Lavoro

Avvocati, per l'illecito deontologico "permanente" prescrizione dalla decisione disciplinare di primo grado

Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 23239 depositata il 26 luglio

L'avvocato che non restituisce al cliente le somme presso di lui fiduciariamente depositate commette un illecito permanente. Per cui il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il professionista, sollecitato alla restituzione, neghi il diritto del cliente sulla somma affermando il proprio diritto di trattenerla oppure neghi di averla ricevuta. Vi è tuttavia anche un limite "alternativo" alla "permanenza" dell'illecito disciplinare, un momento dal quale cioè la prescrizione inizia comunque a decorrere, perché altrimenti ne deriverebbe "una - irragionevole, non prevista dalla legge - imprescrittibilità dell'illecito stesso"; e tale momento (in analogia a quanto previsto dalla giurisprudenza penale di legittimità n. 32220/2015) deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo grado.

Lo hanno chiarito le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 23239 depositata oggi, con la quale hanno respinto il ricorso di un legale confermando la decisione del Consiglio Nazionale Forense che a sua volta aveva confermato la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina del 2018 che lo aveva sanzionato con la sospensione per tre anni dall'esercizio della professione forense.

Per il Cnf dovevano considerarsi accertati i fatti contestati all'incolpato. In particolare: l'appropriazione indebita di somme presso di lui fiduciariamente depositate da una società francese alla quale – tramite false informazioni pubblicate su internet – il professionista aveva fatto intravedere la concessione di un mutuo.

Il legale ha proposto ricorso contro la sanzione disciplinare sostenendo la prescrizione. Per le SU va accertato se l'illecito abbia carattere "istantaneo ovvero permanente", partendo dalla considerazione che le fattispecie contestate hanno "natura disciplinare , non penale, ancorchè in parte sussumibili in norme incriminatrici penali". Ora, siccome tali condotte si inseriscono all'interno di un rapporto contrattuale professionale, soggetto alle norme di deontologia forense, ne va affermata la "natura permanente", non potendosi "evocare sic et simpliciter le ben note categorie penalistiche inerenti le fattispecie delittuose ‘parallele' (truffa/appropriazione indebita), che sicuramente integrano reati istantanei, non permanenti".

Il principale illecito disciplinare contestato, infatti, consiste nell'impossessamento/trattenimento della somma che l'avvocato ha ricevuto dal cliente francese. Tale condotta, prosegue il ragionamento, non si esaurisce nella semplice percezione della somma, ma ricomprende il comportamento, protrattosi nel tempo, "consistente nell'avere l'avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente riconsegnato al cliente".

L'avvocato ha così violato l'articolo 41 del Codice deontologico forense che fra l'altro afferma: "Costituisce infrazione disciplinare trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto della parte assistita", così determinando un "vulnus gravissimo al rapporto fiduciario, certamente permanente per tutta la sua durata, ma anche oltre". Del resto è altresì pacifico che tali somme non sono mai state restituite.

Vale dunque la regola per cui: «La condotta del legale che omette di restituire al cliente la somma versatagli in deposito fiduciario configura un illecito permanente, in relazione al quale il momento in cui cessa la permanenza coincide con quello dell'indebita appropriazione e cioè con il momento in cui il professionista, sollecitato alla restituzione, nega il diritto del cliente sulla somma affermando il proprio diritto di trattenerla, a cui è equiparabile la negazione di averla ricevuta, sicché è da tale momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione dell'illecito, in applicazione analogica dell'art. 158 c.p.».

In alternativa, conclude la Corte, il dies a quo per far decorrere la prescrizione decorre dalla decisione disciplinare di primo grado, e cioè dal Consiglio Distrettuale di Disciplina dell'11 maggio 2018. "È dunque evidente che tuttora non è spirato il termine prescrizionale massimo previsto dall'art. 56, comma 3, legge 247/2012".

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©