Civile

“Caso Diciotti”, il Governo dovrà risarcire i migranti per il trattenimento illegittimo

Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 5992/2025, accogliendo con rinvio, il ricorso di un cittadino eritreo, che, unitamente ad altri connazionali, aveva chiesto il risarcimento

di Francesco Machina Grifeo

La Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno dovranno risarcire i migranti per i danni non patrimoniali patiti per essere stati trattenuti a bordo della nave della Guardia Costiera italiana “U. Diciotti”, dal 16 al 25 agosto 2018, a causa del mancato consenso all’attracco nei porti italiani e poi del mancato consenso allo sbarco e il forzato ed arbitrario trattenimento sulla nave nel porto di Catania. Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 5992/2025, accogliendo con rinvio, il ricorso di un cittadino eritreo, che, unitamente ad altri connazionali, si era rivolto al Tribunale capitolino chiedendo la condanna del Governo. La quantificazione del risarcimento spetta alla Corte di Appello di Roma.

Per la Suprema corte, infatti, il principio cardine di uno Stato costituzionale è la “giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona, ancorché posto in essere dal Governo e motivato da ragioni politiche”. E allora la sottrazione dell’agire politico a tale sindacato – nel caso specifico col voto del Senato che non ha concesso l’autorizzazione a procedere per il reato di sequestro di persona nei confronti del Ministro Salvini – è una eccezione, “come tale soggetta a interpretazione tassativa e riferibile, dunque, solo alla responsabilità penale”. Diversamente, prosegue, “non residuerebbe spazio per separare la responsabilità civile del Ministro da quella dell’amministrazione come apparato, posto che è dalla decisione del primo di negare il POS e l’autorizzazione allo sbarco che è derivato il trattenimento a bordo della nave costiera indicato come lesivo della libertà personale”.

La Corte ha così cassato la decisione del Tribunale di Roma che «pur ritenendo sussistere la giurisdizione ordinaria per essersi trattato non di un atto politico, ma di un atto amministrativo, pienamente sindacabile, ha tuttavia respinto nel merito la domanda degli appellanti in difetto della colpa della pubblica amministrazione (non allegata dai ricorrenti e comunque da escludere «alla luce delle concrete modalità con cui si è realizzato il fatto, nonché della complessità e della non univocità della normativa di riferimento») e, comunque, in mancanza di allegazione e prova del danno conseguenza».

Fortemente critico il giudizio della premier Meloni. “Le Sezioni Unite - commenta - hanno affermato un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore Generale”. “In sostanza - prosegue -, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire - con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse - persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano”. “Non credo - ha concluso il capo del governo - siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”.

Il vicepremier e Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha parlato di «una sentenza, e lo dico con rispetto, vergognosa, perché mi sembra un’altra invasione di campo indebita».

A stretto giro la durissima risposta della Presidente della Cassazione Margherita Cassano: “Le decisioni della Corte di cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”.

Nelle decisione la Suprema corte ha espresso una serie di principi giuridici. L’azione del Governo, si legge, ancorché motivata da ragioni politiche, “non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.

E sull’obbligo del soccorso in mare la Cassazione afferma che esso corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità; “come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”.

E ancora, lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» (così come prescritto dalla Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso; … per “luogo sicuro” si intende un “luogo” in cui sia garantita non solo la “sicurezza” – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo.

La “discrezionalità tecnica” che residua agli stati si limita infatti all’individuazione del punto di sbarco più opportuno, tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate. E allora, l’autorità SAR italiana che aveva assunto la gestione delle operazioni di soccorso era tenuta in base alle norme convenzionali a portarle a termine, organizzando lo sbarco, «nel più breve tempo ragionevolmente possibile».

Infine, perché un evento dannoso sia imputabile a responsabilità della Pa, si richiede una indagine in ordine alla valutazione della colpa, “che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana”. La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla Pa come apparato, “e sarà configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa”.

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