Amministrativo

All'Adunanza plenaria il contrasto sull'abolizione dell'assegno ad personam dei componenti laici del Csm

La rimessione di Palazzo Spada al proprio maggior consesso chiarirà l'effetto retroattivo o meno dal 2014 dell'emolumento

di Paola Rossi

Il riconoscimento o meno dell'assegno cosiddetto ad personam al componente laico del Consiglio superiore della magistratura che finito l'incarico rientri in servizio nella propria amministrazione di appartenenza è questione che viene rimessa dal Consiglio di Stato all'Adunanza plenaria perché componga il contrasto emerso tra i giudici amministrativi. In particolare sull'effetto retroattivo della norma che dal 2014 ha escluso tale voce di emolumento e della sua applicazione ai membri del Csm eletti dal Parlamento.

Applicabilità delle norme controverse
La rimessione è avvenuta con le decisioni della VII sezione di Palazzo Spada - nn. 1672 e 1673 del 2022 - per rispondere al seguente quesito: "se le disposizioni normative sull'assegno ad personam di cui all'art. 1, commi 457 e 458, l. n. 147 del 2013, nonché quelle di cui all'art. 8, comma 5, l. n. 370 del 1999 (nel testo vigente) siano applicabili anche ai componenti cc.dd. ‘laici' del Consiglio Superiore della Magistratura (con la conseguenza di rendere inapplicabili nei loro confronti l'istituto dell'assegno ad personam) ovvero se questi ultimi siano esclusi dalla applicazione delle norme ivi contenute, anche in ragione del particolare munus ad essi affidato (art. 104, comma 4, Cost.)".

Perimetro di retroattività
Chiede inoltre il Consiglio di Stato: "in caso di risposta affermativa al primo quesito, se le disposizioni normative de quibus siano applicabili ai ratei da corrispondersi a partire dal 1° febbraio 2014, anche se il conferimento dell'incarico di componente c.d. ‘laico' del Consiglio Superiore della Magistratura sia avvenuto antecedentemente alla data di entrata in vigore della l. n. 147 del 2013".

Il contrasto giurisprudenziale emerso
La Sezione VII ha rilevato il contrasto giurisprudenziale tra due orientamenti contrapposti.

I) Il primo - rappresentato dalle sentenze nn. 1384 e 1385 del 2018 - afferma che l'articolo 1, comma 459, della legge 147/2013 "impone a tutte le Amministrazioni, nei cui ruoli siano rientrati propri dipendenti cessati da precedenti ruoli o incarichi, di adeguare - senza alcuna distinzione - i relativi trattamenti giuridici ed economici (disponendo la cessazione degli assegni ad personam in precedenza corrisposti)". Previsione applicabile "a partire dalla prima mensilità successiva alla data di entrata in vigore". Quindi con effetti su tutti i ratei retributivi da corrispondersi dal 1° febbraio 2014, ma escludendo l'onere di restituzione di quelli percepiti. Secondo le due decisioni, l'obbligo di adeguamento opererebbe anche sullo speciale assegno ad personam (previsto dall'articolo 3 della legge 312/1971). Il Consiglio di Stato nella sua rimessione sottolinea di condividere con tale impostazione l'affermazione secondo cui le nuove disposizioni normative sarebbero connotate da una retroattività "impropria", che si realizza quando le norme sopravvenute regolano diversamente i tratti non esauriti dei rapporti di durata. E conclude precisando che, pur dovendosi riconoscere ai citati interventi normativi valenza retroattiva salvaguardando gli emolumenti già corrisposti – facendo attenzione che non si pongano in contrasto con i limiti che la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Cedu hanno posto all'applicazione di discipline retroattive. È stato in particolare affermato che i richiamati interventi non si pongano in insanabile contrasto con le modalità e le condizioni di tutela del legittimo affidamento sancite – sia pure con declinazioni in parte diverse – dalla giurisprudenza costituzionale e da quella convenzionale. Ad analoghe conclusioni è pervenuto recentemente (con riguardo alla questione relativa al computo dell'assegno ad personam percepito da un componente c.d. ‘laico' del Consiglio Superiore della Magistratura, ai fini della determinazione della indennità di buonuscita) il Consiglio di Stato con la sentenza n. 8026/2021. Quindi nelle predette pronunce è stato chiarito che le disposizioni normative introdotte nel 2013 dal Legislatore nazionale, ai fini del contenimento della spesa pubblica, trovano applicazione anche agli incarichi di componente "laico" del Consiglio Superiore della Magistratura, con la conseguenza che, a partire dalla mensilità successiva a quella di entrata in vigore della legge n. 147/2013, non si ha più diritto a percepire l'assegno ad personam che in precedenza veniva erogato, al momento del rientro in servizio presso le Amministrazioni di appartenenza, per aver fatto parte dell'organo costituzionale di autogoverno della magistratura.

II) Al contrario, l'opposto orientamento ritiene non travolto l'assegno ad personam da corrispondere ai membri laici del Csm (come espresso, ad esempio, dal Consiglio della Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la sentenza n. 89/2016. Tale visione parte dall'assunto che l'elezione da parte del Parlamento di un componente laico (professore universitario) non può essere equiparata alla nomina a un incarico o a un servizio amministrativo in relazione al fondamento costituzionale del relativo compito affidato.
Tale orientamento giunge, quindi, alla conclusione (di fatto, opposta rispetto a quella tracciata dalle richiamate sentenze numm. 1384 e 1385 del 2018) secondo cui gli interventi normativi del 2012-2013 non avrebbero determinato alcun effetto abrogativo nei confronti dello speciale assegno ad personam di cui alla legge 312/1971. E l'assenza di un tale effetto emergerebbe sia dalla mancanza di un'abrogazione espressa della richiamata disposizione, sia dal carattere del tutto speciale dell'attribuzione patrimoniale ivi disciplinata, che non potrebbe dirsi "travolta" in conseguenza dell'abrogazione dell'articolo 202 del Dpr 3/1957. ​​​​​​​

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