Atto impositivo con la pretesa impugnabile nel merito
La Corte di cassazione, con l’ordinanza 37401 depositata il 21 dicembre, offre lo spunto per qualche riflessione sulla definizione delle liti in via di approvazione nella legge di Bilancio
Per atto impositivo si intende il primo provvedimento che comunica la pretesa al contribuente e come tale impugnabile anche per motivi di merito. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 37401 depositata il 21 dicembre che offre lo spunto per qualche riflessione sulla definizione delle liti in via di approvazione nella legge di Bilancio.
La decisione riguardava la sanatoria delle controversie pendenti disciplinata dall’articolo 6 del Dl 119/2018, la quale espressamente prevedeva la definizione dei soli «atti impositivi». La Suprema Corte, richiamando la pronuncia a Sezioni unite (18298/2021) ha innanzitutto evidenziato che l’atto impositivo è quello che impone per la prima volta al contribuente una prestazione determinata nell’an e nel quantum.
In termini più concreti, si tratta di un provvedimento che, a prescindere dal nome, è volto a richiedere una pretesa fiscale maggiore di quella già applicata dal contribuente. Da tali presupposti quindi è stata confermata la “natura” di atto impositivo della cartella di pagamento emessa in sede di controllo automatizzato, così come dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, poiché entrambi sono atti con i quali l’Ufficio per la prima volta avanza la propria richiesta.
Ad analoghe conclusioni era già giunta anche l’Agenzia delle entrate che con la circolare 6/2019, interpretava delle sanatorie introdotte nel 2018.
La Cassazione, nella vicenda esaminata nella pronuncia di ieri, ha escluso che la controversia fosse definibile. Si trattava, infatti, di una cartella di pagamento conseguente ad un precedente atto già notificato e pertanto di un provvedimento di mera riscossione.
La vicenda offre lo spunto per una riflessione sulla discrepanza che pare sussistere ad oggi tra la norma in via di approvazione e la relativa relazione illustrativa. Più precisamente, l’articolo 42 del DDL, nel disciplinare la definizione delle controversie tributarie, non fa alcun richiamo all’oggetto della lite, quindi alla necessità che si trattino di atti impositivi. Sembrerebbero così definibili tutti i provvedimenti impugnati a prescindere si tratti di atto impositivo o riscossivo.
La relazione illustrativa al DDL, invece, evidenzia che vi rientrano le controversie tributarie pendenti “aventi ad oggetto atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione)”.
Si tratta ora di comprendere se, come pare più verosimile, è un mero errore di stesura della relazione ovvero il legislatore voglia effettivamente circoscrivere la portata della sanatoria. In quest’ultima ipotesi sarebbe veramente singolare perché il testo normativo, a differenza di quanto accaduto nel 2018, non prevede espressamente questa limitazione.