Civile

No all'aumento automatico del risarcimento se la vedova necessita di psicoterapia per elaborare il lutto

A meno di provare la ricorrenza di conseguenze eccezionali e anormali dell'illecito l'aiuto psicologico si considera normale

di Paola Rossi

La psicoterapia per superare il lutto non costituisce voce di danno risarcibile in sé in quanto è considerata un mezzo normale con cui si affronta il dolore psicologico per la morte di una persona cara. Solo in caso siano rappresentate altre conseguenze particolari o eccezionali può scattare la maggiorazione del risarcimento in ragione della psicoterapia resasi necessaria all'elaborazione del lutto, che val la pena ribadirlo non è considerata in sé evento eccezionale. La Cassazione annulla perciò la parte della sentenza che aveva riconosciuto per le sedute di psicoterapia un ulteriore 50% di risarcimento del danno alla vedova di un uomo morto per essere stato colpito dal proiettile sparato per errore da un compagno di una battuta di caccia al cinghiale. Questo l'unico motivo del ricorso principale, proposto dalla compagnia assicuratrice, accolto dalla sentenza n. 14549/2022.

L'interpretazione del contratto assicurativo
In realtà la società aveva impugnato per cassazione anche il vero e proprio fondamento giuridico del risarcimento accordato. Sosteneva, infatti, che l'assicurato non avesse diritto alla copertura assicurativa stipulata per i rischi connessi allo svolgimento di attività venatoria, in quanto aveva organizzato e partecipato a una caccia al cinghiale non ammessa dal regolamento provinciale della zona dell'incidente. Il regolamento prevedeva, infatti, che la caccia al cinghiale fosse svolta solo in forma individuale e non collettiva, come era invece avvenuto nei fatti. Secondo la compagnia assicuratrice ricorrente, da tale violazione regolamentare derivava la natura illegale della battuta di caccia e affermava quindi il proprio diritto di rivalsa sul cliente, per quanto pagato a titolo di risarcimento dei congiunti della vittima. La società specificava come il contratto concluso con il responsabile dell'incidente non potesse coprire le attività venatorie legali e tale non poteva essere ritenuta la caccia al cinghiale posta in violazione dei regolamenti venatori provinciali.
Il motivo è stato al contrario respinto dalla Cassazione secondo cui dove la clausola contrattuale, messa sotto la lente dei giudici, assicurava espressamente solo i danni derivanti da attività venatorie svolte nel rispetto "delle leggi", essa si riferisse espressamente alle fonti primarie del diritto e non a quelle regolamentari. E, sostiene la Cassazione, ciò deriva dalla circostanza che nel medesimo contratto vi erano clausole che invece enumeravano le fonti normative distinguendo quelle regolamentari da quelle di legge.
L'interpretazione del significato della clausola fornita dalla Cassazione deriva dall'applicazione del principio recato dall'articolo 1227 del Codice civile, secondo cui il significato di una clausola contrattuale va derivato dalla lettura congiunta di tutte le clausole che compongono il contratto. Quindi in assenza di specifico riferimento alle fonti regolamentari le relative violazioni risultano ininfluenti ai fini di escludere la copertura assicurativa.

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