Amministrativo

Ambiente: la vetustà dell'impianto di depurazione di per sé non giustifica superamento valori limite

La sentenza in esame affronta il tema delle esimenti idonee a superare la responsabilità conseguente a sanzioni amministrative per violazioni ambientali, chiarendo quali siano i presupposti dello stato di necessità.

di Amedeo Pisanti *

Tribunale di Cagliari, Sezione Civile, sentenza n. 1520 del 01/07/2020

(massima) Non risultano allegate e comunque provate specifiche ragioni tecniche e strutturali in virtù delle quali il gestore dello scarico in argomento sarebbe stato assolutamente impossibilitato a rispettare i limiti di accettabilità specificamente prescritti in sede di autorizzazione, ciò che esclude in radice la possibilità di imputare la condotta lesiva a stato di necessità ovvero ad obblighi di legge e di servizio, potendo le invocate scriminanti concretamente operare solo allorquando l'autore della condotta non si sia posto per suo fatto e colpa nella condizione di dover violare la norma precettiva oggetto di contestazione.

La sentenza in esame affronta il tema delle esimenti idonee a superare la responsabilità conseguente a sanzioni amministrative per violazioni ambientali, chiarendo quali siano i presupposti dello stato di necessità.

Il caso di specie riguarda sanzioni per violazione dei limiti di emissione di un impianto per il trattamento di acque reflue. Al gestore veniva contestato di aver violato, nei giorni in cui sono stati eseguiti controlli, i limiti allo scarico riferibili ad alcuni parametri riportati nella tabella 3, allegato 5, parte III del d.lgs. 152/2006.

Il gestore si difendeva contestando che l'impianto nel quale erano state rilevate le violazioni non era un impianto produttivo, la cui attività può essere sospesa ogni qualvolta si verifichi un problema tecnico (e fino alla risoluzione dello stesso) o una situazione esterna eccezionale, ma un impianto di depurazione a servizio di un abitato, al quale non poteva essere impedito di produrre reflui da trattare e che non poteva sospendere l'attività, perché ciò significherebbe scaricare un refluo completamente non trattato.

Inoltre, il gestore eccepiva di essersi visto affidare un impianto di vecchia concezione, per il quale erano in programma interventi di integrale rinnovamento ed adeguamento strutturale, perché realizzato quando non esistevano i limiti allo scarico introdotti dalla normativa sopravvenuta. Tale impianto, quindi, non sarebbe stato in grado di assorbire costantemente i flussi provenienti dall'abitato che erano soggetti a variazioni sia qualitative che quantitative.

Per tali ragioni l'opponente invocava l'esimente di cui all'art. 4 della l. 689/1981.

Il Tribunale di Cagliari riteneva infondata l'eccezione, perché l'esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante dallo stato di necessità, secondo la previsione dell'art. 4 della legge n. 689 del 1981, postula, in applicazione degli artt. 54 e 59 c.p., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l'erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, persuasione provocata da circostanze oggettive. Considerazioni analoghe valgono per l'adempimento del dovere di cui all'art. 51 c.p. (cfr. in tal senso anche Tribunale di Cagliari, sent. n. 623/2019, n. 2519/2020).

Nel caso di specie, tuttavia, secondo il giudice sardo, non ricorrano tali esimenti, atteso che il gestore si è limitato ad allegare la circostanza di fatto costituita dalla vetustà dell'impianto di depurazione (cfr. Cass. sent. n. 16155/2019; n. 20219/2018; n. 4834/2018), senza tuttavia aver dato prova di aver fatto tutto quanto sarebbe stato possibile, dal punto di vista tecnico, al fine di evitare il superamento dei valori limite (cfr. Cass. sent. n. 20121/2014).

Ne consegue che l'ipotesi di un impianto di depurazione "datato" o la pretesa differenziazione di responsabilità a seconda che si tratti di impianto produttivo o impianto pubblico non costituiscono causa di esimente.

A norma dell'art. 101 del d. lgs. n. 152/2006 «tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limiti previsti nell'Allegato 5 alla parte del presente decreto». Eventuali deroghe ai limiti di legge tutt'al più possono essere previste solo in sede di autorizzazione allo scarico.

A riprova poi della responsabilità del gestore, nel caso di specie, v'è la convenzione regolante i rapporti tra l'Autorità d'Ambito e il Gestore del Servizio Idrico Integrato ed il gestore medesimo. In tale convenzione non solo non sono previste esclusioni di responsabilità a favore del gestore, ma al contrario sono fissati dei precisi obblighi: infatti all'art. 6, comma 6, lett. d) si legge che «Nell'espletamento dei servizi affidati, il Gestore e obbligato comunque a rispettare degli standard minimi di qualità precisati nel Piano d'Ambito, in particolare (…) ad adottare, in materia di tutela dell'ambiente, le misure idonee a contenere, in conformità alla normativa vigente le emissioni e le immissioni inquinanti».

Altresì, la condotta tenuta non poteva essere ritenuta scriminata, perché non è neanche riconducibile all'adempimento di un dovere o addirittura ad uno stato di necessità inesistente.

Secondo il gestore l'ordinanza impugnata sarebbe illegittima, perché la violazione sarebbe imputata secondo una «sorta di responsabilità oggettiva».

Ma anche sotto tale profilo il Tribunale ha rigettato l'eccezione, in quanto l'illecito sanzionato concerne una contravvenzione, per la cui esenzione di responsabilità è necessario che il trasgressore provi di aver fatto tutto il possibile per osservare la legge e che, quindi, nessun rimprovero possa essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza (cfr. Tribunale di Cagliari, sent. n. 2519/2020).

Nel caso in questione, si rileva che sussiste la fattispecie tipica dell'illecito, non essendo stata fornita alcuna prova che osti alla sua configurazione o che provi l'assenza di colpevolezza del trasgressore. Si deve sottolineare che la norma di cui all'art. 3 l. n. 689/1981 postula una presunzione di colpa a carico dell'autore del fatto vietato, così come ritiene ormai un consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. sez. lav., 19242/2006; Cass. Civ. Sez. I, n. 11102/2006; Cass. Civ., sez. I, n. 15580/2006).

L'onere di dimostrare di aver agito senza colpa è posto a carico del trasgressore e non incombe sugli organi accertatori (cfr. Cass. Civ., sez. II, n. 11203/2008; Cass. Civ. , sez. II, n. 10841/2008), perché «il profilo soggettivo della colpa, anche nella forma della negligenza, va considerato non tanto nell'atteggiamento interiore del soggetto interessato, quanto nella predisposizione di misure positive tecniche, organizzative e di continuo controllo atte ad evitare un evento, che tocca la salute e l'ambiente, valori primari protetti dalla Costituzione" (cfr. Cass. Pen., Sez. III, Sentenza n. 2108 del 10.01.2000).

Nello stesso senso si sono espresse anche le sezioni civili della Corte di Cassazione, secondo le quali «solo il titolare dell'autorizzazione allo scarico e responsabile del superamento dei valori limite di emissione previsti per legge; solo su di lui grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi; ne deriva che egli e (l'unico) responsabile anche qualora il superamento dei predetti valori sia materialmente riconducibile a terzi cui egli abbia consentito l'utilizzo dello scarico.(…) La responsabilità per il superamento dei limiti di accettabilità di uno scarico - si ripete - e del titolare della relativa autorizzazione, a meno che egli ne dimostri la riconducibilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà. In altri termini, l'autorizzazione allo scarico non e un fatto meramente formale, che esonera da ogni responsabilità, ma al contrario responsabilizza il titolare, imponendogli una vigilanza e un controllo continui. (…). E' da tempo consolidato il principio secondo cui la L. n. 689 del 1981, art. 3, in base al quale in tema di sanzione amministrativa e richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di chi lo ha commesso, riservando a costui l'onere di provare di aver agito senza colpe» (cfr. Cass. sent. n. 10480/2006).

*a curadell'avv. Pisanti, Studio Legale Pisanti

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