Civile

Assegnazione casa familiare, per stabilire il legame tra il minore e l'abitazione vanno considerati l'allontanamento e il tempo trascorso

Il concetto di casa familiare viene inteso quale luogo in cui si è svolta in modo stabile, duraturo e prevalente la vita familiare durante la convivenza, il luogo che ha costituito il centro di aggregazione e di unificazione

immagine non disponibile

di Valeria Cianciolo

In tema di assegnazione della casa familiare, per stabilire il legame tra il minore e l'abitazione deve considerarsi l'allontanamento e il tempo trascorso. Lo ha stabilito la Cassazione con l'ordinanza 13 ottobre 2021 n. 27907.

Il caso
Il Tribunale provvedendo sul ricorso per l'affidamento e il mantenimento dei figli disponeva l'affidamento dei tre figli minori della coppia ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre e stabiliva, inoltre, l'assegnazione della casa familiare alla madre, comprendendo in essa sia l'unità immobiliare abitata dalla famiglia sia quella finitima. La Corte di appello, a seguito del reclamo proposto dal marito, prendeva in esame il certificato di residenza della donna e il certificato storico di residenza e attribuiva valore decisivo, alla relazione dell'assistente sociale, secondo cui la moglie e i figli utilizzavano tutto l'immobile. Sulla base di simili risultanze i giudici distrettuali ritenevano che "l'intero fabbricato costituisse casa familiare" e che come tale fosse ancora utilizzato dall'ex moglie e dai bambini, pertanto, l'immobile, nella sua interezza, doveva essere a lei assegnato, "al fine di consentire ai minori di non subire l'ulteriore trauma rappresentato dall'allontanamento dalla casa familiare".

La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso presentato dal marito, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata. Gli Ermellini richiamano l'art. 337-sexies cod. civ., che nello stabilire che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli, non qualifica quali siano i requisiti di questa destinazione, risultando così difficile la qualificazione giuridica di un immobile come abitazione familiare in tutte le ipotesi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente al conflitto giudiziale sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dello stesso come abitazione del nucleo familiare, composto da genitori e figli minori. A tal fine occorre verificare - avendo riguardo alla destinazione impressa non solo in astratto ma anche in concreto, attraverso la convivenza - se, prima del conflitto familiare, vi fosse una stabile e continuativa utilizzazione dell'abitazione da parte del nucleo costituito da genitori e figli e sia così possibile ritenere che l'unità abitativa costituisse a quell'epoca il centro di aggregazione della famiglia, cioè il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola il nucleo familiare".

La casa familiare
Prima dell'entrata in vigore della legge 19 marzo 1975, n. 151, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza, la casa familiare doveva essere assegnata sulla base della titolarità dei diritti reali o personali di godimento spettanti all'uno o all'altro coniuge, con la conseguenza che non era possibile assegnare la casa al coniuge che non ne fosse proprietario o locatario (Cass. 20 gennaio 1964, n. 122, in Foro it., 1964, I, 421; Cass. 7 aprile 1975, n. 1239, in Giust. civ. Rep. 1975, voce Matrimonio, 109). Con l'introduzione dell'art. 155 - quater, ora abrogato e i cui contenuti in parte trasfusi, immutati, nell'art. 337 - sexies cod. civ.), ai sensi dell'art. 6, 6 co., L. 1 dicembre 1970, n. 898, la casa familiare era assegnata dal giudice anche al genitore che di essa non fosse proprietario, né avesse alcun diritto di godimento, reale o personale. L'art. 155-quater cod. civ., introdotto dall'art. 1, comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54, esordiva con l'affermazione secondo la quale «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli». La norma stabiliva poi che «dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà», disponendo anche che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio». I contenuti della norma sono stati in parte trasfusi, immutati, nell'art. 337 sexies cod. civ.: "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio": in tal modo, il legislatore ha voluto garantire alla prole una continuità abitativa in una fase di incerto equilibrio familiare, al fine di smorzare gli effetti che la dissoluzione dell'unità della famiglia comporta. In tale contesto, la casa familiare rappresenta un punto di riferimento per la prole, poiché al trasferimento da un'abitazione, infatti, potrebbe seguire il cambio della scuola, delle amicizie e delle proprie frequentazioni.

Il concetto di casa familiare, in difetto di una definizione normativa, viene intesa quale luogo in cui si è svolta in modo stabile, duraturo e prevalente la vita familiare durante la convivenza, il luogo che ha costituito il centro di aggregazione e di unificazione della vita familiare ovvero "il luogo degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia durante la convivenza dei suoi membri". Quanto alla natura di detto diritto, il vecchio testo dell'art. 155, co. 4, cod. civ. aveva dato luogo a qualche incertezza. In esso, infatti, si faceva espressamente riferimento alla "abitazione" e ciò poteva apparire come un riferimento testuale al diritto contemplato all'art. 1022 cod. civ. Il nuovo testo dell'art. 337-sexies cod. civ. (che ricalca esattamente quanto era già stato previsto nel 2006 con l'introduzione dell'art. 155-quater cod. civ.) elimina qualsiasi dubbio in quanto la norma si riferisce adesso al "godimento" della casa familiare, avvalorando la conclusione cui peraltro, la giurisprudenza di legittimità era già pervenuta prima dell'introduzione della legge sull'affidamento condiviso n. 54/2006 (Cass. Civ., Civ, 19 settembre 2005, n. 18476, in Arch. loc., 2006, p. 32), secondo cui il diritto spettante all'assegnatario è un diritto personale di godimento. L'affermazione della natura personale (e non reale) del diritto conseguente all'assegnazione comporta relativamente all'onere del pagamento delle imposte conseguenti alla proprietà dell'immobile che la soggettività passiva ai fini dell'imposta comunale sugli immobili resta a carico del proprietario (Cass. Civ., Civ, 10 febbraio 2016, n. 2675, in Leggi D'Italia).
Per quel concerne i limiti al potere del giudice, questi, durante il giudizio di separazione o divorzio e con la sentenza che lo definisce, ha solamente il potere - se ve ne siano i presupposti - di assegnare all'uno o all'altro coniuge la casa familiare, con gli effetti di natura obbligatoria sopra menzionati. Può assegnare a un coniuge anche solo una porzione dell'immobile se questo sia già diviso in due unità indipendenti oppure se le caratteristiche strutturali dell'immobile permettono una fattibile e completa divisione (Cass. Civ., 8 giugno 2016, n. 11783, in Leggi D'Italia; Cass. Civ., 12 novembre 2014, n. 24156, in Fam. e dir., 2015, 12, p. 1086; Cass. Civ., 11 aprile 2014, n. 8580, in Leggi d'Italia). La ratio di tale decisione è quella di tutelare e, al contempo, di agevolare l'effettiva condivisione della responsabilità genitoriale. Ovviamente, la possibilità dell'assegnazione parziale della casa familiare deve essere esclusa quando tale soluzione non corrisponda all'interesse dei minori.
Il giudice non può, invece, attribuire la proprietà della casa o un altro diritto reale all'uno o all'altro dei coniugi come pure, non può prevedere un uso turnario dell'abitazione (con alternanza dei genitori nella casa familiare secondo una certa periodicità mentre i figli permangono stabilmente nella casa familiare) oppure assegnare l'immobile ad entrambi i coniugi, disciplinandone l'utilizzo con riferimento ad alcuni locali di uso esclusivo e alcuni di uso comune. La ragione di tale esclusione consiste nel fatto che simili soluzioni presuppongono un elevato livello di collaborazione genitoriale, che non è certo di facile attuazione nelle situazioni in cui il rapporto coniugale si trova nella sua fase patologica. Più ampio è il potere delle parti che raggiungono un accordo per una separazione consensuale o per un divorzio su domanda congiunti: nell'ambito di una separazione consensuale o di un divorzio congiunto, i coniugi possono prevedere il trasferimento della proprietà della casa coniugale dall'uno all'altro oppure dai genitori, o da uno di essi, ai figli. I coniugi possono anche prevedere la costituzione di un diritto reale di usufrutto o di abitazione sulla casa coniugale a favore di un coniuge (cfr. Cass. Civ., 12 aprile 2006, n. 8516, in Foro it., 2006, 10, 1, p. 2756).
Si tenga presente che agli accordi poc'anzi menzionati e raggiunti tra le parti per regolare i loro rapporti patrimoniali al momento della separazione o del divorzio si applicano le agevolazioni fiscali di cui all'art. 19, L. 06/03/1987, n. 74. Sulla base di tale norma "tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio […] sono esenti dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa".
I presupposti per l'assegnazione della casa familiare sono: presenza di figli; convivenza dei figli; non autosufficienza dei figli. 'art. 337-sexies cod. civ. prevede, inoltre, che l'assegnazione sia revocata nel caso in cui:
a. l'assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa;
b. nel caso in cui conviva stabilmente more uxorio;c. nel caso contragga un nuovo matrimonio.
Con riferimento a queste ultime due ipotesi (instaurazione convivenza di fatto, nuovo matrimonio), la giurisprudenza di legittimità ritiene che il diritto all'assegnazione della casa coniugale non viene automaticamente meno, dovendosi necessariamente subordinare la decadenza del diritto all'interesse del minore.

L'ordinanza 27907
Nel caso posto all'attenzione dell'ordinanza 27907/2021, la Cassazione ha rilevato che la Corte di merito, avrebbe dovuto verificare, al fine dell'assegnazione della casa coniugale e avendo riguardo alla situazione esistente al momento dell'interruzione della convivenza fra i genitori, se il nucleo costituito da genitori e figli avesse usufruito di una o entrambe le abitazioni in modo stabile e continuativa.Occorreva poi stabilire se i minori se ne fossero allontanati e se la durata di un eventuale allontanamento avesse pregiudicato lo stabile legame fra i medesimi e l'immobile già adibito a casa familiare. Le prove testimoniali presentate dalla difesa del marito avanti al Tribunale – si ricordi che è il genitore che chiede la revoca dell'assegnazione che deve fornire la prova che di questa sono venuti meno i presupposti - avrebbero avuto un valore risolutivo, essendo volte ad accertare l'assenza all'interno delle due unità immobiliari, della moglie e dei figli minori per lungo lasso di tempo superiore ai cinque anni. La Corte territoriale ha considerato solo decisiva la relazione dell'assistente sociale, secondo cui la donna e i figli utilizzavano tutto l'immobile.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©