Amministrativo

Avvocati: Equo compenso, Pa libera di selezionare offerte sotto soglia

Lo ha stabilito IL Tar Lombardia, sen. n. 1071 72021, secondo cui l'amministrazione non ha imposto al professionista alcun compenso per la prestazione dei servizi legali

di Francesco Machina Grifeo

Pubbliche amministrazioni libere di non applicare il principio dell'"equo compenso" nei confronti degli avvocati qualora, per l'affidamento del patrocinio legale, venga utilizzata una "procedura comparativa". È questa la conclusione a cui è arrivato il Tar Lombardia, sentenza n. 1071 del 29 aprile scorso, che sta facendo molto discutere.

"La disciplina dell'equo compenso – si legge nella decisione - non trova applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell'amministrazione secondo i principi dell'evidenza pubblica, ove l'amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare".

Dunque, argomenta il Collegio, la tesi del ricorrente, per cui le pubbliche amministrazioni sarebbero tenute "sempre e comunque a corrispondere al professionista incaricato di un servizio legale un compenso non inferiore al minimo dei parametri stabiliti dal decreto ministeriale, anche ove il compenso non sia imposto unilateralmente o non si ravvisi un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, non può dunque essere accolta".

Per l'Aiga: "l'equo compenso da solo è insufficiente a garantire la dignità e il decoro della categoria". "È giunto il momento per l'avvocatura di avere il coraggio di riaffermare il diritto a compensi minimi inderogabili", afferma Mike Lubrano. "Nei prossimi giorni – annuncia poi il Presidente De Angelis - presenteremo un proposta di legge, che costituisce la sintesi delle proposte già incardinate in Parlamento in materia, e che prevede espressamente sanzioni deontologiche in caso di inosservanza delle disposizioni previste".

Il caso – Il comune di Cernusco sul naviglio (Mi) chiamato a difendersi davanti al Tar a seguito del ricorso proposto da una cooperativa per l'annullamento di una delibera dirigenziale per l'affidamento del servizio sociale distrettuale integrato, ha avviato una procedura comparativa rivolta a cinque professionisti, individuati tra quelli di comprovata esperienza nella materia del diritto amministrativo, chiedendo la presentazione di un preventivo dei costi per l'espletamento dell'incarico, previo invio di copia del ricorso e delle informazioni relative al valore dell'appalto . Arrivati quattro preventivi su cinque, il comune ha conferito l'incarico all'avvocato che aveva presentato la parcella più conveniente, 4.544,80 euro (Iva esclusa). Contro questa decisione ha proposto ricorso il terzo classificato (preventivo di 7.882,16) sostenendo la violazione dell'equo compenso anche considerato che il preventivo era inferiore anche ai parametri minimi stabiliti nel Dm Giustizia 55/2014, n. 55.

La motivazione - Dopo un'analisi della normativa applicabile, il Tar afferma che l'equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente "in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte". Dunque, "in quanto eccezione al principio pro-concorrenziale della libera pattuizione del compenso spettante al professionista (art. 13, co. 3, L. 247/2012), soggiace a precisi limiti soggettivi, ovvero l'appartenenza del cliente alle categorie delle imprese bancarie, assicurative o di grandi dimensioni o la sua qualificazione come pubblica amministrazione, ed oggettivi, quali la predisposizione unilaterale delle clausole convenzionali da parte del cliente forte, senza che al professionista sia rimessa la possibilità di incidere sul loro contenuto". Non si applica dunque nel caso di trattativa tra le parti o, nelle selezioni secondo i principi dell'evidenza pubblica, in quanto in questi casi l'amministrazione non impone un compenso al professionista.

Tornando al caso specifico, prosegue la decisione, il comune ha chiesto ai professionisti di formulare un'offerta economica per una prestazione professionale il cui oggetto è stato "dettagliatamente individuato mediante l'invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, creando in tal modo un confronto concorrenziale finalizzato all'individuazione del compenso professionale". "I concorrenti – prosegue il Tar - sono stati pertanto posti nella condizione di calcolare liberamente, secondo le dettagliate informazioni fornite dall'Amministrazione, la convenienza economica del compenso in relazione all'entità della prestazione professionale richiesta, senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte del cliente".

Diverso è il caso, ricorda il Tar, affrontato con l'ordinanza cautelare del 20 dicembre 2019, n. 1720 (e con la successiva sentenza del 17 giugno 2020, n. 1084), dove invece il Tribunale ha affermato la violazione del principio dell'equo compenso in una fattispecie in cui, nella lex specialis di una procedura per l'affidamento di servizi legali, un comune aveva imposto ai concorrenti un corrispettivo fisso indipendentemente dal numero dei contenziosi oggetto dell'incarico professionale.

Né si corre il rischio di abbassare il livello delle prestazioni. Infatti, argomenta ancora la sentenza: "Il pregnante dovere di diligenza richiesto dall'articolo 1176, comma 2, del codice civile nell'espletamento dell'incarico professionale, il quale grava sull'avvocato munito di mandato difensivo a prescindere dall'entità del compenso e persino in caso di incarico gratuito, elimina inoltre in radice i dubbi che la qualità della prestazione professionale possa essere condizionata dall'entità del compenso offerto, a differenza che per l'affidamento dei servizi legali continuativi e complessi, nei quali è richiesta una specifica organizzazione e l'assunzione del rischio economico dell'esecuzione da parte del professionista".

Del resto, "la disciplina dell'equo compenso è rivolta a tutelare la posizione del professionista debole e non l'indipendenza, la dignità e il decoro della categoria professionale, la quale si realizza attraverso il rispetto dei precetti contenuti nel codice deontologico, che impongono al professionista di non offrire la propria prestazione in cambio di compensi lesivi della dignità e del decoro professionale, nel rispetto dei principi della corretta e leale concorrenza (articolo 9, comma 1, del Codice deontologico forense) e dei doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le Istituzioni forensi (articolo 19 del codice deontologico forense)".

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