Famiglia

Affidamento condiviso e tutela dell'interesse della prole

Nota a Cass. Civ., Ord., 16 giugno 2021, n. 17221

di Francesca Ferrandi*

Il caso di specie. Con l'ordinanza n. 17221, resa lo scorso 16 giugno 2021, la Cassazione ha ribadito che, in tema di affidamento condiviso, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice di merito, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere.

In particolare, nel caso di specie, il ricorrente aveva adito la Suprema Corte per la cassazione della sentenza con cui la Corte di appello di Torino, confermato l'affido condiviso dei figli con collocazione presso la madre, aveva: ampliato i tempi di permanenza presso il padre durante le vacanze estive; revocato l'assegno di mantenimento previsto per la moglie e rigettato la sua domanda di riduzione dell'assegno di mantenimento dei figli.

Il ricorrente ha lamentato due motivi di impugnazione: con il primo, ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 337-ter c.c., e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto, a suo dire, vi dovrebbe essere pari scansione temporale dei tempi di permanenza dei figli con ciascun genitore e una collocazione ripartita a settimane alterne; con il secondo, la violazione e falsa applicazione dell'art. 337-ter, comma 4, c.c., in relazione alla conferma dell'assegno di mantenimento previsto per i figli, dato che il suo reddito si sarebbe progressivamente ridotto nel corso degli anni.

L'affidamento condiviso . Nell'esaminare il ricorso, la Suprema Corte si è in principio soffermata sul primo motivo e ha ricordato come, il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragione ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, potendo il giudice, tuttavia, nell'interesse del minore, discostarsi da questo principio, in modo da assicurargli una situazione più confacente al suo benessere.

Come noto, con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, recante "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli", nel nostro Paese, si è registrato il primo passo volto all'introduzione dell'istituto dell'affidamento condiviso dei figli, nel tentativo di apportare un cambiamento radicale nella gestione del conflitto familiare (per un approfondimento v. C. MURGO, Affido congiunto e condiviso: vecchio e nuovo confronto in tema di affidamento della prole, in Nuova Giur. Civ., 20547,11, 2006).

La novella ha riscritto la norma, di cui all'art. 155 c.c., sui provvedimenti riguardo ai figli in sede di separazione personale dei genitori, rivedendo i criteri che presiedono il regime di affidamento.

Successivamente, il D.Lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, "Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione", ha trasformato il sopracitato articolo in una clausola di mero rinvio e unificato le disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati in costanza di matrimonio e quelli riguardanti i figli nati al di fuori di esso. Attualmente gli stessi sono tutti regolati al capo secondo, titolo nono, del primo libro del codice civile, e, segnatamente, dalle norme previste agli artt. 337-bis c.c. ss.

Ebbene, al fine di salvaguardare il c.d. "best interest of the child", (per un approfondimento di tale nozione v. E. LAMARQUE, Prima i bambini, Il principio del best interest of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016 e A.C. DI LANDRO, Best interest of the child e tutela dei minori nel dialogo tra legislazione e giurisprudenza, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2, 451, 2020) le disposizioni di cui agli artt. 337-bis c.c. ss., hanno puntualizzato quali siano i diritti dei figli che devono essere salvaguardati, nonostante l'intervenuta crisi della coppia genitoriale: in particolare, la previsione contenuta nell'art. 337-ter c.c., al primo comma, sancisce il diritto del figlio minore di età a "mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale", mentre, al secondo comma, impone al giudice, nel momento dell'adozione dei provvedimenti relativi alla prole, di fare riferimento esclusivo al suo interesse morale e materiale, valutando prioritariamente la possibilità che la stessa resti affidata ad entrambi i genitori. Regola quest'ultima che introduce l'affidamento condiviso il quale coglie, a sua volta, un concetto di interesse del minore profondamente innovativo, in cui prioritario è il perseguimento del benessere del figlio, attraverso la salvaguardia delle relazioni affettive, ivi comprese quelle con i componenti della famiglia c.d. allargata.

Il superiore interesse del minore cessa, quindi, di essere il criterio di scelta di un genitore a discapito dell'altro, operando, al contrario, a favore della prole, nella misura in cui sollecita la responsabilità dei genitori, richiedendo una gestione aperta a sacrifici e adattamenti da ambo le parti.

Gli artt. 337-ter e 337-quater c.c., quindi, rappresentano un minimo comune denominatore tra i procedimenti che regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale, a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento o nullità del matrimonio, e i procedimenti che regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale, successivamente al sorgere della crisi dell'unione tra i genitori di figli nati fuori dal matrimonio.

L'aspetto più innovativo della novella del 2006 è rappresentato, quindi, dall'affermazione del diritto del minore alla bigenitorialità: il nostro legislatore, ha affermato, infatti, rispetto alla posizione dei figli, la continuità del periodo di frequentazione rispetto al precedente periodo di costanza matrimoniale (o comunque di convivenza della coppia di fatto), in quanto, ancorché la scissione della coppia genitoriale incida sul rapporto coniugale, ormai esautorato, essa non rappresenta, dal punto di vista genitoriale, un momento di interruzione e frattura, ma una sua continuazione, sebbene con regole nuove e diverse rispetto a quelle che lo avevano caratterizzato precedentemente.

Mentre in passato, quindi, la regola generale era quella dell'affidamento esclusivo e l'eccezione era quella dell'affidamento ad entrambi i genitori, oggi, grazie all'intervento legislativo del 2006, per la prima volta, si è valorizzata l'esigenza del minore di continuare a mantenere un rapporto con entrambi i genitori, imponendo di applicare dapprima l'affidamento condiviso e, solo secondariamente, quello esclusivo a favore di uno dei due genitori.

L'interesse del minore . Il principio della bigenitorialità, consacrato dalla ricordata novella 2006, conduce alla rilevanza diretta dell'interesse del minore nei confronti di ambo i genitori, uniti, ora, nella comune genitorialità e si traduce in un diritto soggettivo del minore, da collocare nell'ambito dei diritti della personalità (sul punto cfr. M. SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: profili sostanziali, in Fam. e dir., 377, 4, 2006). Centrale, infatti, rimane l'interesse del figlio ad avere due genitori consapevoli e, allo stesso tempo, responsabili, capaci di condurre un progetto educativo condiviso, in collaborazione tra loro, in modo che il minore non ne risulti pregiudicato (cfr. E. ROSSINI, E. Urso, I bambini devono fare i bambini, Milano, 2016).

In questo modo, almeno in linea di principio, la tradizionale regola di preferenza della figura materna, quale genitore affidatario, in ossequio all'interesse del minore, cede il passo alla logica della bigenitorialità, considerata di per sé il miglior modo per soddisfare la prole in quanto coinvolge entrambi i genitori (cfr. A. SCALISI, Il diritto del minore alla "bigenitorialità" dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare, in Fam. e dir., 525, 5, 2007). Ne deriva, pertanto, la volontà di un maggiore coinvolgimento e di una piena corresponsabilità di entrambi i genitori anche dopo la fine dell'affectio maritalis, in quanto l'affidamento condiviso risulta caratterizzato da una tendenziale ripartizione di compiti e responsabilità, tale per cui ciascun genitore è tenuto a provvedere direttamente alla cura del figlio, in una condizione paritaria a quella dell'altro genitore.

L'interesse del minore resta, quindi, la stella polare dell'ordinamento, chiamata a guidare il giudice nell'adozione di qualsiasi provvedimento sulla prole e, in particolare, nella scelta tra le due forme di affidamento (cfr. Cass. civ., 17 settembre 2020, n. 19323 e Cass. civ., 8 aprile 2019, n. 9764) . Del pari essa incide anche sulla concreta regolamentazione, lasciata, in ogni caso, alla più ampia discrezionalità dell'organo giudicante, il quale determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore e fissa altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli.

Conclusioni. Nel caso di specie, gli Ermellini, in merito alla lamentela relativa alla scansione temporale dei termini di permanenza dei figli con ciascun genitore, hanno ribadito che la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice di merito. Quest'ultimo, infatti, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo interesse e alla sua crescita, dovrà tener conto del suo diritto a mantenere una piena relazione con entrambi i genitori e del loro corrispettivo ad una piena realizzazione del loro rapporto con i figli.

La decisione impugnata, quindi, è stata ritenuta conforme al consolidato orientamento della Suprema Corte, in quanto ha ricalibrato il diritto di visita del padre, ampliandolo; al contrario, la richiesta di collocazione alternata dei ragazzi, a detta degli Ermellini, non è risultata assistita dalla esplicazione del concreto interesse dei minori, ormai diventati grandi.

Pertanto, alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha rigettato il ricorso e il ricorrente è stato condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.

*di Francesca Ferrandi, Dottore di ricerca all'Università di Roma "Tor Vergata"

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