Penale

Omicidio Regeni, l'ostruzionismo del Cairo non consente di definire "finti inconsapevoli" gli imputati

La Cassazione conferma la sospensione del processo al fine di acquisire gli elementi per poter procedere contro gli assenti

di Paola Rossi

La Cassazione in questa fase del processo per l'omicidio di Giulio Regeni al Cairo non considera illegittima la decisione di sospendere il procedimento a carico degli imputati egiziani per poterli giudicare in assenza. Infatti, le nuove regole dell'assenza, che hanno mandato in soffitta quelle sulla contumacia, sono molto più cadenzate e stringenti: si può processare un assente solo se è "finto inconsapevole" e va quindi provato che si sia sottratto volontariamente al processo a suo carico di cui è palese che abbia avuto conoscenza.

La prima sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5675/2023, ha respinto il ricorso del pubblico ministero che lamentava l'illegittimità della sospensione del processo per abnormità dell'ordinanza che l'aveva prevista determinato un'asserita ingiustificabile stasi del processo.

La questione dell'assenza volontaria
Ai fini della vocatio in iudicium e del corretto avvio del processo contro un imputato assente, deve essere stata effettuata una compiuta notifica personale o va provato, per altri versi, che l'assente sia tale "volontariamente": cioè che abbia avuto conoscenza del processo a suo carico. Esistono poi casi di assenza che promano da circostanze specifiche quali quelle di aver eletto domicilio o di aver nominato un difensore di fiducia con correlate attività di notificazione andate a buon fine. Per tali motivi non è abnorme e quindi non è impugnabile per cassazione l'ordinanza con cui il giudice sospende il processo al fine di effettuare la notifica della vocatio e dell'udienza personalmente all'imputato o se sussistono le condizioni al domicilio eletto o al difensore di fiducia nominato. Tali ultime condizioni di elezione di domicilio o di nomina di difensore di fiducia non sussistono nel caso degli agenti di polizia egiziani imputati dell'omicidio del giovane ricercatore italiano e non rimane quindi - in caso non si possa provvedere a una legittima notifica nelle loro mani - che provare che abbiano avuto effettiva conoscenza del processo a loro carico in Italia.

Il giusto processo
Infatti, la Cassazione penale con affermazione tranchante ha chiarito che anche in caso di difficoltà enormi a raggiungere la prova della conoscenza del processo da parte degli imputati e a fronte del rifiuto delle autorità egiziane di collaborare all'individuazione degli stessi il principio del giusto processo non è superabile. Le difficoltà, infatti, non giustificano l'aspirazione a perseguire una scorciatoia giudiziaria, anche se è comprensibile la posizione dei familiari della vittima di un efferato delitto compiuto attraverso atti di tortura. In sintesi secondo la Cassazione proprio al fine di celebrare un processo privo di vizi, che ne comprometterebbero la tenuta, il giudice ha ben fatto a sospendere il proseguimento dell'azione penale al fine di giungere a una dichiarazione di assenza legittima e quindi inattaccabile.
In conclusione, la Corte fa rilevare che in un caso come quello di Regeni esistono altri strumenti di pressione doverosa da esercitare da parte delle istituzioni italiane al fine di spingere il governo egiziano al rispetto dei trattati e delle convenzioni internazionali. Creando un'azione sinergica con l'attività dei giudici che curano la rogatoria dentro gli inevitabili binari del giusto processo.

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