Penale

Niente permesso premio al boss Graviano che non collabora

Ergastolo ostativo - Pesano la mancata collaborazione e i contatti con i familiari legati al clan

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di Patrizia Maciocchi


La mancata collaborazione impedisce di ottenere un permesso premio al boss di mafia condannato all’ergastolo. Questo malgrado la buona condotta carceraria e la laurea presa durante la detenzione, se alla scelta di non collaborare si uniscono anche i rapporti mantenuti con i familiari, alcuni dei quali convolti nelle logiche del clan. La Cassazione (sentenza 41329) ha respinto la richiesta di un permesso premio, fatta da Filippo Graviano, tra i mandanti per le stragi di mafia del ’92 e del ’93, condannato all’ergastolo e sottoposto al regime differenziato, anche per l’uccisione di don Pino Puglisi. Alla difesa non è bastato ricordare la dichiarazione di dissociazione e la condotta in carcere sempre regolare, tanto che era stata riconosciuta la liberazione anticipata.

A dimostrare la partecipazione al trattamento anche il percorso scolastico terminato con una laurea magistrale. Per finire il ricorrente aveva ricordato che il regime differenziale non preclude i permessi premio.

Benefici di cui si è occupata la Corte costituzionale, da ultime con due sentenze del 2019 e del 2022.

Con la sentenza n. 20 del 2022, il giudice delle leggi ha escluso il contrasto con la Carta della distinzione tra chi può collaborare ma non vuole e chi vuole, ma non può, la cosiddetta collaborazione impossibile.

Mentre la scure dell’illegittimità era scattata con la sentenza n. 253 del 2019. Allora la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima, rispetto alla concessione di permessi premio, la presunzione assoluta di pericolosità a carico dei detenuti che scelgono di non collaborare, malgrado siano nelle condizioni di farlo. Bocciando qualunque automatismo la Corte costituzionale ha stabilito che per l’ accesso al permesso-premio è necessario escludere sia l’attualità dei collegamenti dei detenuti con la criminalità organizzata sia il pericolo che siano ripristinati.

Con la sentenza di ieri la Cassazione ha chiarito che «l’istituto dei permessi premio costituisce elemento del trattamento penitenziario e quindi va riconosciuto previa valutazione dell’andamento complessivo del percorso riabilitativo e, dunque, se risulta, in relazione ai progressi compiuti e alle prospettive, idoneo a contribuire al conseguimento dell’obiettivo rieducativo». Nello specifico ai gravissimi reati commessi si è unita l’assenza di una effettiva presa di distanza - considerata solo di facciata - e di una rivisitazione critica. Ora sull’ergastolo ostativo la parola torna alla Consulta che, nell’udienza dell’8 novembre, scaduto il tempo concesso all’Esecutivo per rivedere l’articolo 4-bis, valuterà il nuovo decreto legge. Una norma che non fa della collaborazione l’unica via per recuperare la libertà, ma subordina l’accesso ai benefici a più condizioni stringenti: dalla riparazione pecuniaria ̀alla partecipazione al percorso rieducativo, fino all’onere di dimostrare il ravvedimento.

Pesano anche le circostanze invocate a sostegno della mancata collaborazione e della revisione critica della condotta criminosa. In Italia i detenuti per reati ostativi sono 1259: circa il 70 per cento degli ergastolani.

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