Famiglia

Revisione dell’assegno, fatti nuovi alla luce del «diritto vivente»

I «giustificati motivi» che portano a rideterminare la somma per l’ex vanno valutati in base alla più recente interpretazione giurisprudenziale

di Giorgio Vaccaro

Se, presentando una domanda di modifica o revisione dell’assegno divorzile, viene dimostrata la sopravvenienza di nuove circostanze e si soddisfa così il criterio dell’ammissibilità delle domanda, il giudice del merito deve valutare, in diritto, i “giustificati motivi” che consentono la revisione dell’assegno divorzile sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto dell’interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili al momento della decisione. Lo ha affermato la Cassazione che, con l’ordinanza 1645 del 19 gennaio scorso, ha accolto il ricorso di un ex marito, onerato dell’assegno divorzile nei confronti dell’ex moglie, e rinviato la pronuncia di secondo grado alla Corte d’appello in diversa composizione.

La Corte d’appello, confermando la pronuncia del tribunale, aveva infatti negato la revisione dell’assegno divorzile: pur rilevando che l’ex moglie, beneficiaria dell’assegno divorzile, si era liberata delle esose spese di gestione dell’ex abitazione familiare, aveva però statuito che il richiamo ai nuovi principi in tema di natura e funzione dell’assegno divorzile (introdotti dalla sentenza 18287/2018 delle Sezioni Unite) era «inappropriato», poiché non essendo stato rilevato un peggioramento della situazione economica dell’obbligato, né un miglioramento delle condizioni economiche della beneficiaria, il nuovo orientamento, relativo alle condizioni di ammissibilità all'assegno divorzile, non poteva essere considerato come elemento che integra i “giustificati motivi” richiesti dalla legge 898/1970 per la revisione dell’assegno.

La Cassazione ha invece rilevato come nel caso in esame, «è pacifico che la revisione sia stata invocata sulla base di circostanze di fatto sopravvenute (tra cui, in particolare, l’allontanamento della ex coniuge dalla casa familiare a lei assegnata, con tutti gli effetti conseguentemente determinatisi in punto di valutazione comparativa dei costi correlati alla vecchia e nuova sistemazione abitativa)», tanto che i giudici di appello hanno affermato il «miglioramento della situazione reddituale» della beneficiaria negli anni successivi alla sentenza di divorzio.

Una volta accertata la sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale come rilevato dal provvedimento attributivo l’assegno divorzile e quindi a giustificare la revisione dell’assegno, la Suprema corte afferma che la valutazione della domanda di revisione deve essere fatta non in base ai criteri giurisprudenziali vigenti all’epoca del divorzio, ma in base al “diritto vivente” al momento della decisione della domanda di revisione, tenendo quindi conto dei principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza 18287/2018.

Del resto, si legge nell’ordinanza, «i fatti sottesi alla nozione di “giustificati motivi” rilevano non già in senso meramente naturalistico, bensì secondo l’evidenza giuridica loro attribuita dalle stesse norme implicate, nella lettura datane, all’attualità della decisione, dal “diritto vivente”». Infatti, «uno stesso fatto rileva diversamente in base al “filtro” giuridico dettato dall’opera della nomofilachia» e, «una volta dato legittimamente ingresso alla valutazione dei fatti sopravvenuti (...) quella valutazione non può non informarsi alla diversa lettura nomofilattica che sia nel frattempo maturata».

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