Penale

Diffamazione a mezzo stampa, vale la percezione del lettore medio

Annullata la sentenza d’appello, che aveva condannato il direttore usando come criterio per valutare le affermazioni un approccio superficiale

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di Paola Maria Zerman

Il lettore frettoloso, che si ferma alla lettura del titolo dell’articolo dando un veloce sguardo alle foto, non costituisce il parametro con cui valutarne il carattere diffamatorio e, conseguentemente, la responsabilità del direttore del giornale per omesso controllo (articolo 57 Codice penale). Piuttosto, occorre avere riguardo alla percezione del lettore medio, che esamina, sebbene «senza particolare sforzo o arguzia», il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine , l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia. Lo ha chiarito la Cassazione penale con la sentenza 14915 del 7 aprile 2023, con cui ha annullato senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza della Corte d’appello. Infatti i giudici di secondo grado, nel ritenere l’esistenza del reato di diffamazione a mezzo stampa, avevano utilizzato proprio i parametri di una lettura superficiale, che non teneva debito conto del contesto di diatriba politica di cui l’autore dell’articolo aveva riferito.

Nel caso concreto, la Corte territoriale aveva confermato la responsabilità del direttore responsabile di un quotidiano, perché se da una parte aveva riconosciuto l’esistenza dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riportati nell’articolo, quantomeno a livello locale, dall’altra aveva però negato la verità degli stessi, e quindi il legittimo esercizio del diritto di critica.

Con l’occasione, la Cassazione ha riaffermato i requisiti fondamentali per l’esercizio del diritto di cronaca e di critica, che secondo la giurisprudenza consolidata (a partire dalla sentenza del “decalogo” della Cassazione civile 5259 del 1984), escludono il reato di diffamazione a mezzo stampa.

L’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, dapprima, in quanto attuale, e riferibile – ad esempio – a politico noto, con il conseguente diritto dei cittadini a conoscere l’utilizzo delle risorse pubbliche. Ma i fatti devono essere narrati in modo sereno e obbiettivo, senza trasmodare nella «immotivata e gratuita aggressione alla altrui reputazione» (è la «continenza della forma», su cui si veda da ultimo Cassazione penale 16936 del 20 aprile 2023). Così, lo «sleale difetto di chiarezza» è diffamatorio, perché si concretizza in insinuazioni, scelta di aggettivi scandalizzati, uso improprio del virgolettato e altre espressioni volte a mettere in cattiva luce il protagonista.

Ma interesse pubblico e correttezza della forma non escludono la diffamazione se la notizia non è vera. Verità della notizia, che si concretizza nella diligente ricerca, da parte del giornalista, della serietà e attendibilità delle fonti. Ma non basta. La verità della notizia è tale se è completa e non intenzionalmente frammentata al fine di manipolare il comportamento o il messaggio del protagonista.

Rispetto alla cronaca, tuttavia, nell’esercizio del diritto di critica, la Cassazione adotta parametri più elastici, consapevole che la critica politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, «ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica» (Cassazione penale 4530 del 2023). Sottolineando anche che, come nel caso concreto, sia da escludere il contenuto diffamatorio dell’articolo quando è incapace di ledere l’altrui reputazione per la percezione che ne può avere il lettore medio, che non si ferma a frasi colte distrattamente, così fraintendendo il senso del contesto.

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