Avvocati, obbligo di forma scritta per la determinazione del compenso
Lo ribadisce la Cassazione, ordinanza n. 16383 depositata oggi, che ha respinto il ricorso di un legale
La Cassazione torna sul tema dell'obbligo della forma scritta per la pattuizione del compenso dell'avvocato. La Seconda sezione civile, ordinanza n. 16383 depositata oggi, ha così respinto il ricorso di un legale contro la decisione del Tribunale di Roma secondo cui, in assenza di un accordo vincolante (tra l'avvocato e il condominio assistito), andava applicato il terzo comma dell'art. 2233 cod. civ che ha imposto a pena di nullità la forma scritta per l'accordo di determinazione del compenso professionale con il cliente.
Secondo il ricorrente, invece, il giudice di appello, sostenendo che, in assenza di prova dell'accordo scritto, dovesse essere applicata la tariffa forense (di cui al d.m. 124 del 2004), non avrebbe considerato che l'opponente Condominio non aveva mai contestato l'esistenza di questo accordo ma si era limitato unicamente ad opporre la erroneità della determinazione dei compensi operata dal Tribunale in primo grado.
Una tesi bocciata dalla Suprema corte secondo cui il terzo comma dell'art. 2233 cod. civ., (nel testo introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito con modif. dalla l. n. 248/2006) che ha imposto a pena di nullità la forma scritta per l'accordo di determinazione del compenso professionale tra l'avvocato e il suo cliente, "non può ritenersi abrogata con l'entrata in vigore dell'art. 13, comma 2, della l. n. 247/2012, lì dove ha stabilito che «il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale», poiché la novità legislativa, lasciando impregiudicata la prescrizione contenuta nell'art. 2233, ult. comma, cod. civ., ha inteso disciplinare non la forma del patto, che resta quella scritta a pena di nullità, ma soltanto il momento in cui stipularlo". Conseguentemente, prosegue il ragionamento, la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi dal documento e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di sua perdita incolpevole ex artt. 2724 e 2725 cod. civ., perché l'osservanza dell'onere formale ad substantiam non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere.
Nello stesso senso la recente sentenza di Cassazione (n. 717 del 12/01/2023) espressamente richiamata nel testo e così massimata dal Ced Cassazione: "Ai sensi dell'art. 2233 c.c., come modificato dall'art. 2, d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006, l'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta "ad substantiam" a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'art. 13, comma 2, l. n. 247 del 2012, che, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico, ha lasciato invariato quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti, si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne, sia seguita dall'accettazione nella medesima forma e, dall'altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c.".