Lavoro

L'obbligo del green pass per il personale degli studi professionali alla luce degli ultimi provvedimenti governativi

Dubbi interpretativi circa la applicabilità della previsione al personale dipendente degli studi professionali, il nodo della sostituzione del personale privo di certificazione nelle sole imprese con meno di 15 dipendenti

di Marco Lanzani, Filippo Bodo*

Dopo un parziale cambio di rotta rispetto alle intenzioni dichiarate nel corso dell'estate, il Governo sta emanando in queste ore un decreto-legge che estende l'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 anche con riferimento ai lavoratori del settore privato.

Secondo la bozza del provvedimento che circola in queste ore e che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri, a far data dal 15 ottobre 2021 e sino al 31 dicembre 2021 (data indicata come di temine dello stato di emergenza) anche i lavoratori del settore privato dovranno quindi possedere (ed esibire) la certificazione verde COVID-19 per accedere ai luoghi in cui svolgono la propria prestazione lavorativa.

Tale obbligo non è, quindi, prescritto limitatamente ai dipendenti ma si estende a tutti i soggetti che, in forza di qualsivoglia titolo, svolgono un'attività lavorativa all'interno di un luogo di lavoro.

Per l'applicazione del menzionato decreto-legge non sarà quindi rilevante l'inquadramento formale dei soggetti destinatari ma troverà applicazione un criterio fattuale: chi opera all'interno di un luogo di lavoro deve possedere il certificato verde ed esibirlo all'ingresso.

E così, ad esempio, l'obbligo di certificato verde si estenderà nei confronti dei lavoratori somministrati o operanti in forza di un contratto di appalto endo-aziendale, dei collaboratori e dei consulenti e, financo, nei confronti di soggetti che svolgono attività di formativa o di volontariato.

Non sembrano esserci, pertanto, molti dubbi in merito all'applicazione di tale normativa anche ai liberi professionisti in generale, sia qualora accedano per ragioni professionali a luoghi di lavoro altrui, sia nel contesto dei loro studi professionali.

Da una attenta lettura della bozza del decreto-legge, infatti, emerge in modo chiaro la volontà del Governo di generalizzare il più possibile l'obbligo di possesso ed esibizione della certificazione verde.

A meno che prima del 15 ottobre p.v. non vengano apportati correttivi o specificazioni da parte delle Istituzioni, non paiono esserci dubbi nel dover ritenere uno studio professionale un "luogo di lavoro" e, quindi, rientrante nell'ambito di applicazione dell'emanando decreto-legge.

Conseguentemente, tutto il personale operante all'interno di studi professionali, sia esso dipendente (assistenti e personale amministrativo) ovvero libero professionista (siano essi praticanti, collaboratori a partita iva o soci degli studi) dovranno premunirsi della certificazione verde per poter accedere nel luogo di lavoro ed effettuare la loro ordinaria prestazione lavorativa, salvo, naturalmente, l'esercizio della stessa da remoto.

Vi sono tuttavia alcune incongruenze nel provvedimento legislativo che meritano di essere segnalate e che potranno, nelle prossime ore, essere oggetto di aggiustamento.

Un primo elemento che stride con la finalità dichiarata del Governo di estendere nella misura massima possibile gli ambienti soggetti ad obbligo è che mentre - come abbiamo detto – anche i liberi professionisti devono dotarsi di certificazione verde per accedere ai propri studi, così non è se gli stessi vogliono accedere alle aule di tribunale. È questa una previsione quantomeno singolare, la cui motivazione proprio sfugge a chi scrive, anche in considerazione degli assembramenti che sono tipici di quello che, comunque, è un luogo di lavoro in cui personale dipendente che vi opera rimane soggetto all'obbligo di certificazione.

Destano meno sorpresa e più preoccupazione altre possibili elementi di incertezza che scaturiscono dall'attuale formulazione del provvedimento governativo.

Il decreto-legge prevede per le imprese con meno di quindici dipendenti che, dopo il quinto giorno di mancata presentazione della certificazione verde, il datore di lavoro possa sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, e non oltre il termine del 31 dicembre 2021.

Benché si sia, ormai, diventati alquanto avvezzi all'utilizzo di atecnicismi da parte dell'esecutivo nella normativa emergenziale si rileva come l'utilizzo del termine "impresa" possa far sorgere alcuni dubbi interpretativi circa la applicabilità della suddetta previsione con riferimento al personale dipendente degli studi professionali.

Mentre nell'art. 3 del decreto-legge si parla sempre di datore di lavoro (con tale termine intendendosi, quindi, pacificamente imprenditori e non imprenditori), nel 7 comma di tale articolo la possibilità di sostituire i lavoratori sospesi viene limitata alle imprese con meno di quindici dipendenti.

In assenza di ulteriori specificazioni sul punto, diventa difficile assimilare uno studio professionale ad un'impresa nel senso stretto del termine, intendendola - cioè - quale attività economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o servizi.

Aggiungasi, inoltre, che per talune professioni vi è addirittura un'espressa incompatibilità tra l'esercizio di un'attività professionale e l'attività di impresa commerciale.

Sul punto sembrerebbe, quindi, necessaria una tempestiva specificazione da parte del Governo, su quali siano i soggetti destinatari di tale norma, sulla scorta, ad esempio, di quanto fatto nell'art. 18 della L. 300/1970 ove è previsto che le previsioni di tale norma si applicano ai soggetti imprenditori o non imprenditori.

Al momento della redazione del presente articolo ciò non è ancora avvenuto e, anzi, in un comunicato stampa del Consiglio dei ministri (n. 36 del 16 settembre 2021) viene utilizzato - a proposito di tale previsione – il termine azienda piuttosto che quello di impresa, così incrementando le difficoltà interpretative.

La previsione sopra commentata, che consente la sostituzione del personale privo di certificazione verde alle sole imprese con meno di 15 dipendenti, appare, oltretutto, limitativa e disfunzionale per l'organizzazione del lavoro delle imprese medio-grandi.

E', infatti, francamente difficile sostenere che le imprese di medie-grandi riescano a fare a meno di sostituire il personale sospeso solo perché hanno più dipendenti. Basti pensare, a questo proposito, l'ipotesi di un'impresa che abbia alcuni reparti con alte percentuali di dipendenti no-vax che ne compromettono la funzionalità produttiva ovvero il caso di posizioni lavorative con alta ed infungibile professionalità e competenza che non consente una sostituzione con altro personale della medesima impresa.

Questa inspiegabile differenziazione tra piccole e grandi imprese, frutto evidente di una mediazione politica è, senza dubbio, la più grande incongruenza dell'intero decreto-legge, e si presta ad essere foriera di potenziali danni sul piano dell'organizzazione produttiva delle imprese medio-grandi.

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*A cura di Marco Lanzani, partner, e Filippo Bodo, senior associate, dello studio Macchi di Cellere Gangemi

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