Amministrazione di sostegno, più difficile separare la società dal “patrimonio personale”
La Corte di cassazione, sentenza n. 3751 depositata oggi, ha accolto il ricorso del proprietario di una Srl messo da parte nella gestione societaria ma per il resto libero di disporre dei suoi averi
L’amministrazione di sostegno non può essere utilizzata per sottrarre alla gestione diretta dell’amministrato la società di cui detiene la maggioranza, lasciandolo poi libero di disporre del resto del suo patrimonio, anche per gli atti di straordinaria amministrazione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 3751 depositata oggi, accogliendo il ricorso del patron di una Srl che era stato estromesso, su iniziativa dei figli, dal ruolo di Presidente del consiglio di amministrazione e privato del diritto di voto.
Nel ricorso, il soggetto amministrato aveva tra l’altro affermato “non si comprende perché debba essere protetto il patrimonio della società” ma non quello “personale” del quale infatti conservava la “piena gestione ordinaria e straordinaria”. “Ne deriva – aggiungeva - che l’amministrazione di sostegno non era e non è necessaria potendo direttamente il ricorrente autodeterminarsi nominando suoi rappresentanti ed amministratori per la gestione delle questioni complesse societaria, che a ben vedere potrebbero essere svolte autonomamente dallo stesso”.
La Prima sezione civile, per prima cosa, ricorda che il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, nella parte in cui estende al beneficiario limitazioni previste per l’interdetto e l’inabilitato, “deve essere sorretto da una specifica motivazione che giustifichi la ragione per la quale si sia limitata la sfera di autodeterminazione del soggetto e della misura di tali limitazioni”. E che le decisioni che non rispettano i desiderata del beneficiario “devono fondarsi non solo sulla rigorosa valutazione che egli non sia capace di adeguatamente gestire i propri interessi e di assumere decisioni adeguatamente protettive, ma anche sulla valutazione della possibilità di ricorrere a strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità, in modo da proteggere gli interessi della persona senza mortificarla, preservandone la dignità”.
“A tali requisiti – prosegue la decisione - non risponde la motivazione della Corte d’appello, perché pur dando atto che la persona è stata ritenuta capace di gestire il proprio patrimonio personale, anche per gli atti di straordinaria amministrazione, non spiega per quale ragione si esclude la capacità di gestire le partecipazioni societarie che fanno parte pur sempre del patrimonio personale del soggetto e di esercitare il diritto di voto in assemblea”. “Né – argomenta ancora la Cassazione - la Corte distrettuale si sofferma sulla possibile adozione di strumenti alternativi, compatibili con la volontà espressa da un beneficiario, che viene però ritenuto sufficientemente lucido e consapevole per adottare ogni altra decisione riguardante il proprio patrimonio, e ciononostante totalmente escluso dalla gestione dei suoi interessi nella società”. “Ciò peraltro, come ben evidenzia il ricorrente – conclude sul punto -, determina una sovrapposizione di piani, nel senso che non si comprende se le decisioni sono state adottate nell’interesse del beneficiario o nell’interesse della società (come apprezzato e valutato dai giudici di merito) esulando così dai compiti propri del Giudice tutelare”.
L’art. 410 del c.c., nella parte in cui impone all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, anche il giudice tutelare, dimostra come, in ogni caso, l’opinione del beneficiario debba essere tenuta in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano.
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di Marco Marinaro - Docente di Giustizia sostenibile e ADR - Dipartimento di Giurisprudenza Università LuissGuido Carli - Roma