Penale

Il reato di inquinamento ambientale non richiede accertamenti tecnici specifici

Per il sequestro preventivo basta l’elevata possibilità deterioramento o compromissione del bene tutelato

di Marco Pauletti

Per il reato di inquinamento ambientale, le condotte di deterioramento o compromissione del bene non richiedono specifici accertamenti tecnici. A fornire questa interessante indicazione è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n.32498/2022.

La pronuncia trae origine, in particolare, dalla decisione del Tribunale di Lecce, che ha confermato il decreto del Gip con il quale aveva disposto il sequestro preventivo di un terreno adibito all’estrazione di materiali inerti, in relazione alla contravvenzione di abusiva coltivazione di cava e, soprattutto, al delitto di inquinamento ambientale.

Si ricorda che il reato di inquinamento ambientale, introdotto dalla legge 68/2015, è previsto e punito dall’articolo 452bis del Codice penale. In base a tale norma rischia la pena della reclusione da due a sei anni chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Contro tale ordinanza, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, una carenza probatoria relativa all’accertamento della pericolosità della fattispecie di inquinamento ambientale.

Secondo la tesi difensiva la condotta posta in essere non era idonea a compromettere significativamente la qualità dell’aria. Si osservava che i giudici cautelari avessero erroneamente ritenuto sussistente il fumus per il delitto in esame, a seguito di un’attività estrattiva durata pochi giorni e prevalentemente consistente in «uno scorticamento dello strato superficiale tufaceo, improduttivo sia di immissioni di gas nocivi valevoli a comprometterne significativamente la qualità dell’aria, sia di sversamenti sul suolo o di infiltrazioni nel sottosuolo di sostanze inquinanti, causative del deterioramento dei corpi recettori o dell’inquinamento della falda acquifera».

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Secondo i giudici di legittimità, per configurarsi il reato di inquinamento ambientale, le due condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene – più volte oggetto di diversi scontri dottrinali - non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici, ritenendo sussistente il fumus del delitto di inquinamento ambientale. Ai fini dell’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo, si richiede peraltro un’elevata possibilità «di cagionare una compromissione o un deterioramento, significativi e misurabili del bene tutelato»” (così Cassazione 52436/2022).

Per la giurisprudenza di legittimità, il delitto di inquinamento ambientale è un reato di danno, che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente in quanto tale e presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli articoli 240 e seguenti Dlgs 152/2006.

La recente pronuncia, conferma tale orientamento sottolineando altresì che si tratta di una fattispecie di danno volta a tutelare non tanto la salute pubblica, quanto la salubrità delle matrici ambientali.

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