Assicurazione sulla vita, alle S.U. la clausola di proroga di giurisdizione
La Cassazione, ordinanza n. 27927/2024, ha rinviato anche la definizione del criterio in base al quale distinguere se una questione debba o meno essere decisa con efficacia di giudicato
Affrontando una controversia tra gli eredi di un uomo deceduto dopo aver stipulato, con una società svizzera, otto contratti di assicurazione sulla vita delle nipoti, contratti tutti contenenti una clausola di attribuzione della giurisdizione al giudice straniero, la Terza Sezione civile (ordinanza n. 27927/2024) ha disposto la trasmissione del ricorso alle Sezioni Unite per individuare il giudice competente. La Corte ha anche ravvisato una seconda questione, di particolare importanza e non sempre decisa in modo uniforme, che è quella relativa alla «definizione dell’esatto criterio in base al quale distinguere se una questione sollevata dalle parti debba o non debba essere decisa con efficacia di giudicato», con particolare riferimento all’individuazione di sicuri criteri di distinzione tra la “pregiudizialità logica” e la “pregiudizialità tecnica”.
La Corte d’appello di Torino, tra l’altro, aveva stabilito che la giurisdizione spettava al giudice italiano, perché aveva ad oggetto una successione aperta in Italia; e che il beneficiario dell’assicurazione fosse lo stesso contraente, in quanto mancava l’indicazione di un beneficiario, né vi erano prove che consentivano di stabilire che fossero stati stipulati per atto di liberalità verso le due nipoti. Contro questa decisione le nipoti hanno proposto ricorso.
Per stabilire se la Corte d’appello di Torino abbia travalicato i limiti della giurisdizione, osserva la Cassazione, occorrerebbe decidere se la questione concernente l’interpretazione del contratto di assicurazione sulla vita poteva essere decisa incidenter tantum, oppure era una questione da risolvere con efficacia di giudicato. In questo secondo caso non si sarebbe potuta decidere senza la partecipazione al giudizio del debitore (la Swiss Life S.A.). Tuttavia, si osserva, la partecipazione al giudizio del debitore sarebbe stata impedita dalla clausola di proroga della giurisdizione contenuta nel contratto di assicurazione.
La giurisprudenza di Cassazione, prosegue la decisione, distingue due tipi di questioni pregiudiziali: a) la questione pregiudiziale in senso logico (o punto pregiudiziale), consistente in circostanze che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedotto in causa (ad es., per stabilire se è fondata la domanda di risoluzione bisogna stabilire se esiste un contratto valido ed efficace); b) la questione pregiudiziale in senso tecnico, la quale consiste in circostanze distinte ed indipendenti dal fatto costitutivo; ne costituisce un presupposto giuridico; può dar luogo ad un giudizio autonomo.
Elementi che sono stati definiti una volta per tutte nella decisione a S.U. n. 2619 del 1975. Tuttavia, osserva la Corte, tale definizione a causa della sua “evidente latitudine si è rivelata inadeguata sul piano pratico e fonte di incertezze”. Si tratta infatti di requisiti che sono stati interpretati in modo “ondivago e incostante” e questo, osserva la Corte, a causa proprio della “inaffidabilità dei tralatizi criteri di distinzione tra pregiudiziale logica e pregiudiziale tecnica”.
Del resto, aggiunge, sul piano teorico, è arduo spiegare come una questione possa, nello stesso tempo, essere “indipendente” dal fatto costitutivo della domanda ma costituirne un “presupposto giuridico”. Così come, analogamente, è arduo comprendere quali mai potranno essere, in un sistema processuale che ammette l’azione di accertamento, questioni “inidonee a dar luogo ad un autonomo giudizio”. Sul piano pratico, poi, tali criteri, “lungi dal costituire un criterio distintivo sicuro, hanno rappresentato nei fatti un argine rotto al torrente delle opinioni ed un volano di contrasti”.
Infine, prosegue la Cassazione, tali criteri distintivi sono di dubbia compatibilità sia col principio per cui la legge processuale “deve essere accessibile ai giustiziabili e da loro prevedibile quanto agli effetti” (Corte EDU, in causa n. 25358/12); sia col principio per il quale gli “organi nazionali” dovrebbero “avere orientamenti stabili” (Corte giust. UE, causa C-63/93).
Per tutte queste ragioni la questione è stata rimesse alle Sezioni unite.