La chiusura anticipata non osta alla prosecuzione dei giudizi
Il curatore mantiene la legittimazione anche per liti future
Il legislatore ha perfezionato all’articolo 234 un istituto già introdotto per il fallimento con il Dl 85/2015, la cosiddetta chiusura anticipata della procedura anche in pendenza di giudizi in cui fosse parte il curatore.
Questa disciplina permetteva già sotto il precedente regime di chiudere virtualmente il procedimento, consentendo di converso la prosecuzione dei giudizi pendenti che avrebbero procurato ai creditori utilità ulteriori in caso di esito favorevole. Diversamente, queste utilità si sarebbero perse in caso di chiusura del fallimento per estinzione della soggettività giuridica del curatore, privo di un successore, come invece avviene col concordato nella liquidazione giudiziale.
La disciplina, introdotta a fronte della preoccupazione del legislatore di non incorrere in condanne per eccessiva durata dei procedimenti (fissata a cinque anni e sette per le procedure più complesse), è ora più organica e viene incontro ad alcune delle sollecitazioni emerse nella prassi.
Il legislatore conferma l’impianto preesistente, adottando una soluzione intermedia tra prosecuzione del procedimento e chiusura: la procedura formalmente si chiude con decreto del tribunale, ma il curatore mantiene la legittimazione processuale nei giudizi già incardinati.
Allo scopo di evitare un moral hazard, rischioso per le casse dell’Erario (per effetto del ricorso al gratuito patrocinio), questa prosecuzione virtuale della procedura è possibile solo ove vi sia già stato un riparto ai creditori e non anche ove la procedura sia del tutto carente di attivo.
Analogamente, deve trattarsi non solo di giudizi in cui il curatore fa valere pretese nei confronti di terzi (posto che i giudizi di opposizione allo stato passivo si chiudono con la procedura madre), ma di giudizi che rechino una prospettabile utilità per i creditori. Il curatore deve, pertanto, motivare le ragioni per le quali intende proseguire questi giudizi e accantonare risorse per la loro prosecuzione, sottraendole all’attivo distribuibile. È esclusa, come in passato, la prosecuzione delle attività prettamente liquidatorie, che devono essere terminate o abbandonate prima della chiusura della procedura.
Il legislatore ha chiarito che la legittimazione del curatore sussiste non solo per i giudizi già pendenti al momento della chiusura (e tra questi, opportunamente, sono previsti anche i procedimenti esecutivi nei confronti dei debitori della curatela), ma anche per giudizi non ancora instaurati a tale momento, che però si rivelassero strumentali all’attuazione di decisioni favorevoli alla curatela (ad esempio, giudizi espropriativi da instaurare dopo la chiusura della procedura), soluzione quanto mai opportuna, trattandosi di una sorta di eccezionale legittimazione post mortem.
La governance della procedura si semplifica: decade il comitato dei creditori e rimane in carica il solo giudice delegato. Viene, poi, codificata quella prassi secondo cui il decreto del tribunale che dispone la chiusura della procedura individua lo statuto del curatore, precisandone le attività di rendicontazione nei confronti dei creditori, di invio del prospetto riepilogativo, del rendimento del rendiconto e dei riparti supplementari. Ciò consente di monitorare l’andamento di questa procedura “virtuale”, di cui diversamente si perderebbe ogni traccia.
Rimangono i dubbi legati alla soggettività fiscale del curatore. Il legislatore ha opportunamente precisato che la chiusura della procedura concorsuale non comporti - in caso di imprenditore collettivo – la cancellazione della società, essendo questa ostativa alla persistenza della soggettività della procedura concorsuale e questo è un elemento forte a sostegno della soggettività contributiva. Tuttavia, non è chiaro se il curatore debba mantenere la partita Iva (come appare opportuno, anche ai fini dell’emissione delle successive note di variazione) oppure aprirne una nuova all’atto dei riparti supplementari.
Così come non è stato chiarito se con la chiusura si chiude il maxiperiodo ai fini delle imposte dirette (articolo 183, comma 2, Tuir), legato alla formale chiusura del “fallimento”, salvo aprire un nuovo maxiperiodo (come traspare da alcuni interpelli dell’agenzia delle Entrate), oppure se il curatore – stante l’omessa cancellazione della società – sia dispensato dalla dichiarazione finale fino alla formale cancellazione della società.
Al momento dell’esecuzione del riparto supplementare finale viene, infine, disposta la cancellazione della società e la procedura, già formalmente chiusa, viene archiviata, a conferma che questa appendice non possa essere ricompresa tra i procedimenti giurisdizionali.
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di Marco Marinaro - Docente di Giustizia sostenibile e ADR - Dipartimento di Giurisprudenza Università LuissGuido Carli - Roma