Penale

Il controllo giudiziario precederà l’interdittiva

Nell'emergenza vanno salvate le imprese permeabili alle infiltrazioni mafiose

di Nino Amadore

Un rafforzamento con strumenti più flessibili della normativa esistente per salvare le imprese permeabili alle infiltrazioni mafiose in questa difficile fase della pandemia. Una misura allo studio dalle parti del Viminale con l’obiettivo di farla diventare il prima possibile una proposta normativa che indubbi effetti sulla cosiddetta legislazione di prevenzione. Ad averne parlato pubblicamente per la prima volta qualche settimana fa è stato il direttore del la Direzione investigativa antimafia Maurizio Vallone in una intervista rilasciata a La via Libera, il mensile di Libera, che ha spiegato la proposta al vaglio degli uffici legislativi: «Quando la ditta è impastata di mafia e intestata a un prestanome, l'interdittiva, che impedisce all’azienda di lavorare con le Pubbliche amministrazioni decretandone quindi la morte, è l'unica soluzione possibile – ha detto Vallone –. Ma ci sono casi in cui i nostri Gia (i Gruppi interforze antimafia istituiti presso le prefetture) si trovano in difficoltà perché sanno che un’interdittiva basata sulla mera percezione di contiguità tra impresa e mafia non reggerebbe a un ricorso». Ricorso che, ha spiegato ancora il direttore della Dia, è quasi automatico e può durare da dieci mesi a due anni, fermando o rallentando i lavori.

Il tema c’è tutto, soprattutto in questa fase, e l’idea è quella di mutuare in questo ambito l’articolo 34 bis del Codice antimafia che prevede il controllo giudiziario sulle imprese contaminate da capitali mafiosi e non solo. Il tema , aggiungiamo, non è però semplice. Come è chiaramente emerso nel corso del dibattito organizzato dalle Università di Palermo e di Roma Tre cui hanno partecipato lo stesso Maurizio Vallone, il prefetto di Roma Matteo Piantedosi e Maria Vittoria De Simone, procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia. Un confronto con gli studenti introdotto dalla docente di Legislazione antimafia a Roma Tre Ilaria Merenda e moderato da Costantino Visconti, ordinario di Diritto penale all’Università di Palermo che sulla questione di una possibile norma che possa salvare le imprese permeabili ma non completamente occupate da capitali mafiosi o completamente contaminate, ha piuttosto insistito: «L’idea è questa: meglio aiutare tempestivamente le imprese con misure flessibili e non invasive, che intervenire più severamente ma uccidendole. Con l’ipotizzato nuovo istituto, che potremmo definire di pronto soccorso, l’intervento avrebbe ben diversa e alternativa portata, caratterizzandosi come un affiancamento o accompagnamento dello Stato in favore dell’operatore economico privato».

Che vada avanti o meno la proposta lanciata dal direttore della Dia, di cui si aspetta di leggere il testo , in ogni caso il dibattito è avviato e verte soprattutto sul sistema di prevenzione che però, come ha sottolineato lo stesso Visconti, ha già una norma di riferimento che potrebbe essere utilizzata subito ed è l’articolo 32 comma 8 del Dl 90/2014 «che dà al prefetto il potere di nominare esperti» per il monitoraggio e il supporto di imprese contaminate dalla criminalità organizzata.

Certo è che gli operatori ritengono necessario un intervento anche alla luce del numero di richieste presentate per interdittive antimafia cresciute nel 2020 del 38 per cento.  Ma andando oltre la cerchia delle imprese che hanno rapporti con la pubblica amministrazione, si pone il problema delle altre imprese che in questi mesi potrebbero essere finite nelle mani delle varie mafie   La Dia, con uno studio condotto a settembre e ottobre dell’anno scorso, ha rintracciato 270 imprese che avevano già incassato fondi previsti per la crisi da pandemia e che risultavano colpite da interdittiva antimafia: erano già stati erogati 40 milioni di euro. Un tema che il prefetto di Roma conosce benissimo e con cui si confronta quotidianamente anche per la presenza capillare delle organizzazioni mafiose nella Capitale con la necessità di riciclare il fiume di denaro proveniente soprattutto dal traffico di droga. E ciò pone il problema di imprese contaminate solo perché spinte dal bisogno, perché piegate dalla pandemia cioè il caso in cui «i ristori» siano arrivati prima da questa o quella cosca mafiosa e poi l’azienda abbia deciso anche di presentare domanda per avere i soldi dello Stato: «E allora in questo caso che si fa?» chiede Visconti. Già, il discorso è complicato assai e, sembra evidente, abbastanza divisivo. Cui si somma la difficoltà, da parte soprattutto delle Pmi, di dotarsi di efficienti strumenti di compliance ai fini della prevenzione antimafia: uno strumento più volte giudicato troppo oneroso per aziende piccole o medie.

Un punto su cui c’è una consapevolezza generale anche nelle istituzioni le quali puntano a evitare che i soldi pubblici finiscano nelle mani dei criminali senza danneggiare l’efficienza del sistema. Da qui una proposta, nuova, sempre di Maurizio Vallone: «Ogni grande problema può costituire una grande opportunità - dice Vallone –. L’idea potrebbe essere quella di detassare completamente i costi sostenuti dalle aziende per la compliance: potremmo così trasformare quello che è un problema delle aziende in una opportunità di rendere l’impresa completamente trasparente e dare l’opportunità a tante altre piccole imprese e professionisti che lavorano per questi settori».

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