Civile

L'inerenza dei costi ed il diritto alla detrazione nel reverse charge, contrasto alle frodi

La Cassazione con la sentenza n. 140 del 5 gennaio 2022 (ri)scrive con rigore i requisiti soggettivi ed oggettivi dell'inerenza all'attività d'impresa ed esclude la detrazione dell'IVA relativa a operazioni fittizie

di Monica Peta*

Nel sistema ordinario dell'IVA il prestatore/cedente applica l'aliquota in fattura che addebita al committente/cessionario e poi versa la somma all'erario, mentre il secondo, che ha ricevuto la fattura e pagato l'iva al primo, matura un corrispondente diritto di detrazione verso lo Stato. Tale modalità è derogata in tutti quei casi per i quali l'ordinamento interno e unionale prevede il sistema del reverse charge o inversione contabile.

Al riguardo la Cassazione con la sentenza n. 140 del 5 gennaio 2022 , è tornata sul requisito dell'inerenza rispetto agli acquisti effettuati da un soggetto passivo nazionale con il meccanismo del reverse charge. I giudici di legittimità hanno precisato che, il sorgere e l'esercizio del diritto di detrazione prevede, quale modalità tecnica, l'annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, al fine di rispettare il principio di neutralità dell'IVA. Si tratta di un elemento integrativo rispetto alla condizione generale di cui all'art. 19 comma 1 del DPR 633/72 in tema di detrazione dell'IVA.

Il fatto: l'Agenzia delle entrate contestava alla Alfa spa l'indebita detrazione dell'IVA per l'anno 2006 in relazione ad operazioni passive con la società svizzera Beta S.A., atteso che quest'ultima aveva ricevuto incarichi esclusivamente dalla controllante Gamma spa, che aveva riaddebitato alla prima il 40% dei costi sostenuti per il dipartimento sicurezza senza che fosse documentata la conclusione e il contenuto di eventuali contratti infragruppo, da cui la carenza di prova dell'inerenza all'esercizio dell'attività svolta.
La ricorrente deduceva l'infondatezza della pretesa dell'ufficio trattandosi di operazione effettuata con la procedura dell'inversione contabile, da cui l'irrilevanza della prova dell'inerenza poiché il diritto di detrazione, in tale evenienza, doveva essere sempre e comunque riconosciuto "nella stessa misura in cui era stata indicata nell'autofattura ed esposta nel registro vendite".

Per meglio chiarire i termini della questione, è opportuno fare un passo sulle modalità di assolvimento ordinario dell'imposta disciplinate dalla norma. E' bene sottolineare che, l'istituto regolato dall'art. 17 DPR n. 633 del 1972 (in particolare, dai commi 5 e 6) assolve, nella sua concezione originale e tradizionale, allo scopo di permettere l'ingresso nel sistema contabile delle operazioni rilevanti ai fini IVA in Italia realizzate da imprese non residenti (operazioni intracomunitarie) con il reverse charge .

Accanto a questa finalità, invero, si è progressivamente attenzionato il modello sotto il profilo di contrasto alle frodi perché idoneo ad evitare un incontrollato (ed abusivo) esercizio del diritto di detrazione (v. l'art. 199-quater della Dir. 2006/112/CE, introdotto con l'art. 1 Dir. 2018/2057/UE, nella prospettiva di una più vasta applicazione dell'istituto).

Il meccanismo così contemplato sposta sul cessionario l'onere di versare l'IVA: in particolare, chi effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi non espone l'iva in fattura e non è debitore verso l'erario, mentre chi riceve la fattura emessa in regime di reverse charge, è tenuto ad integrarla con l'IVA dovuta e a provvedere alla relativa annotazione nel registro delle vendite. Per consentire, poi, il sorgere e l'esercizio del diritto di detrazione la norma prevede, quale modalità tecnica (integrativa rispetto alla condizione generale di cui all'art. 19, primo comma, DPR n. 633 del 1972), l'annotazione della stessa operazione nel registro degli acquisti, così da riequilibrare il sistema in coerenza con i principi di neutralità. In termini essenziali, si può dire che il regime in questione addossa ai destinatari della fattura, ossia ai committenti/cessionari (che divengono i soggetti passivi dell'imposta) l'onere di pagare l'IVA sull'operazione e, attraverso un meccanismo contabile (di doppia registrazione), riconosce agli stessi il diritto di detrazione per un pari importo.

Sullo stesso soggetto, dunque, si cumulano le due situazioni, le quali, tuttavia, rispondono (o possono rispondere) a presupposti sostanziali e condizioni differenti. È evidente, infatti, che mentre il versamento dell'IVA è dovuto in relazione alla natura dell'operazione di scambio, il diritto di detrazione da parte del cessionario è condizionato alla sussistenza oltre che delle condizioni soggettive (ossia che egli sia un soggetto passivo) anche di quelle oggettive, ossia che i beni o servizi siano utilizzati ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta (v. art. 168 lett. a, dir. 2006/112/CE).

La carenza di queste condizioni impedisce il sorgere del diritto di detrazione, con la conseguenza che l'annotazione sul registro degli acquisti determina una fruizione indebita del diritto di detrazione. Ne deriva che, nel regime dell'inversione contabile, il versamento dell'IVA operato dal cessionario "in luogo" del cedente costituisce, semplicemente, l'unico versamento dell'imposta allo Stato (appunto, quello, di norma, attuato dal cedente). Il diritto di detrazione, che deriva dall'annotazione nel registro degli acquisti, presuppone, invece, che vi siano le condizioni sostanziali. Tra queste deve essere annoverata l'inerenza dell'operazione rispetto all'attività d'impresa, ossia l'esistenza di una connessione con l'attività d'impresa del soggetto passivo come discende dalla immediata lettura dell'art. 17, par. 2, dir. n. 77/388/CEE (v. tra le tante Corte di Giustizia, sentenza 1.10.2020, Vos Aannemingen BVBA, in C-405/19; 30.5.2013, X, in C-651/11; 29.10.2009, SKF, in C-29/08) - per fruirne. Ove ne sia accertata l'insussistenza, la Cassazione nella sentenza in commento si pronuncia a favore della ripresa della somma portata in detrazione, ferma, per contro, l'imposta dovuta .

Rispetto ai singoli requisiti, poi, operano i criteri di riparto dell'onere della prova rispettivamente pertinenti, sicché, ove sia in contestazione l'inerenza, incomberà sul contribuente dimostrarne la sussistenza (v. recentemente, in tema di costi infragruppo, Cass. n. 8001 del 22.3.2021 ).

A conclusione, i giudici di legittimità nella sentenza in commento, affermano con rigore l'esclusione della detrazione dell'IVA relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l'IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un'operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d'imposta risultante da tale obbligo qualora l'emittente di detta fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale», condizione qui - in evidenza - estranea e in alcun modo configurabile, derivando dal preteso riconoscimento del diritto di detrazione in assenza delle condizioni sostanziali una perdita per l'erario.

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* A cura di Monica Peta, Dottore Commercialista Revisore Legale, PhD in Scienze aziendali- Componente della Commissione Crisi da Sovraindebitamento ODCEC Roma - Componente del comitato scientifico nazionale Istituto Governo Societario

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