Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 14 e il 18 marzo 2022

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di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello sono chiamate a pronunciarsi in tema di responsabilità per l'esercizio di attività pericolosa, nonché sui profili probatori connessi alle ipotesi di malpractice medica.
Da parte loro i Tribunali affrontano le materie del collegamento negoziale, dell'azione revocatoria, dell'operatività della prescrizione durante lo svolgimento del rapporto lavorativo parasubordinato, del contratto di locazione (con una sentenza in merito alle facoltà di recesso del conduttore e, con un'altra pronuncia, sulla eventuale rilevanza della destinazione particolare dell'immobile) e, infine, del danno non patrimoniale.

ATTIVITÀ PERICOLOSA

Esercizio - Responsabilità - Sinistro – Accertamento - Articolo 2050 del Cc - Onere della prova  - Necessario. (Cc, articoli 2050 e 2697)

Per attività pericolose (su cui si sofferma - avuto riguardo ai profili risarcitori - la sentenza qui in esame),  ai sensi e per gli effetti della disposizione ex articolo 2050 del Cc, debbono intendersi quelle che sono qualificate tali dalla legge di Pubblica Sicurezza, o da altre norme speciali, ed altresì quelle che abbiano insita la pericolosità nei mezzi adoperati e nella loro stessa natura, restando escluse dalla previsione della norma codicistica de qua le attività che non siano pericolose in sé, ma in cui la pericolosità insorga per errori o colpe nell'uso dei mezzi adoperati Secondo quanto osserva in sentenza la Corte d’Appello di Lecce la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall'articolo 2050 del Cc, presuppone comunque il previo accertamento della dinamica del sinistro, non potendo il soggetto convenuto essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo.

In particolare, nell'ipotesi in cui sia rimasta ignota la causa dell'evento dannoso, la responsabilità deve essere esclusa ove sussista incertezza sul fattore causale e sull’esistenza dell'elemento psicologico attribuito all'autore sulla riconducibilità del fatto all'esercente.

D’altronde se è vero che l’articolo 2697 del Cc dispone che “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento” è anche vero che, proprio alla luce di detta disposizione, si rende necessaria, prima ancora della prova dell'entità del danno e del nesso di causalità con la condotta colposa del danneggiante, la dimostrazione del fatto costitutivo del danno.

Alla luce di tali principi di diritto precisa l’adita Corte come, avuto riguardo al caso oggetto del suo sindacato, una caduta in sé (da un cavallo in un maneggio) non sia la prova del fatto che invece presuppone l’accertamento della dinamica dello stesso perché solo la dinamica consente di comprendere come si è svolta la vicenda e solo questo accertamento consente, di poi, di inquadrare la vicenda in una fattispecie di responsabilità ovvero in un'altra al fine della successiva individuazione del nesso causale. Inoltre, solo l'accertamento della precisa dinamica del fatto, ovvero delle modalità dell'accaduto, può consentire al convenuto di fornire la prova liberatoria, ipotizzabile qualora il danno sia derivato da un gesto inconsulto della vittima non prevedibile né evitabile.

Corte di Appello di Lecce, sezione II, 15 marzo 2022, n . 317

 

RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO

Medici – Struttura ospedalieria - Malpractice medica - Articoli 1218 e 1228 del Cc - Danno evento - Diritto alla salute – Lesione – Onere della prova – Paziente-danneggiato - Nesso di causalità – Presunzioni - Necessario. (Cc, articoli 1218. 1228, 2043 e 2236)

La Corte d’Appello di Torino si sofferma, in punto di diritto, in ordine alla responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera per  malpractice medica (articoli 1218 e 1228 del Cc) osservando come, nel caso in cui sia dedotta una ipotesi di responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del paziente-danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario.

È poi onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione.

Ciò sul presupposto che nelle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione, cioè il perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore, ma del diritto alla salute, che è l'interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato.

Quanto ai prossimi congiunti ad essi è riconosciuta la possibilità di agire per il risarcimento dei danni che abbiano subito in conseguenza dell'inadempimento della struttura o del sanitario nei confronti di un loro congiunto, ma - in tal caso - la condotta inadempiente non potrà rilevare come tale, bensì unicamente come illecito extracontrattuale, da far valere e da accertare ai sensi dell'articolo 2043 c.c..

L’applicazione di tale ultima norma comporta che sia il danneggiato ad essere gravato dell’onere della prova degli elementi costitutivi del fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva.

Infine si consideri che, per principio generale, la limitazione della responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, prevista dall'articolo 2236 c.c. quando la prestazione comporti la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non trova applicazione se la condotta del professionista è stata negligente o imprudente.

Corte di Appello di Torino, sezione I, 17 marzo 2022, n. 305

 

CONTRATTO

Contratto di leasing -  Collegamento negoziale - Natura giuridica - Effetti - Fase patologica. (Cc, articolo 1460)

Il Tribunale di Bergamo (adito in tema di contratto di leasing) si sofferma (tra l’altro) sul cd. collegamento negoziale che si ha quando due o più contratti, per volontà della legge o per volontà delle parti, sono tra di loro interdipendenti.

Un tale collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto rappresentando un meccanismo con cui le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi.

Ne consegue che, sussistendo un collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi "simul stabunt, simul cadent".

Nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l'individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell'esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell'uno debbano ripercuotersi sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia. Ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l'esistenza, l'entità, la natura le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l'interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità.

Quanto, infine, alla fase patologica del rapporto la gravità dell'inadempimento di un singolo contratto non deve essere apprezzata per ciascuna pattuizione, ma all'interno della complessiva struttura negoziale.

Inoltre il principio di autotutela sancito dall'articolo 1460 c.c. (in forza del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte) deve ritenersi legittimamente applicabile anche nell'ipotesi di inadempimento di un diverso negozio, purché collegato con il primo da un nesso di interdipendenza - fatto palese dalla comune volontà delle parti - che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio (e la cui valutazione è rimessa al prudente e insindacabile apprezzamento del giudice di merito).

Tribunale di  Bergamo, 14 marzo 2022, n. 631

 

AZIONE REVOCATORIA

Azione revocatoria - Presupposti – Funzione. (Cc, articolo 2901)

Oggetto della sentenza resa dal Tribunale di Lecce è l’azione revocatoria (articolo 2901 c.c.) i cui presupposti sono compendiati: nell'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore in revocatoria e debitore; nella effettività del danno (eventus damni), inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell'atto traslativo; nella conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (scientia damni); nell'ipotesi di atto a titolo oneroso, nella conoscenza del pregiudizio da parte del terzo (consilium fraudis); nella dolosa preordinazione se il compimento dell'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito.

In particolare, quanto al credito oggetto di tutela, si precisa che l'azione revocatoria può essere proposta non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile, ma, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell'integrità del patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito.

Quanto al presupposto oggettivo, costituito dal pregiudizio cagionato per effetto dell’atto di disposizione (eventus damni), ossia il depauperamento della garanzia patrimoniale posta a presidio delle ragioni del creditore, esso si ritiene consistere nella lesione effettiva ed attuale dell'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale, per la compromissione della quale è sufficiente che l'atto di disposizione renda incerta o difficoltosa la realizzazione del diritto di credito. Una volta che il creditore che agisca in revocatoria abbia provato il concretizzarsi di una variazione quantitativa o anche qualitativa del patrimonio del debitore, costituisce onere di quest’ultimo, al fine di sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria, fornire la prova che il patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo è ritenuta sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), ovvero la previsione di un mero danno potenziale, da accertarsi anche a mezzo del ricorso a criteri probatori di carattere presuntivo.

La partecipazione fraudolenta del terzo può essere desunta (anche) da presunzioni semplici quali i rapporti qualificati (ad es. di affectio societatis o di parentela o vicinanza familiare) tra il debitore e il terzo o, più in generale, da tutte quelle circostanze fattuali che denotino un'anomalia del comportamento delle parti, tali da far ragionevolmente dedurre la sussistenza di tale consapevolezza in capo all'acquirente in riferimento alla qualità delle parti e la tempistica negoziale.

Tribunale di Lecce, 14 marzo 2022, n . 718

 

LAVORO

Parasubordinazione - Retribuzione - Prescrizione. (Cc, articolo 2948; Legge 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 48; Dlgs 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 8)

Secondo il Giudice del Lavoro di Parma (che sul punto si riporta ad un orientamento giurisprudenziale consolidato) i rapporti di lavoro che si instaurano tra una Ausl e un medico convenzionato ex artt. 48 L. n. 833/1978 e 8 Dlgs n. 502/1992 rientrano nell’ambito della parasubordinazione.

Tali rapporti, invero, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, corrispondono a rapporti libero professionali, che si svolgono (di norma) su un piano di parità, non esercitando l’ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, al di fuori di quello di sorveglianza, né potendo incidere unilateralmente, limitandole o degradandole a interessi legittimi, sulle posizioni di diritto soggettivo discendenti per il professionista dal rapporto di lavoro autonomo.

Si è così chiarito che la sospensione del corso della prescrizione durante lo svolgimento del rapporto lavorativo può essere invocata solo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, perché è solo ad esso che si è fatto riferimento nella dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 2948, n. 4, c.c. nella parte in cui consentiva che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

È dunque assodato che, in un rapporto di lavoro parasubordinato, la prescrizione decorre anche durante la vigenza del rapporto medesimo; diviene così determinante, al fine di valutare il regime prescrizionale applicabile, la natura del credito rivendicato.

L’articolo 2948, n. 4, del Cc stabilisce che si prescrivono in cinque anni “gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.

Secondo una opinione pacifica, i crediti retributivi rientrano in tale ipotesi, posto che la retribuzione viene pagata al lavoratore dal datore di lavoro con cadenza periodica mensile.

Tribunale di Parma, sezione lavoro, 14 marzo 2022, n. 8

 

LOCAZIONE

Contratto di locazione – Non ad uso abitativo - Rinegoziazione - Regole contrattuali – Motivazioni crisi finanzaria o trasferimento di attività – Recesso anticipato – Indicazione obbligatoria dei motivi nella comunicazione di recesso. (Legge 27 gennaio 1978, n. 392, articolo 27)

Il Tribunale di Torino osserva in sentenza come, con riferimento ad un contratto di locazione ad uso ufficio, ai sensi dell’articolo 27, VIII, L. 27 gennaio 1978, n. 392, in assenza di un’apposita previsione contrattuale, il conduttore ha la facoltà di recedere, solo per gravi motivi ed è tenuto a comunicare gli stessi per iscritto al locatore con lettera raccomandata con un preavviso di almeno sei mesi.

Nel caso all’esame dell’adito Giudice il contratto di locazione sottoscritto tra le parti ammetteva, quale unica ipotesi di recesso anticipato, quella per gravi motivi esplicitandoli “in crisi finanziaria o trasferimento attività in altra località”. Osserva il Tribunale che i gravi motivi che consentono il recesso anticipato dal contratto di locazione devono essere specificati unitamente alla comunicazione di recesso fatta al locatore e, soprattutto, devono essere: estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti rispetto a quando è stato firmato il contratto, tali da rendere impossibile o oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto.  Ci si chiede quindi quale incidenza può avere la pandemia da Covid su simili schemi contrattuali.

Il Legislatore, con l’emergenza della pandemia Covid 19, ha voluto introdurre la possibilità (e comunque non l’obbligo) di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto, ovvero ridurre definitivamente a determinate categorie di imprenditori i canoni di locazione per un certo numero di mensilità.

Nel nostro ordinamento non esiste un obbligo di rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per una delle parti, ancorché in conseguenza di eventi eccezionali e imprevedibili, e neanche un potere del giudice di modificare i regolamenti contrattuali liberamente concordati dalle parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge.

Tribunale di Torino, sezione VIII, 14 marzo 2022, n. 842

 

DANNO NON PATRIMONIALE

Trasporti – Responsabilità del vettore – Danno non patrimoniale – Articolo 2059 del Cc - Ritardo nella consegna bagagli - Risarcimento – Per sofferenza psicofisica - Onere della prova dell’an e nel quantum - Necessaria. (Cc, articolo 2059)

Il tema oggetto della decisione resa dal Tribunale di Milano è quello del risarcimento del danno non patrimoniale (articolo 2059 del Cc) in conseguenza del mero ritardo nella riconsegna dei bagagli al termine di un viaggio aereo. L’adito Giudice afferma con chiarezza l’impossibilità di qualsivoglia equivalenza tra ritardata riconsegna dei bagagli, da un lato, e danno in re ipsa, dall’altro lato.

Si precisa in tal senso che non è possibile affermare che il ritardo nella riconsegna dei bagagli costituisca, in re ipsa, una causa di sofferenza psicofisica idonea ad essere qualificata come danno non patrimoniale risarcibile.

Al contrario, in ossequio ai principi generali dell’ordinamento sull’onere probatorio, il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato.

La risarcibilità del danno non patrimoniale è consentita nei soli casi previsti dalla legge, cioè nelle ipotesi di fatto illecito astrattamente configurabile come reato e di fatto illecito gravemente lesivo di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Inoltre, la lesione del diritto invocata deve essere provata non solo nell’an ma anche nel quantum, non essendo risarcibile una lesione inferiore ad una soglia minima, costituita da un pregiudizio “serio” del diritto come sopra individuato. In altre parole, il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio e non già futile (meri disagi e/o fastidi sono dunque irrisarcibili).

Nella liquidazione del danno non patrimoniale devono prendersi in esame tutte le conseguenze dannose dell'illecito ed evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

Tribunale di Milano, sezione XI, 17 marzo 2022, n. 2439

 

LOCAZIONE

Contratto di locazione – Locazioni commerciali - Destinazione particolare dell’immobile - Rilevanza. (Legge 27 gennaio 1978, n. 392, articolo 80; Cc, articoli 1575, 1576 e 1615)

Osserva in sentenza il Tribunale di Roma come la causa del contratto di locazione, anche per le locazioni commerciali, non si estenda mai alla garanzia della produttività dell’attività imprenditoriale che il conduttore si accinge a svolgere nei locali concessi.

Neppure la dichiarazione resa nel contratto, circa lo specifico uso che il conduttore intende fare dell’immobile locato, impone al locatore la garanzia della effettiva possibilità di tale uso, rilevando per il conduttore stesso unicamente in relazione all’obbligo di cui all’articolo 80 legge n. 392/1978 di non modificare né alterare la destinazione dell’immobile.

Per il locatore tale dichiarazione rileva nei limiti di cui all’articolo 1575, n. 2), del Cc, secondo il quale il locatore deve mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto.

Ciò che rileva è la dimensione materiale e non giuridica o produttiva dell’immobile. Infatti tale obbligo viene declinato dall’articolo 1576 c.c. secondo il quale il locatore deve eseguire tutte le riparazioni necessarie al mantenimento della cosa in relazione all’uso pattuito.

Il locatore è tenuto a garantire solamente che l’immobile sia strutturalmente idoneo all’uso pattuito, ma non che tale uso sarà sempre possibile e proficuo per il conduttore.

Trattasi peraltro di obbligo non previsto da norme imperative per cui le parti ben possono contrattualmente stabilire che siano a carico del conduttore tutti gli oneri relativi all’utilizzabilità del bene, esonerando il locatore da ogni responsabilità.

In altre parole, la destinazione particolare dell’immobile diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso. Infine, la circostanza che nella locazione il bene non sia considerato nella sua dimensione produttiva trova ulteriore conferma - sempre secondo quanto afferma il Tribunale di Roma - nella distinzione tra locazione e contratto di affitto: solo quest’ultimo ha per oggetto un bene considerato nella sua dimensione produttiva (articolo 1615 del Cc).

Tribunale di Roma, sezione VI, 17 marzo 2022, n. 268 2

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