Professione e Mercato

Aggiungi un avvocato a tavola: i piatti gourmet cercano tutela

di Marta Casadei

Se nelle cucine casalinghe dove si preparano pranzi e cene delle festività di fine anno ci si confronta spesso sulle indicazioni originali dei grandi classici, quando si parla di piatti gourmet o perfino stellati ci sono pochi dubbi: ingredienti, grammature, preparazioni e cotture sono precisi e dettagliatissimi. Così come gli impiattamenti, che spesso connotano il piatto e lo rendono unico quanto la ricetta. Al punto che per questo tipo di prodotti, benché in casi ancora ridotti, si può anche ricorrere a tutele di carattere legale.

Complice l’interesse sempre maggiore che, negli ultimi anni, si è sviluppato per il mondo dell’alta cucina - cavalcando l’onda dei cooking show televisivi, ma anche la progressiva consacrazione degli chef superstar e dei loro piatti - gli studi legali italiani hanno, infatti, iniziato a muovere passi più decisi nel settore. A metà strada tra l’innovazione e l’arte.

Innovazioni brevettabili
Quando si pensa alla tutela delle innovazioni, la mente corre subito a uno strumento: il brevetto. Che in cucina si può applicare, ma solo in alcuni, specifici casi e a condizioni ben precise. Lo spiega l’avvocato Dante De Benedetti, socio fondatore dello studio Mdba, specializzato in food law: «La tutela dei processi alimentari riguarda sicuramente anche gli chef più innovativi, creatori di nuove tecniche e abbinamenti. Che possono pure essere brevettati».

È il caso della pizza al vapore di Massimiliano Alajmo, creata dopo quasi un decennio di ricerche e dal 2017 tutelata proprio da un brevetto: «La cottura al vapore di per sé non è una novità - spiega De Benedetti, che ha assistito gli Alajmo in quest’avventura - ma il processo messo a punto da loro ha un tale grado di innovazione che, appunto, si è riusciti a brevettarlo».

Piatti come opere d’arte
Un altro approccio alla tutela dei piatti stellati muove dal diritto d’autore. «Il piatto è tutelabile laddove può essere paragonato a un’opera delle arti figurative, della scultura o dell’architettura e/o del design e, quindi, godere della tutela prevista dalla legge sulla protezione del diritto d’autore all’articolo 2, commi 4 e 5, nonché comma 10 se oltre al carattere creativo si riscontra anche il valore artistico», spiega l’avvocato Marco Barbone che, insieme a Bruno Tassone, ha fondato uno studio specializzato in proprietà intellettuale.

Il parallelismo piatti-opere d’arte non è sempre scontato: «Per facilitare al massimo quest’operazione abbiamo voluto decontestualizzare il piatto, che viene percepito quasi come una cosa effimera, e abbiamo creato un vero e proprio “Chef Museum” virtuale nel quale le creazioni degli chef sono esposte come dipinti. Il contenuto artistico, in questo modo, emerge in modo chiaro», continua Barbone.

Il museo degli chef si può visitare online, sul sito Foodrights.it. Per ora, ad avere aderito sono 17 professionisti, quasi tutti italiani: «Non è facile far comprendere agli chef l’importanza di tutelare le loro creazioni, ma in futuro potrebbero beneficiare delle royalties se qualcuno, in qualsiasi Paese del mondo, utilizzasse o citasse il loro piatto. Quindi la tutela rappresenta un valore aggiunto anche economico».

Tra ostacoli e potenzialità
Il tema del valore economico non va sottovalutato, perché è un dei grandi ostacoli alla ricerca di una protezione da parte degli stessi chef: «Il piatto in sé e per sé ha un costo relativamente basso, per quanto possa essere stellato. È questo il motivo per cui gli chef, rispetto a un oggetto che rischia di essere copiato, non hanno lo stesso approccio alla tutela che può avere un’azienda del lusso, per la quale il prodotto da difendere porta milioni di euro di ricavi», spiega Mario Franzosi, socio fondatore di Avvocati Associati Franzosi Dal Negro Setti ed esperto di proprietà industriale e intellettuale.

Franzosi nel 2015 aveva affiancato Gualtiero Marchesi nel «Mock trial food and design», un “finto” processo allestito alla Triennale e ideato proprio per incrementare l’attenzione sulla tutela dei piatti dei grandi chef, contrapponendo Marchesi al suo allievo Guido Rossi, che nel suo ristorante proponeva un piatto simile al riso, oro e zafferano , dichiarando però l’ omaggio al suo maestro. L’avvocato ricorda anche l’origine del diritto applicato alle ricette: «Cinquecentosessant’anni prima di Cristo, la legge di Sibari concedeva il monopolio di un anno a chi avesse creato una specialità gastronomica nuova: la temporaneità serviva a stimolare la ricerca, che continua a essere un pilastro dell’alta cucina ».

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