Civile

Amministratore giudiziario liquidato con la tariffa in vigore a fine attività

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di Patrizia Maciocchi

La liquidazione del commercialista che ha fatto l’ amministratore giudiziario per più anni, va fatta in base alle tariffe professionali in vigore quando l’attività è terminata. La Corte di cassazione, con la sentenza 21592, applica, vista l’analogia della materia, anche ai dottori commercialisti i criteri previsti per gli avvocati. Per i giudici della seconda sezione civile, infatti, «anche la gestione di un bene da parte dell’amministratore giudiziario é configurabile come un’attività di carattere professionale». E, ai fini del compenso, va considerata non in modo frammentato ma complessivo «non diversamente da quella svolta in sede di difesa in giudizio da parte dell’avvocato».

I legali del resto - fa notare la Suprema corte - non a caso possono essere investiti della qualifica di amministratore giudiziario con i relativi compiti. Del principio affermato beneficia il ricorrente che aveva amministrato dei beni messi sotto sequestro dal 2009 al 2013, anno in cui l’incarico gli era stato revocato perché sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.

Il suo lavoro era stato liquidato con poco più di 110 mila euro, seguendo le tabelle del ’65 (legge 575, articolo 2-octies) in vigore prima dell’introduzione del Codice antimafia (Dlgs 159/2011). Circa 62 mila euro in meno del dovuto, secondo i conti fatti dal professionista, in base alle tabelle dettate con il Dm 140/2012.

Per il giusto compenso il commercialista aveva fatto ricorso: perdendo sia il primo sia il secondo grado del giudizio.

La Corte d’Appello, aveva ricordato che il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ha escluso (articolo 117) che le disposizioni sul compenso degli amministratori giudiziari si possa applicare ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della norma, sia già stata formulata, come avvenuto nel caso esaminato, la proposta di applicazione della misura di prevenzione. Indicazione che escludeva anche la possibilità di fare riferimento, a fronte di un incarico cessato nel 2013, alle tabelle previste dal Dlgs 14/2010, con il quale è stato istituito l’albo degli amministratori giudiziari, perché approvate solo con il Dpr 177/2015. Per la Corte territoriale, come per il Tribunale, il commercialista era stato correttamente liquidato con le “regole” del ’65. Una norma nella quale il legislatore, fa riferimento, tra altre valutazioni, sia alle tariffe sia agli usi, perché l’autorità giudiziaria ha la libertà di scegliere l’amministratore, anche al di fuori della rosa dei professionisti iscritti agli albi. I giudici di merito hanno commesso l’errore di non considerare che il ricorrente era un commercialista, e come tale aveva diritto alle tariffe professionali.

In più la Cassazione indica la via per individuare i giusti valori. Quando l’incarico copre un tempo nel quale si sono succeduti diversi “parametri” va utilizzato quello in vigore a incarico esaurito o concluso. Spetta poi al giudice scegliere tra un minimo e massimo il giusto compenso. Nel giudizio pesano, oltre al valore commerciale del beni amministrati: la qualità e la complessità dell’opera, la sollecitudine dimostrata e i risultati ottenuti.

Corte di cassazione – Sentenza 21952/2019

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