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Alle lezioni on line durante la pandemia si applicano le norme sulla privacy a tutela degli insegnanti

La mancata previsione del consenso da parte dei dipendenti della scuola può giustificarsi con la necessità del servizio pubblico

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La diffusione in diretta, tramite videoconferenza, delle lezioni nel contesto della scuola pubblica rientra nell'ambito di applicazione del RGPD (Regolamento generale Ue sulla protezione dei dati). Lo chiarisce la Corte Ue con la sentenza sulla causa C-34/21 emessa a seguito del rinvio pregiudiziale tedesco.

La vicenda tedesca
Con due atti adottati nel 2020, il Ministro della Cultura del Land dell'Assia ha stabilito il quadro giuridico e organizzativo dell'insegnamento scolastico durante il periodo di pandemia di Covid-19, prevedendo, in particolare, la possibilità per gli alunni che non potevano essere presenti in classe di assistere in diretta alle lezioni tramite videoconferenza. Al fine di salvaguardare i diritti degli alunni in materia di protezione dei dati personali, è stato stabilito che la connessione al servizio di videoconferenza sarebbe stata autorizzata solo con il consenso degli alunni stessi o, nel caso dei minori, con quello dei loro genitori.

L'assenza del consenso degli insegnanti
Per contro, non è stato previsto che gli insegnanti interessati esprimessero il loro consenso alla partecipazione a tale servizio scolastico svolto on line invece che in presenza, come di norma.

Il ricorso
Lamentando il fatto che la diffusione in diretta delle lezioni tramite videoconferenza, così come disciplinata dalla normativa nazionale, non fosse subordinata alla condizione del consenso degli insegnanti interessati, il Consiglio principale di rappresentanza del personale docente presso il Ministero della Cultura ha presentato un ricorso contro il ministro incaricato di tali questioni. Quest'ultimo ha sostenuto che il trattamento dei dati personali costituito dalla diffusione in diretta delle lezioni tramite videoconferenza rientrava nell'ambito di applicazione della normativa nazionale, cosicché poteva essere effettuato senza che fosse richiesto il consenso degli insegnanti interessati.
Il giudice amministrativo adito ha esposto che, nell'intento del legislatore del Land dell'Assia, la normativa nazionale, sulla cui base è effettuato il trattamento dei dati personali degli insegnanti, rientra nella categoria delle «norme più specifiche» che gli Stati membri possono prevedere a norma dell'articolo 88, paragrafo 1, del regolamento generale sulla protezione dei dati per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà dei dipendenti riguardo al trattamento dei loro dati personali nell'ambito di rapporti di lavoro.
Il giudice tedesco ha nutrito dubbi quanto alla compatibilità di tale normativa con i requisiti di cui all'articolo 88, paragrafo 2, dello stesso RGPD .

La decisione
La Cgue ha affermato che una normativa nazionale non può costituire una «norma più specifica», ai sensi del paragrafo 1 dell'articolo 88 del RGPD, nel caso in cui essa non soddisfi le condizioni di cui al paragrafo 2 di tale articolo.
L'articolo 88, paragrafo 2, del RGPD, prevede che tali norme includano misure appropriate e specifiche a salvaguardia della dignità umana, degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli interessati, in particolare per quanto riguarda la trasparenza del trattamento, il trasferimento di dati personali e i sistemi di monitoraggio sul posto di lavoro.

Sul caso particolare, la Corte osserva che il trattamento dei dati personali degli insegnanti, in occasione della diffusione in diretta, tramite videoconferenza, delle lezioni da essi tenute nel contesto della scuola pubblica rientra nell'ambito di applicazione ratione materiae del RGPD. Ma le norme specifiche non possono limitarsi a ribadire le disposizioni del regolamento che prevedono le condizioni di liceità del trattamento dei dati personali nonché i principi del medesimo trattamento o a rinviare a tali condizioni e principi. Esse, al contrario, devono essere volte alla protezione dei diritti e delle libertà dei dipendenti per quanto riguarda il trattamento dei loro dati e contenere misure appropriate e specifiche a salvaguardia della dignità umana, degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli interessati.

Il caso dell'impiego pubblico
La Corte rileva che possono applicarsi a un trattamento di dati personali, come quello di cui trattasi, altre disposizioni del RGPD, in forza delle quali il trattamento di dati personali è lecito qualora esso sia necessario, rispettivamente, per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento o per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento. Quindi il giudice del rinvio deve constatare se le disposizioni nazionali relative al trattamento dei dati personali nell'ambito dei rapporti di lavoro rispettino o meno le condizioni e i limiti stabiliti dall'articolo 88, paragrafi 1 e 2, del RGPD e se costituiscano una base giuridica per il trattamento in base ad altro articolo del RGPD e se rispettino i requisiti previsti dal regolamento Ue. In caso affermativo, l'applicazione di tali disposizioni nazionali non deve essere esclusa.

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