Civile

Anche se la presunzione di rinunzia riguarda le domande e le eccezioni non si estende anche alle istanze istruttorie

Lo ha sottolineato la sezione III della Cassazone con l'ordinanza n. 13182/2021

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di Mario Finocchiaro

Ancorché la presunzione di rinunzia prevista dall'articolo 346 Cpc riguardi le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie (attenendo l'articolo 346 Cpc alla delimitazione del thema decidendum in appello e non di quello probandum), ciò non significa, tuttavia, che le istanze istruttorie sono da considerare implicitamente richiamate con le domande e le eccezioni riproposte, dovendosi escludere che il giudice di appello - nel silenzio della parte - debba ricercare ex officio i mezzi istruttori proposti nel grado precedente, atteso che la stessa esigenza di specificità degli atti defensionali del grado di appello si appalesa incompatibile con l'idea che la sola proposizione della domanda o eccezioni assorbite in primo grado valga a trasferire al giudice l'onere di ricercare quali elementi, sia pure documentali, erano stati dedotti, in primo grado, a fondamento delle stesse. In particolare, quando si ripropone una eccezione, ai sensi dell'articolo 346 Cpc ed essa è fondata sul contenuto di documenti non solo è evidente che la attività di proposizione deve necessariamente evocare i documenti, argomentando sul loro contenuto, ma, trovando applicazione l'articolo 167 Cpc (nel regime ordinario, ex articolo 359 Cpc), che prescrive la indicazione dei documenti ed essendo la riproposizione da farsi dal convenuto in appello con la comparsa, la attività di indicazione dei documenti deve necessariamente estrinsecarsi con la comparsa e la produzione avvenire con essa, non essendo applicabile l'articolo 183 Cpc, nella parte in cui ammette le memorie con le deduzioni probatorie. Questo il principio espresso dalla Sezione III della cassazione con l' ordinanza 17 maggio 2021 n. 13182 .

I precedenti in Cassazione
Questione variamente risolta nella giurisprudenza di legittimità.
Nello stesso senso della pronunzia in rassegna, la presunzione di rinunzia prevista dall'articolo 346 Cpc riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall'articolo 359 Cpc, Cassazione 26 ottobre 2000, n. 14135, in Foro it., 2002, I, c. 227, con nota di Rascio N., Una (condivisibile) decisione circa la necessità di riproporre in appello le istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado (Sostanzialmente conformi, Cassazione, sentenze 23 marzo 2016, n. 5812; 25 novembre 2003, n. 17904; 4 aprile 2003, n. 5308; 25 novembre 2002, n. 16573).
Analogamente, in altre occasioni, si è precisato:
- in osservanza del principio di specificità dei motivi di appello, anche la riproposizione delle istanze istruttorie, non accolte dal giudice di primo grado, deve essere specifica, sicché è inammissibile il mero rinvio agli atti del giudizio di primo grado, Cassazione, sentenza 4 agosto 2016, n. 16290;
- l'appellante che intende ottenere il riesame delle istanze istruttorie non ammesse o non esaminate in primo grado ha l'onere, in ragione dell'effetto devolutivo dell'appello, di reiterarle nell'atto introduttivo del gravame ai sensi degli articoli 342 e 345 Cpc, ma non anche ai sensi dell'articolo 346 Cpc, che riguarda l'appellato vittorioso, il quale può solo riproporre le domande ed eccezioni che non sono state accolte in primo grado ovvero non esaminate perché ritenute assorbite, Cassazione, sentenza24 novembre 2015, n. 23978, in Famiglia e diritto, 2016, p. 755 (con nota di Russo D., Comodato di casa familiare, divieto di recesso ad nutum e rilevanza dell'elemento volitivo), che ha rigettato il motivo di appello, ritenendo inconferente il richiamo dell'appellante all'articolo 346 c.p.c. al fine di giustificare la mancata riproposizione delle istanze istruttorie).
In termini opposti, per l'affermazione, in particolare, che la presunzione di rinuncia delle domande ed eccezioni non accolte in primo grado e non riproposte espressamente nell'atto di appello, di cui all'articolo 346 Cpc non trova applicazione con riguardo alle istanze istruttorie, quando sia stata impugnata in toto la sentenza, pertanto, anche nel rito del lavoro, il lavoratore o l'assicurato, soccombente in primo grado, che impugna in toto la sentenza, insistendo per l'accoglimento delle domande proposte, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande che siano già state ritualmente proposte in primo grado, atteso che tale riproposizione è insita nella richiesta di accoglimento delle domande stesse, Cassazione, sentenza 28 agosto 2002, n. 12629.
Sempre in un'ottica parzialmente diversa - rispetto a quella che ispira la pronunzia in rassegna [con riguardo alla posizione dell'appellante] - per il rilievo che nel rito del lavoro, l'appellante che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per l'accoglimento delle domande, non ha l'onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quanto detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande, mentre la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non riproponendo alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l'istanza di ammissione della prova, Cassazione, ordinanza 3 maggio 2019, n. 11703; sentenze 11 febbraio 2011, n. 3376; 22 agosto 2003, n. 12366, in Corriere giuridico, 2004, p. 637, con nota di Negri M., Onere di riproposizione di "domande ed eccezioni non accolte" e riemersione in appello della prova contraria: una decisione discutibile; 23 marzo 1999, n. 2756, in RIv. infortuni sul lavoro, 1999, fasc. 3, II, p. 43.

Sui poteri del giudice dell'appello sulle prove
In termini generali, sui poteri del giudice di appello, quanto alle prove, si è precisato, tra l'altro:
- il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice, Cassazione, sentenze 27 aprile 2011, n. 9410, in Guida al diritto, 2011, fasc. 26, p. 61, con nota di Piselli M., La Corte privilegia l'interpretazione restrittiva a tutela di contraddittorio e giusto processo; 12 luglio 2011, n. 15300;
- la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio deve essere esteso anche all'ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall'asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione, Cassazione, sentenza 27 febbraio 2019, n. 5741, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da una parte rimasta contumace in un giudizio di rinvio con riferimento ai motivi concernenti la mancata ammissione delle istanze istruttorie avanzate da altro soggetto che aveva, invece, partecipato al giudizio in questione e non aveva più contestato l'ordinanza della corte di appello che le aveva respinte (Sempre nello stesso senso, la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello. Tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste - istruttorie e di merito - definitivamente proposte, Cassazione, ordinanza 3 agosto 2017, n. 19352; sentenza 4 agosto 2016, n. 16290);
- ai fini della decadenza dalle domande non riproposte in appello, ai sensi dell'articolo 346 Cpc, occorre distinguere tra i fatti costitutivi del diritto postulato con la domanda e i fatti dedotti quali fonti di prova dell'esistenza del diritto stesso: solo i fatti costitutivi del diritto, quando siano plurimi, debbono essere riproposti in appello dalla parte vittoriosa che li aveva dedotti, quando il giudice di primo grado abbia accolto la domanda sulla base di uno di essi, ritenendo assorbiti gli altri; i plurimi elementi di prova, quand'anche ritenuti in parte superflui dal giudice di primo grado, debbono invece essere valutati tutti dal giudice d'appello anche in mancanza di specifica deduzione dell'appellato, perché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, Cassazione, sentenza 12 settembre 2003, n. 13430, in Fallimento, 2004, p. 1104, con nota di Barbieri A., Elementi di prova della scientia decoctionis;
- l'interpretazione degli articoli 189, 345 e 346 Cpc, secondo cui l'istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli articoli 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, né con gli articoli 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130), né con gli articoli 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di difendersi provando, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell'istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato, Cassazione, ordinanza 5 febbraio 2019, n. 3229;
- qualora venga dedotto il vizio della sentenza di primo grado per avere il tribunale deciso la causa nel merito prima ancora che le parti avessero definito il thema decidendum e il thema probandum, l'appellante che faccia valere tale nullità - una volta escluso che la medesima comporti la rimessione della causa al primo giudice - non può limitarsi a dedurre tale violazione, ma deve specificare quale sarebbe stato il thema decidendum sul quale il giudice di primo grado si sarebbe dovuto pronunciare ove fosse stata consentita la richiesta appendice di cui all'articolo 183, comma 5, Cpc, e quali prove sarebbero state dedotte, poiché in questo caso il giudice d'appello è tenuto soltanto a rimettere le parti in termini per l'esercizio delle attività istruttorie non potute svolgere in primo grado, Cassazione, sentenza 31 ottobre 2014, n. 23162.

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