Comunitario e Internazionale

Il distacco transnazionale nell'ambito dell'Unione Europea

Il distacco transnazionale dei lavoratori si configura ogniqualvolta un'impresa stabilita in uno Stato Membro (o in un Paese extra UE) invia i propri lavoratori, nell'ambito di una prestazione di servizi, in un altro Stato Membro.

di Marco Proietti e Raffaella Maddaloni*

I. Introduzione
Il distacco transnazionale dei lavoratori si configura ogniqualvolta un'impresa stabilita in uno Stato Membro (o in un Paese extra UE) invia i propri lavoratori, nell'ambito di una prestazione di servizi, in un altro Stato Membro.
L'introduzione delle Direttive n. 71/1996 (CE) e n. 67/2014 (UE) ha permesso di disciplinare in maniera maggiormente estensiva ed approfondita la materia del distacco transnazionale determinando la sempre maggiore rilevanza di tale istituto per tutte le imprese dell'Unione Europea.
In linea generale è, quindi, possibile affermare che un'azienda stabilita in uno Stato Membro (o in un Paese extra UE), allo scopo di non incorrere nelle sanzioni introdotte dalle citate direttive, potrà inviare i propri lavoratori a svolgere una prestazione di servizi in un altro stato Membro a patto che rispetti gli adempimenti introdotti dalla normativa comunitaria.

Gli obiettivi che tale normativa nel disciplinare il distacco transnazionale ha inteso raggiungere possono essere cosi riassunti:

- coordinare le diverse normative nazionali di ciascun Stato Membro;

- evitare il fenomeno del social dumping, espressione che raccoglie molteplici aspetti di una comune matrice problematica in cui l'elemento principale da cui il fenomeno deriva è rappresentato dalle differenze di regolamentazione sociale proprie dei singoli ordinamenti che, di converso, determinano (direttamente o indirettamente) diversità di costi del fattore lavoro;

- garantire ai lavoratori distaccati un livello di tutele minime che sia almeno equivalente a quello riconosciuto ai lavoratori del Paese in cui il servizio viene prestato.

Per il raggiungimento di tali obiettivi, la legislazione europea ha introdotto norme obbligatorie sulle condizioni di lavoro, sulla salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché adempimenti e misure di controllo che devono essere rispettate dalle aziende distaccanti.
Necessario punto di partenza è la disamina del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) che disciplina la libera prestazione dei servizi prevedendo, in generale, agli artt. da 56 a 62, e nello specifico, all'art. 57, prevede che "il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato Membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini".

L'importanza di tale previsione risiede nella circostanza che viene permesso all'impresa di uno Stato Membro di fornire un servizio in un altro Stato Membro senza però doversi ivi stabilire e potendo temporaneamente inviarvi i propri lavoratori per svolgere il servizio richiesto.

A fronte di tale diritto riconosciuto alle imprese, le Direttive emanate si sono prefissate l'obiettivo di riuscire a garantire, ai lavoratori distaccati, un adeguato livello di protezione compatibilmente con la libertà economica delle imprese di servizi.

Tale bilanciamento per lungo periodo non è stato effettivamente raggiunto in quanto, molto spesso, le imprese distaccanti, soprattutto quelle più piccole, si sono trovate a dover fronteggiare numerosi adempimenti nonché notevoli costi derivanti per lo più dal difficile ed insufficiente accesso alle normative nazionali di recepimento delle direttive comunitarie.

Tali ostacoli vengono meno allorquando il distacco transnazionale venga effettuato da grandi aziende multinazionali che possono avvalersi di filiali o succursali negli Stati Membri in cui avviene il distacco.

A livello europeo, quindi, il quadro legislativo si compone principalmente di tre diverse Direttive ovvero la Direttiva 96/71/CE, la Direttiva 2014/64/UE e la più recente Direttiva 2018/957/UE che hanno affrontato ed approfondito diversi aspetti attinenti la disciplina del distacco transazionale.

La Direttiva 96/71/CE ha introdotto un primo gruppo di norme vincolanti del Paese in cui il lavoratore viene inviato e alle quali devono attenersi le imprese distaccanti.

A tale Direttiva, però, non è stato dato pressochè alcun seguito dai Paesi Membri che non vi hanno dato corretta applicazione oppure l'hanno disapplicata tout court determinando un acceso dibattito in seno alle istituzioni europee.

Tale dibattito ha condotto all'emanazione della seconda Direttiva 2014/64/UE la quale ha introdotto per le imprese distaccanti un complesso di misure e meccanismi di controllo finalizzato ad ottimizzare ed uniformare l'impianto già previsto dalla Direttiva 96/71/CE che ha permesso agli Stati Membri di controllare maggiormente il rispetto delle norme e di garantire effettivamente i diritti dei lavoratori distaccati.

Da ultimo, poi, si è aggiunta la Direttiva 2018/957/UE che ha rafforzato la disciplina della direttiva del 1996 ampliandone il contenuto.

II. L'Ambito di applicazione delle direttive sul distacco transazionale

Illustrato sinteticamente il panorama normativo, è opportuno chiarire quando un datore di lavoro è tenuto a dare attuazione alle disposizioni normative del paese in cui avviene il distacco che recepiscono le Direttive comunitarie citate.

La soluzione, purtroppo, non è unica ed uguale per tutti a causa delle differenze esistenti, tra i diversi Stati Membri, nel recepimento di tale normativa. Le difformità verificatesi nell'applicazione e nel controllo all'interno degli stessi hanno inciso spesso sul corretto funzionamento della normativa europea che, però, ha sicuramente avuto il pregio di delineare i confini all'interno dei quali si muovono le legislazioni dei singoli stati europei.

1.Il distacco lecito
Punto di partenza è l'art. 4 Direttiva 2014/67/UE il quale riporta, a titolo esemplificativo, alcuni elementi che permettono di individuare un distacco genuino e lecito La finalità precipua è quella di evitare un utilizzo fraudolento e distorto del distacco transnazionale che sia volto ad aggirare la corretta applicazione della normativa dello Stato Membro ospitante.
L'art. 4, infatti, riporta alcuni elementi fattuali, da inserire in una valutazione complessiva e non considerati isolatamente, che vengono esaminati "dalle autorità competenti nell'effettuare le verifiche e i controlli" qualora abbiano motivo di ritenere che un lavoratore non sia da considerarsi distaccato ai senti della Direttiva 96/71/CE:

• al fine di comprendere se l'impresa distaccante è effettivamente stabilita nello Stato Membro ospitante ed esercita "attività sostanziali diverse da quelle puramente di gestione e/o amministrazione" vengono considerati: "a) il luogo in cui l' impresa ha la propria sede legale e amministrativa , utilizza uffici, paga imposte e contributi previdenziali e, se del caso, in conformità del diritto nazionale, è iscritta in un albo professionale o è registrata presso la camera di commercio; b) il luogo in cui i lavoratori distaccati sono assunti e quello da cui sono distaccati; c) la legge applicabile ai contratti stipulati dall'impresa con i suoi lavoratori e con i suoi clienti; d) il luogo in cui l'impresa esercita la propria attività economica principale e in cui è occupato il suo personale amministrativo; e) il numero di contratti eseguiti e/o l'ammontare del fatturato realizzato nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della situazione specifica che caratterizza tra l'altro le imprese di nuovo insediamento e le PMI.

• al fine di comprendere se effettivamente un lavoratore svolge la sua attività in maniera temporanea presso uno Stato Membro diverso da quello in cui lavora abitualmente vengono considerati: "a) l'attività lavorativa è svolta per un periodo di tempo limitato in un altro Stato membro; b) la data di inizio del distacco; c) il lavoratore è distaccato in uno Stato membro diverso da quello nel quale o a partire dal quale esercita abitualmente la propria attività secondo il regolamento (CE) n. 593/2008 (regolamento Roma I) e/o la convenzione di Roma; d) il lavoratore distaccato ritorna o si prevede che riprenda la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato dopo aver effettuato i lavori o prestato i servizi per i quali è stato distaccato; e) la natura delle attività; f) il datore di lavoro che distacca il lavoratore provvede alle spese di viaggio, vitto o alloggio o le rimborsa; in tal caso, si considera anche il modo in cui si provvede in tal senso e il metodo di rimborso"

Quelli appena illustrati sono degli indici fattuali di massima dettati dalla Direttiva che però non devono necessariamente essere presi in considerazione dagli Stati Membri per valutare se un distacco sia o meno lecito; la circostanza che uno o più di questi indici sia presente o, al contrario, manchi del tutto non determina conseguentemente la liceità o meno del distacco.

Il lavoro effettuato dagli ispettori si fonda sempre su una valutazione complessiva della situazione che si trovano ad analizzare e non si limita soltanto alla verifica dell'uno o dell'altro requisito singolarmente considerato.

In questo quadro, significativa è l'esistenza di importanti sanzioni a carico delle aziende che violano la normativa in materia di distacco; al fine di evitarle le stesse sono molto spesso indotte a "sostituirsi" agli ispettori, effettuando le medesime indagini e verifiche, nel tentativo di valutare preventivamente l'effettiva legittimità del distacco. Tale modus operandi, però, risulta non solo particolarmente gravoso ma anche sufficientemente inutile non essendovi alcuna certezza di raggiungere un risultato incontrovertibile che ponga l'azienda al riparo da possibili sanzioni. La frammentarietà delle informazioni reperite nonché le intrinseche difficoltà legate alla notevole mole di documenti, dei quali deve essere verificata l'autenticità, comporta che l'impresa, nonostante tutto, avrà solo due possibilità: assumersi il rischio delle sanzioni oppure vietare un distacco, molto probabilmente lecito, sulla base di controlli e verifiche parziali ed incomplete creando una ingiustificata discriminazione, nei confronti della società dalla quale sarebbe provenuto il lavoratore in distacco, nonché un'illegittima compressione dei suoi diritti.

A ben vedere, tale risultato è assolutamente in antitesi con quelli che sono gli obiettivi e lo spirito che l'Unione Europea intende raggiungere con la creazione del mercato unico.

2.Altri requisiti sul distacco transazionale
La Direttiva 96/71/CE indica agli artt. 1 e 2 i principali requisiti affinchè si configuri un distacco transazionale.
L'art. 1 (Oggetto e Campo di applicazione) prevede, in linea generale, che "1. La presente direttiva si applica alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori, a norma del paragrafo 3, nel territorio di uno Stato membro" mentre al paragrafo 3 enuclea le due principali esemplificazioni di distacco transazionale per un'impresa,

a) distacco di un lavoratore, per conto proprio e sotto la propria direzione, nel territorio di uno Stato membro, nell'ambito di un contratto concluso tra l'impresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l'impresa che lo invia;

b) distacco di un lavoratore nel territorio di uno Stato membro, in uno stabilimento o in un'impresa appartenente al gruppo, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l'impresa che lo invia.

Richiamando quanto previsto dall'art.1 poc'anzi citato, è importante chiarire in quali casi un'impresa può definirsi "stabilita" in uno Stato Membro.

Anche ai sensi del predetto art. 4 Direttiva 2014/67/UE, si ritiene che un'impresa sia legalmente stabilita e costituita in uno Stato Membro allorquando eserciti effettivamente un'attività economica a tempo indeterminato, con un'infrastruttura stabile attraverso la quale viene effettuata l'attività di prestazione dei servizi.

Per quanto riguarda, poi, la definizione di prestazione di servizi, ai sensi dell'art. 57 TFUE si intendono "le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. I servizi comprendono in particolare: a) attività di carattere industriale b) attività di carattere commerciale c) attività artigiane e d) attività delle libere professioni".

In linea generale è possibile affermare che vi rientrino pressoché tutti i settori economico-produttivi nonché tutte le attività che non siano già ricomprese nella libera circolazione di merci, capitali e persone.

A ciò si aggiunga che ai sensi del citato art. 1 par. 3 della Direttiva 96/71/CE la disciplina ivi contenuta sul distacco transnazionale si applica sia nel caso in cui l'impresa distaccante stipuli un contratto di servizi con una parte a cui i servizi siano destinati e che operi in un altro Stato Membro sia nel caso in cui un'impresa distacchi un proprio lavoratore in uno stabilimento o presso un'impresa appartenente allo stesso gruppo.

In tale contesto, vale poi la pena sottolineare che la nozione di distacco transnazionale che si desume dall'art. 1 della Direttiva 96/71/CE è molto più ampia di quella di cui all'art. 30 D.lgs n. 276/2003. La disciplina del distacco transnazionale, infatti, trova applicazione in tutti quei casi in cui un'impresa invia temporaneamente un proprio lavoratore, prescindendo dalla distinzione italiana tra distacco e trasferta, fornendo quindi un'applicazione ben più ampia dell'istituto nel quale solo parzialmente vi rientra il dettato dell'art. 30 D.lgs 276/2003.

Per un'impresa italiana, dunque, troverà applicazione la disciplina europea sul distacco transnazionale invariabilmente nel caso in cui invii all'estero un proprio lavoratore a svolgere una prestazione di servizi in regime di distacco o di trasferta.
Per quanto riguarda il "lavoratore distaccato" l'art. 2 paragrafo 1 Direttiva 96/71/CE lo definisce come il lavoratore che "per un periodo limitato svolge il proprio lavoro nel territorio di uno stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente" precisando al successivo paragrafo che, ai fini della predetta Direttiva, la nozione di lavoratore è quella applicata in base al diritto dello Stato Membro nel cui territorio è distaccato il lavoratore.

Elemento distintivo del distacco transnazionale è sicuramente il carattere temporaneo dell'attività da svolgere che in quanto tale determina l'applicazione delle sole norme minime di protezione di cui all'art. 3 Direttiva 96/71/CE e non di tutto il sistema di diritto del lavoro dello Stato Membro ospitante.

A tal proposito, sebbene la normativa europea non contenga alcun riferimento in tal senso, è abbastanza pacifico ritenere che alla base del distacco debba esserci un rapporto di lavoro subordinato. Come indicato, poi, dall'art. 2 par. 2 Direttiva 96/71/CE la valutazione della sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato dovrà essere effettuata dallo Stato Membro nel cui territorio è distaccato il lavoratore ai sensi della propria normativa. Ne consegue che presumibilmente un rapporto di lavoro configurato come subordinato nello Stato Membro distaccante sarà configurato come tale anche nello stato ospitante trovando, quindi, applicazione la disciplina sul Distacco Transnazionale e allo stesso tempo un lavoratore autonomo per lo Stato Membro d'origine potrebbe essere considerato subordinato nello Stato Membro ospitante in virtù della normativa giuslavoristica ivi vigente.

* a cura di Marco Proietti e Raffaella Maddaloni

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