Amministrativo

Assegnazione temporanea per tre anni non va limitata al primo figlio e il diniego eventuale va motivato

L'aver già fruito di un intero triennio non impedisce la domanda per i nuovi nati a meno di imprescindibili motivi organizzativi

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di Paola Rossi

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7725/2023, ha ritenuto applicabile l'isituto dell'assegnazione temporanea ad altra sede del dipendente che abbia già fruito per l'intero periodo di tre anni del distacco dalla sede assegnata al fine di consentire la partecipazione alle attività di cura dei figli garantendo il pieno esercizio della paternità anche al fine di non lasciare sulle spalle di uno solo dei genitori - di solito la madre -l'intero onere connesso alla genitorialità.

Nel caso concreto il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar che aveva annullato il diniego dell'amministrazione opposto alla domanda di fruizione di un ulteriore triennio di assegnazione provvisoria ad altra sede domandato da un appartenente alle forze della Polizia di Stato. La domanda veniva rinnovata a seguito della nascita di un secondo figlio.

La disiciplina applicabile - l'articolo 42-bis del Dlgs 151/2001 - individua in tre anni il termine massimo di durata dell'assegnazione temporanea per avvicinarsi alla sede di lavoro dell'altro genitore. Ma la norma va interpretato nel senso che l'assegnazione possa essere estesa anche ai figli successivi al primo .

La decisione sul caso concreto
Nel caso risolto, un agente della Polizia di Stato aveva chiesto la conferma dell'assegnazione provvisoria, di cui già fruiva nella qualità di genitore di un figlio minore di anni tre, ad un determinato commissariato, per la cura del figlio secondogenito. L'amministrazione aveva respinto l'istanza, perché il ricorrente aveva già fruito per il primo figlio dell'intero periodo massimo concedibile consentito dalla normativa (tre anni).Il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso, annullando il diniego, e l'amministrazione aveva proposto appello al Consiglio di Stato.
La II sezione, condividendo l'assunto del giudice di primo grado, ha ritenuto che ragioni di interpretazione sistematica, in chiave costituzionalmente e eurounitariamente orientata, impongono l'applicazione della norma anche ai figli successivi al primo.

Il fine della norma
La garanzia di parità nell'accudimento dei figli, evitando che esso "gravi" (tale divenendo a quel punto l'espressione più consona) esclusivamente su quello tra i genitori che ha la possibilità "fisica" di prendersene cura - in linea di massima e per connaturale impostazione del sistema, la donna - non può trovare effettiva esplicazione se il nucleo familiare è diviso e distante per esigenze lavorative dei genitori: e ciò a valere per tutti i figli e non solo per il primogenito ovvero per quello in funzione del quale sia stato già utilizzato l'istituto de quo. La creazione di una dimensione familiare equilibrata e ispirata all'eguaglianza di genere in senso sostanziale, superando il modello del cosiddetto "male breadwinner", oramai inadeguato anche sotto il profilo economico, costituisce infatti un modo per garantireanche indirettamente maggiori probabilità per la madre di accedere o conservare il lavoro extradomestico. Da qui la necessità, anche sotto tale profilo, di non limitare ad un solo figlio ogni misura che consenta il possibile affiancamento alla stessa del padre del minore.Beninteso, la domanda dovrà pur sempre essere vagliata alla luce delle ragioni eccezionali che ne giustificano il diniego, ovvero delle motivazioni organizzative o di servizio, che ben potrebbero essere mutate rispetto al momento dell'istruttoria della richiesta originaria, proprio in ragione, ad esempio, di carenze sopravvenute di organico astrattamente riconducibili alla concessa fruizione del medesimo beneficio normativo. Trattasi tuttavia di valutazioni rimesse alla concretezza dell'istruttoria del caso singolo, meglio ancora se in applicazione di criteri generali predeterminati che consentano di individuare a priori le modalità di scrutinio della eventuale pluralità di domande contestualmente pervenute, ovvero connotate da elementi oggettivi di diversificazione che l'amministrazione intenda preventivamente valorizzare. Finanche la probabile difficoltà di motivare con esigenze di servizio un diniego a un dipendente già fuori sede in assegnazione provvisoria per un altro figlio, potrebbe essere superata dalle sopravvenienze, come accade ad esempio laddove sia venuto meno medio tempore il dipendente che ha sopperito alle sue specificità professionali.

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