, anche nei limiti della piena liceità sportiva, è possibile individuare la responsabilità colposa dell'atleta che non abbia desistito da un'azione prevedibilmente lesiva dell'altrui incolumità fisica. Il Collegio Decidente, in maniera stringente, stigmatizza il travalicamento della norma cautelare posta a presidio dell'integrità psico-fisica perché disapplicata o inutilmente trascesa per il raggiungimento del risultato. Dunque, conclude la Suprema Corte, la scriminante del rischio consentito è una "condizione che conviene abbandonare" e, comunque, aldilà della configurazione di un illecito sportivo il giudice è tenuto a valutare, in concreto, la violazione della regola cautelare nella prospettiva della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso.
A questo punto occorre attendere i futuri arresti pretori per comprendere se sarà confermato l'inquadramento della scriminante sportiva nella cornice del rischio consentito de iure condito o se, invece, saranno lumeggiati nuovi percorsi interpretativi de iure condendo.

Considerazioni conclusive
Dal percorso sin qui delineato, emerge in maniera solare che in materia di scriminante sportiva ancora oggi sussistono rilevanti incertezze ermeneutiche. La difficoltà esegetica, infatti, subisce l'eco dell'atipicità di questa causa liceizzante, così come nel contesto sanitario ove pure si riverberano i dubbi interpretativi in sede applicativa. Difatti, i confini di liceità, nei contesti atipici, si connotano per la maggior mobilità e per l'aumento del pericolo di soggettivismo decisionale. Ne deriva, allora, che l'unica soluzione idonea a garantire un'interpretazione dell'esimente sportiva più aderente a canoni di certezza sarebbe la sua codificazione, onde conferirgli la medesima dignità di cui godono le cause di giustificazione tipiche.

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