Monocommittenza, contro la “precarietà” avvocati dipendenti dello studio
Chiara Gribaudo, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, ha (ri)presentato la proposta di legge sui cd. «sans papier» della professione
”In tutta Europa esiste la figura dell’avvocato dipendente, mentre in Italia abbiamo paura a dire che gli avvocati in regime di monocommittenza sono di fatto precari. Credo che sia compito della politica cogliere i cambiamenti del mercato e aggiornare le norme”. Così Chiara Gribaudo, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, prima firmataria della p roposta di legge (n. 735) che abolisce l’incompatibilità tra la professione di avvocato e il lavoro subordinato o parasubordinato ripresentata ieri presso la sala conferenza stampa della Camera dei deputati.
Nella introduzione ai due articoli della norma si spiega infatti che la situazione odierna degli studi legali è fatta di “avvocati titolari degli studi, denominabili domini, e di avvocati che di questi sono di fatto dipendenti i quali, per compensi molto più bassi, a volte ridotti a poche centinaia di euro al mese, lavorano senza tutele o come collaboratori con partita Iva”. “Tale situazione maschera, in realtà, l’occultamento di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato” ricorrendo tutti gli indici presuntivi della subordinazione, come la soggezione al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro, il dominus appunto.
Una dinamica negativa che sarebbe stata addirittura favorita, “per assurdo”, proprio dalla legge professionale, la n. 247 del 2012 che, all’articolo 18, comma 1, lettera d), prevedendo l’incompatibilità dell’esercizio della professione «con qualsiasi attività di lavoro subordinato», ha di fatto impedito la contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Ed è questa la parte che si vuole modificare perché gli “avvocati precari” rappresentano una “distorsione del sistema”. Sono di fatto dipendenti di altri avvocati ma non hanno né le garanzie e le tutele previste per i normali lavoratori subordinati, tantomeno i vantaggi della libera professione. Una incompatibilità, si sottolinea, non prevista per medici, architetti, ingegneri, commercialisti e consulenti del lavoro.
La proposta interviene dunque sull’articolo 19 della legge 247 introducendo un comma 3-bis. Per il quale l’incombatibilità “non si verifica per gli avvocati che svolgono attività di lavoro dipendente o parasubordinato in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato, un’associazione professionale ovvero una società tra avvocati o multidisciplinare, purché la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile all’attività propria della professione forense”.
Non viene previsto dunque che un avvocato possa essere assunto per un qualsiasi tipo di lavoro da un qualunque datore di lavoro, essendo la proposta di legge rivolta solo agli avvocati che lavorano come tali negli studi legali di altri avvocati.
“All’avvocato - prosegue il testo dell’articolo 1 - si applica le norme del contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento”. E la relatrice segnala l’esistenza del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli studi professionali, “la cui applicabilità agli avvocati dipendenti è appunto subordinata al-l’eliminazione dell’anzidetta incompatibilità”.
Il compenso se non stabilito dal Ccnl deve essere “proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione da eseguire, avendo riguardo all’impegno temporale richiesto da essa e alla retribuzione prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile al committente con riferimento alle figure professionali di competenza e di esperienza analoghe a quelle dell’avvocato”.
L’eliminazione dell’incompatibilità impone però la risoluzione di nuove questioni. Per questo l’articolo 2 prevede l’emanazione di appositi decreti Ministro del lavoro di concerto con il Ministro della giustizia, dopo un confronto con le parti sociali, con il Cnf, l’Ocf, la Cassa forense e con le associazioni forensi: a) per determinare gli importi e le modalità di versamento della contribuzione, posta per almeno i due terzi a carico del datore di lavoro che, in qualità di sostituto d’imposta, è tenuto a effettuare le operazioni di conguaglio fiscale e previdenziale; b) definisce i parametri in base ai quali considerare una monocommittenza come lavoro subordinato, utilizzando indicatori quali la durata , la presenza di una postazione fissa, la partecipazione ai risultati economici, eventuali clausole di esclusività.
”Questa proposta legislativa - ha affermato Cosimo Matteucci, presidente di MGA, sindacato nazionale forense - interpreta ciò che accade in moltissimi studi legali italiani nei quali sono occultate gravissime forme di sfruttamento del lavoro di avvocate e di avvocati che di fatto vivono condizioni di lavoro peggiori di quelle riservate a dei normali impiegati”.
Danilo Lelli di FILCAMS - CGIL nazionale ha espresso “soddisfazione per la ripresa del percorso parlamentare per riconoscimento della possibilità’ di svolgere la professione di avvocato come lavoratori e lavoratrici dipendenti”. “Ci attiveremo - ha proseguito - per ricomprendere nel Ccnl, al giusto inquadramento contrattuale, la figura dell’avvocato dipendente”.
Anche Federica Cochi, Presidente APIQA e Maria Grazia Gabrielli, Segretaria CGIL nazionale “leggono con positività la ripresa del percorso parlamentare per l’abolizione dell’incompatibilità tra la professione di avvocato e lo svolgimento di lavoro dipendente o parasubordinato”.